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Italia e Francia divise tra forze di apertura e populismi

massimo pinardi lunedì 22 Maggio 2017
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Le recenti elezioni in Francia, concluse con il trionfale successo dell’outsider Emmanuel Macron, forniscono elementi di riflessione importanti anche per la nostra (politicamente) disastrata Italia.

Se tante sono le differenze fra Italiani e Francesi, altrettante sono le affinità. Ci avvicinano la struttura amministrativa, mutuata in Italia da quella francese napoleonica, l’adozione dei valori fondanti di libertà, uguaglianza e fraternità (leggi: solidarietà), iscritti nella bandiera tricolore comune alle due nazioni. E, venendo a tempi più recenti, la tragedia della seconda guerra mondiale e le conseguenti parallele esperienze, dell’oppressione nazista supportata dai rispettivi collaborazionismi e della Resistenza infine vincente.

A differenza di quanto accade da noi, in Francia la politica ha il pregio di presentarsi all’opinione pubblica con chiarezza e di prestarsi ad una più trasparente analisi. Da noi, tutto si confonde, il senso profondo della proposta e delle prospettive offerte dai vari protagonisti politici è spesso inafferrabile.

Il successo di Macron è stato anticipato dal primo turno del 23 aprile a conclusione del quale quattro formazioni sono risultate non troppo distanti fra loro nelle preferenze dell’elettorato.

Due di queste (Front National e gollisti Républicains) hanno conseguito una sostanziale tenuta del proprio elettorato (nonostante, per quanto riguarda i gollisti, il clamoroso errore rappresentato dalla candidatura di François Fillon, azzoppato dai noti scandali). Due destre diverse, con grandi problemi ma ben radicate nel Paese.

Le altre due (En marche di Emanuel Macron e il Partie de gauche di Jan-Luc Mélenchon) sono invece formazioni pervenute per la prima volta alle elezioni presidenziali. Ambedue hanno radici nel Partito Socialista, antica e gloriosa forza politica della sinistra europea, che in più occasioni ha retto le sorti della Francia, da Leon Blum a metà degli anni ’30 a Mitterand e, infine, a François Hollande. Il Partito socialista, privato delle due componenti costitutive, è stato relegato al rango di piccola forza politica residuale.

Cosa è successo? E’ successo che due sinistre, che faticosamente convivevano nella comune casa socialista, hanno preso atto di avere idee, proposte e prospettive tanto diverse da essere fra loro incompatibili. Con chiarezza, senza ipocrisie né infingimenti, si sono rivolte separatamente all’elettorato, che dal canto suo ha mostrato di gradire la chiarezza ed ha castigato la riconfermata ambiguità del PS.

Cosa si può osservare nella speculare polarizzazione di due idee a destra e di due idee a sinistra, inconciliabili nei rispettivi campi? Dall’una e dall’altra parte troviamo due formazioni disponibili al cambiamento, aperte all’innovazione tecnologica e istituzionale, liberali e mercatiste, anche se più legate alla conservazione sociale l’una e alla apertura di opportunità per tutti, l’altra. Vedute che convergono ambedue nell’adozione convinta e inequivoca di una prospettiva europea. Stiamo parlando dei neo-gollisti e della formazione di Macron.

Dall’una e dall’altra parte, per contro, due formazioni regressive, chiuse nei propri confini nazionali e sociali, indisponibili ad un futuro di innovazione e di apertura a nuove sperimentazioni di assetto politico e istituzionale. Due formazioni che cavalcano il disagio sociale e al tempo stesso ne sono condizionate; due formazioni  che, in ciò convergendo,  attribuiscono la responsabilità del disagio a vecchi e nuovi demoni, dalle banche, alle multinazionali, dai centri di indirizzo finanziario alla immigrazione e perfino – cosa purtroppo presente in Francia – alle lobbies giudaiche).

Di assoluta rilevanza il fatto che il gollista Fillon ha da subito indicato il liberal Macron come migliore scelta per il secondo turno; mentre il gauchiste Mélenchon non ha voluto esercitare l’opzione a favore di Macron, a contrastare il neofascismo del Front National di Marine Le Pen.

In Francia, come pure in Italia e altrove, “la sinistra riformista e la destra liberale” – per dirla con Luca Ricolfi in ‘Sinistra e Popolo’ “sono molto vicine nella loro accettazione del mercato, della globalizzazione, delle regole sovranazionali. E la sinistra e la destra populiste sono assai simili nel comune rifiuto di alcuni aspetti della globalizzazione… Né si può dire che queste strane convergenze siano solo sulla carta: Per questo, la dicotomia fondamentale, in questa epoca, non è più quella fra destra e sinistra ma sta diventando quella fra forze dell’apertura, ovvero destra e sinistra ufficiali, e forze della chiusura, ovvero populisti di destra e di sinistra”””.

Se le osservazioni di Ricolfi hanno fondamento, la paralisi del sistema politico italiano è presto spiegata. Ad una destra incapace di scegliere fra liberismo e sovranismo corrisponde una sinistra a sua volta incapace di scegliere fra riformismo e nostalgie passatiste corporative.

Il risultato: il blocco delle strategie di riforma, l’incapacità di uscire dallo stato di inefficienza di sistema che relega l’Italia agli ultimi posti per crescita e ai primi per debito pubblico. Con la prospettiva, sempre più probabile, di elezioni destinate a riconsegnarci un paese ingovernabile o, nella migliore delle ipotesi, invischiato in compromessi se possibile ancora più paralizzanti di quanto non lo sia la situazione presente.

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