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Le banche del territorio per lo sviluppo dell’economia reale

Giuseppe De Lucia Lumeno giovedì 29 Giugno 2017
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“In Italia non ci sono troppe banche”. Finalmente si inizia a ragionare e a mettere da parte il furore ideologico che ha costruito, nel corso di oltre un ventennio, uno tra i più radicati luoghi comuni. Quello secondo il quale nel nostro Paese ci sarebbero troppe banche e che molte di queste risulterebbero troppo inefficienti nel mercato attuale. Le cose non stanno così e lo abbiamo più volte sottolineato.

Ora, ad affermarlo è anche Camillo Venesio, vice presidente dell’ABI e amministratore delegato di Banca del Piemonte. Per Venesio, che è intervenuto nel corso del dodicesimo Forum HR2017 – Banche e risorse umane, non solo in Italia le banche non sono troppe, tanto più se si fa un paragone con quelle della prima economia del mondo, gli Stati Uniti, ma “una ulteriore riduzione potrebbe portare problemi di ridotta concorrenza e di non adeguato servizio per alcune fasce di clientela”.

Dal confronto con gli altri sistemi bancari europei è evidente che esiste una questione più complessa e non riconducibile al numero eccessivo di banche che produrrebbe l’inefficienza del sistema. In Europa coesistono mercati bancari diversi. Tenendo conto della popolazione, emerge che se in Spagna, in Francia e nel Regno Unito il numero delle banche è inferiore a quello italiano, l’esatto contrario avviene però in Germania, Olanda, Austria e Svezia.

L’assunto (sbagliato) che una maggiore concentrazione bancaria sia sinonimo di maggiore efficienza contrasta con un altro dato che caratterizza, in particolare, la Spagna e la Francia: il tasso di bancarizzazione (il numero di sportelli ogni 10.000 abitanti) tra i più alti d’Europa che vede questi due Paesi nella condizione di avere, forse, poche banche ma, sicuramente, tanti sportelli. In Spagna, Francia e Regno Unito (e anche in Olanda) il peso del totale dell’attivo rispetto al PIL nazionale è superiore alla media dell’area euro (e sicuramente più alto di quanto riscontrabile in Italia e Germania) a conferma di come tali sistemi abbiano un alto grado di finanziarizzazione, probabilmente eccessivo.

La vera questione, dunque, non è nel numero delle banche ma nella loro natura e nel loro modus operandi, quella che, in altri termini, abbiamo già definito biodiversità bancaria. E’ fondamentale che all’interno del sistema bancario coesistano più tipologie (grandi gruppi o piccole banche, spa, banche popolari e banche di credito cooperativo), non solo perché numerosi studi hanno dimostrato che sistemi così strutturati hanno resistito meglio alla crisi, ma perché è essenziale non perdere il contatto con le radici del tessuto produttivo e con l’economia reale che, nel nostro Paese, si compone prevalentemente di piccole e medie imprese e che vede nel contatto con le comunità locali il proprio punto di forza.

Questo aspetto è ben presente, ad esempio, in Francia dove, anche se il numero degli istituti di credito è inferiore e le banche del territorio non sono mai state messe in discussione neanche in periodi di crisi tanto che nel 1999 le casse di risparmio, risorsa preziosa ed insostituibile per lo sviluppo delle economie locali, furono trasformate in banche popolari salvaguardandone il ruolo e le funzioni di intermediari del territorio.
E’ evidente che le banche italiane, come quelle di tutto il mondo e come l’intero sistema economico e industriale, stanno affrontando la sfida della rivoluzione tecnologica che, per la rapidità e la radicalità con la quale si sta imponendo, non ha precedenti nella storia. Una rivoluzione epocale che chiede una profonda ridefinizione dell’organizzazione aziendale e delle professionalità insieme alla realizzazione di nuove attività e nuovi strumenti gestionali che però dovrebbero essere sempre finalizzati a creare nuova occupazione, ad accrescere i ricavi e, soprattutto, a sostenere l’economia reale.

Una sfida che, nell’ambito del sistema bancario, richiede tutt’altro che un atteggiamento difensivo quale quello della riduzione delle banche. A vantaggio di chi? Al contrario, bisognerebbe raccogliere questa sfida e approfittare di essa per realizzare un effettivo mercato, ancora e di più, basato sulla libera concorrenza.

L’esatto contrario di ciò su cui lavorano i grandi potentati economici che vogliono ridurre il mercato del credito a un insieme di pochi soggetti liberi di sfruttare la propria posizione oligopolista con il fine unico di perseguire il proprio, solo ed esclusivo interesse che però non giova ai consumatori, non giova all’erogazione del credito e di conseguenza allo sviluppo e al benessere.
Risolvere il problema della bassa redditività delle banche, chiudendo banche, sportelli, e tagliando il personale è stato già tentato e con scarsi risultati. Insistere su quella strada può rivelarsi non solo inutile ma anche dannoso. La riorganizzazione del sistema bancario, basata su privatizzazione, concentrazione e despecializzazione, si è realizzata in Italia dal 1990 al 2000 con 500 aggregazioni e il trasferimento di oltre il 40% di quote di mercato. Nel 1990 il sistema bancario italiano era composto da 1.064 banche. Oggi, le banche italiane sono 633, quasi la metà.
Il problema della bassa redditività continua ad esistere, ma la soluzione va cercata altrove. La politica monetaria, con l’azzeramento dei tassi d’interesse, da un lato non ha prodotto tutti gli effetti sperati sulla crisi e dall’altro ha accresciuto il problema della bassa redditività. Altro elemento non certo positivo è stato finora quello dell’eccessiva regolamentazione.

Lo stesso Venesio ha apertamente affermato, riferendosi ad un recente studio della Banca d’Italia che “non vi è evidenza che un alto livello di crediti deteriorati abbia determinato una minore offerta di prestiti negli anni recenti, al contrario, l’eccesso di normativa può aver contribuito a una progressiva riduzione dei prestiti nei confronti delle fasce più deboli”. Il problema del numero delle banche non è l’elemento centrale e, finalmente, non siamo soli ad affermarlo. Un mercato basato sulla libera concorrenza, con la presenza capillare degli istituti bancari nel tessuto produttivo del nostro Paese e che metta le banche nelle condizioni di svolgere la propria funzione di intermediazione del credito, sono condizioni necessarie per la crescita della redditività e, soprattutto, per la ripresa economica.

*Segretario Generale Associazione Nazionale fra le Banche Popolari

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