di Lorenzo Gaiani
Il film di Andrea Segre “Berlinguer. La grande ambizione” è sostanzialmente di tipo filologico, nel senso che è basato su documenti oggettivi, memorie, diari ed interviste relative al periodo storico considerato, che va dal 1973 al 1978, gli anni della grande crescita elettorale del PCI e dell’affermazione della strategia del compromesso storico, che rappresentano il punto più alto della parabola politica di Enrico Berlinguer.
Infatti, nonostante gli entusiasmi di qualche sprovveduto o di qualche parente acquisito (o, meglio, di un parente acquisito particolarmente sprovveduto), la fase successiva alla morte di Moro e alla sconfitta elettorale del 1979 è per Berlinguer ed il PCI una fase di ripiegamento, e la stessa “questione morale” agitata con la famosa intervista a Scalfari del 1981, fu essenzialmente un espediente finalizzato a raccogliere e galvanizzare il popolo comunista con una parola d’ordine – “diversità” – che fosse un riferimento chiaro essendo impossibile un arretramento su posizioni di tipo filosovietico, sia per intima convinzione sia per l’oggettiva indifendibilità dell’URSS dopo i fatti di Afghanistan e Polonia.
Ci si potrebbe anche domandare quanto l’elevazione della questione morale a categoria politica totalizzante – che nella mente di Berlinguer, come ricordava anni fa Massimo D’Alema, era essenzialmente un elemento tattico – abbia contribuito al diffondersi del populismo e dell’antipolitica, cosa che peraltro era estranea alla volontà del Segretario del PCI, soggetto “totus politicus” quant’altri mai.
Tornando alla fase del compromesso storico, o della solidarietà nazionale, il film ricostruisce con molta fedeltà le difficoltà ed i tormenti interni alla dirigenza del PCI, la difficoltà a fare comprendere una simile strategia a una base abituata allo scontro frontale con la DC, il tormentato ed insieme ineludibile rapporto con l’URSS ed i Paesi del blocco orientale (al punto tale che Berlinguer arriva a tacitare ogni reazione al tentativo di omicidio nei suoi confronti perpetrato in Bulgaria per ordine diretto del dittatore comunista locale Todor Zivkov, al fine di evitare speculazioni di avversari politici e sgomento nelle fila del Partito), l’emergere del terrorismo delle Brigate rosse, che per il PCI fu insieme sfida all’ordine democratico e, ancor più drammaticamente, sfida per l’egemonia all’interno della classe operaia, che poteva essere sensibile a certe analisi e certi slogan i quali, come scrisse Rossana Rossanda suscitando le ire di Botteghe Oscure, non erano estranei all’album di famiglia del comunismo italiano ed internazionale.
La stessa descrizione dei rapporti con la DC è alquanto minimale, soprattutto nel modo in cui viene tratteggiata la figura di Andreotti, che certo con Berlinguer discusse di ben altro che non la “stranezza” del mestiere di coltivatore di arachidi di Jimmy Carter o della mania del Divo Giulio di collezionare le bustine dello zucchero: il dato di fatto, rimosso da una certa storiografia che si confonde con l’ideologia, è che Andreotti fino alla metà degli anni Ottanta fu l’interlocutore democristiano privilegiato dei comunisti, e infatti al decisivo congresso dc del 1980 i voti andreottiani si unirono a quelli della sinistra interna per continuare la politica di confronto con il PCI, venendo sconfitti dalle correnti moderate radunate intorno al “Preambolo” anticomunista scritto da Donat Cattin.
E poi ci sono le omissioni: fra i componenti del gruppo dirigente comunista compaiono Pecchioli, Barca, Ingrao, persino Cossutta; non però Amendola e Napolitano, il cui ruolo fu rilevante in quella fase storica, e non è certo una scelta casuale.
Soprattutto fra i personaggi non compare Bettino Craxi, ed anzi non si fa nemmeno menzione del suo nome: ed è indicativo, perché se la linea dell’alternativa di sinistra aveva un senso sarebbe dovuta passare di necessità attraverso il recupero del rapporto con il PSI, che Berlinguer e quasi tutta la dirigenza comunista interpretavano però in termini di subalternità, cosa che Craxi e la nuova dirigenza socialista si rifiutavano di accettare. Poi dei metodi utilizzati da Craxi si può discutere fin che si vuole, ma era evidente che nessuna alternativa al sistema di potere democristiano era pensabile a guida comunista, e le scorie di questa anomalia storica le portiamo ancora con noi.
Potremmo anche aggiungere che l’analisi di Berlinguer e dei comunisti sulla crisi strutturale ed irreversibile del sistema capitalistico negli anni Settanta era totalmente errata, come i fatti si incaricarono di dimostrare, e che la centralità operaia su cui il PCI basava la sua forza, modellata sul sistema di produzione fordista-taylorista, sarebbe crollata di lì a poco, ma questo ci porterebbe decisamente lontano.
Quella di Segre rimane comunque una pellicola decorosa, ben interpretata, a partire da Elio Germano, che si è assunto un compito non facile, e che può essere propedeutica allo studio di una delle epoche nodali della storia repubblicana.
Classe 1966, laureato in Giurisprudenza, funzionario pubblico. È stato sindaco di Cusano Milanino. Fa parte della Segreteria regionale lombarda del PD
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