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Clima: il Nobel liberal e il catastrofismo verde

Umberto Minopoli mercoledì 5 Dicembre 2018
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di Umberto Minopoli

 

Stephen Chu, Nobel per la fisica, membro della Pontificia Accademica, ex segretario di Stato all’Energia dell’amministrazione Obama (e padre, ma questo non viene mai maliziosamente ricordato, della ripresa del programma di reattori nucleari in Usa) ha rilasciato all’Avvenire, domenica 18 novembre, un’intervista di estremo interesse.

 

Trump vs Obama

Per il peso avuto, come ministro dell’Energia (DOE) nelle politiche ambientali della presidenza Obama, Stephen Chu rappresenta, ovviamente, un’icona dell’ambientalismo liberal Usa e (le sue posizioni) un manifesto critico del negazionismo climatico di Trump.

L’intervista dell’Avvenire prende spunto dai roghi che stanno devastando le foreste della California con decine di morti, distruzioni e danni economici notevoli. In questo caso Trump, vestendo i panni dell’ambientalista, ha messo sotto accusa la politica dello Stato della California (a maggioranza democratica) imputato di deforestazione, trascuratezza e insensibilità alla sicurezza del polmone verde dell’Ovest americano.

Ovvia e scontata polemica politica e di partito. Che si produce, in ogni contesto, con consueta animosità. Nel caso della California alle accuse di Trump, ma anche questo sta diventando un refrain, i democratici hanno pensato di controbattere imputando i roghi ai “cambiamenti climatici”. Non solo, ovviamente, per scaricare responsabilità ai governi locali. Ma per imputare al negazionismo climatico di Trump, in futuro, l’esposizione del territorio dell’Ovest a tragedie e disastri naturali peggiori.

Stephen Chu, cedendo alla ragione politica e di partito, fa sua questa imputazione polemica. Che appare, in verità, un pò “tirata” come argomento. I roghi sono frequenti nell’Ovest americano. E da sempre. E’ crescente il bilancio in numero di fatalità e distruzioni abitative. Ma quanto questo sia dovuto allo sviluppo urbano incontrollato (anche nella ricca California) o ad un clima più secco e più caldo, ad una maggiore siccità o ad effettiva trascuratezza della foresta californiana non è, umanamente, dato sapere. Forse, come sempre, i disastri son dovuti ad un concorso di cause.

 

Come affrontare i cambiamenti climatici?

La polemica tra i democratici e Trump, sulle foreste californiane è utile, però, a rilevare un dato: sempre più, e ad ogni latitudine, circostanza e contesto politico, eventi e catastrofi naturali estremi ed intensi vengono imputati, automaticamente e d’emblèe, ai cambiamenti climatici. Rifugiarsi in tale addebito sta diventando una commodity per i politici. Spesso esenta gli esperti da approfondite indagini e verifiche delle cause. Rende facile lo scarico di responsabilità. E soprattutto sta cambiando rischiosamente un’attitudine, persino genetica, degli umani: la disposizione ad adattarsi ai cambiamenti climatici (con le conoscenze, le tecniche, l’ingegneria) piuttosto che denunciarne gli effetti e subirli passivamente.

Non è la tesi di Chu, come vedremo, ma nel caso della California vi indulge.

Assai più interessante è il ragionamento del Nobel e fisico liberal sulle terapie adeguate per fronteggiare i cambiamenti climatici. Il ragionamento del premio Nobel è, particolarmente acuto. E scopre un vulnus, direi anzi il vulnus, del climatismo militante: il catastrofismo. Che si presenta come inviluppo tra l’ansia del tempo, descritto come sempre scarso e limitato, ai fini di un arresto della corsa verso l’esito dell’irreversibilità dell’aumento delle temperature (più o meno fissato al 2050) e l’immensità dello sforzo necessario preconizzato, dalle istituzioni ufficiali del clima (Onu, Ipcc, governi) per arrestare la deriva: una rivoluzione energetica e dei consumi; la modifica radicale, addirittura, delle nostre abitudini di vita. In soli 30 anni.

 

No al catastrofismo

E’ questo millenarismo che crea pessimismo, angoscia, sensazione di sconfitta e fiacca la credibilità delle politiche di mitigazione climatica. E le fa apparire poco razionali. Ancor più se riflettiamo sulla “trappola” in cui si è cacciata la politica del clima: limitare e penalizzare le emissioni, specie energetiche, di fonti fossili attraverso divieti, obblighi, sacrifici, incentivi lucrosi e imposizioni fiscali.

Una terapia che si è rivelata inefficace (la Co2 in atmosfera, in 30 anni di politiche punitive, non si è mai abbassata), costosa e proibitiva. Per arrivare ad un nuovo modello energetico e di consumi, entro il 2035 (data fatidica) occorrerebbe spendere, ogni anno per 15 anni, 2400 miliardi. Uno sforzo che appare proibitivo ai paesi in via di sviluppo e recessivo ai paesi ricchi. E tutto ciò per contenere l’aumento delle temperature (in un secolo cresciute di 0,9 gradi, questo è il warming di cui parliamo) entro i 2 gradi in più entro il 2100. Come uscire dall’angoscia paralizzante delle politiche climatiche che concentrano tutto sulla penalizzazione punitiva della Co2? Chu sembra suggerire, anzitutto, maggiore sobrietà: liberarsi dalle costrizioni divinatorie dei gradi di temperatura in aumento (saranno due, tre chissà); continuare a “verificare” (non è una certezza) la genesi antropica dei cambiamenti climatici; svincolarsi dal politically correct che pretende di applicare alla scienza lo schema destra/sinistra. E, soprattutto, recuperare l’ottimismo della razionalità. Da scienziato e politico liberal, Chu sostiene che la risposta ai cambiamenti climatici non è nelle limitazioni. E nella tecnologia. Che rovescia, radicalmente, l’approccio pessimista e catastrofista ai cambiamenti climatici.

 

L’ottimismo liberal di Chu

Lo stato della tecnologia e del suo sviluppo nel secolo attuale, sostiene con convinzione il Nobel progressista, è tale da rendere realistico e credibile una mitigazione del surriscaldamento climatico del pianeta “senza sacrificarci poi tanto” e senza alcun apocalittico rovesciamento “della nostre abitudini di vita”, dei modelli energetici e di consumo. Decisamente un approccio opposto al pessimismo climatico, al millenarismo e all’angoscia della deriva catastrofica e irreversibile del clima. L’ottimismo liberal e tecnologico di Chu si fissa anni luce distante dai paradigmi paralizzanti della decrescita e dell’ambientalismo fondamentalista e autoflagellante.

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