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Come leggere i dati (molto buoni) sull’occupazione

Dei 776.171 contratti a tempo indeterminato stipulati nel 2015 in più rispetto al 2014, quanti sono imputabili allo shock normativo (la nuova disciplina dei licenziamenti) e quanti allo shock economico (la forte decontribuzione per questo tipo di assunzioni)?

Solo una ricerca econometrica potrà fornire una risposta precisa e attendibile a questa domanda. Però alcuni indizi consentono di formulare fin d’ora, pur con molta prudenza, almeno una ipotesi di risposta. Un primo indizio è fornito dalla differenza tra l’aumento delle assunzioni stabili registrato nel bimestre gennaio-febbraio 2015 rispetto allo stesso bimestre 2014 – sotto l’effetto dello shock economico ma non ancora dello shock normativo – e l’aumento registrato nel mese di marzo 2015 rispetto al marzo 2014, sotto l’effetto di entrambe le misure: 20,7 in gennaio-febbraio, 49,5 in marzo. Questo indizio consente di ipotizzare che alla riforma dei licenziamenti vada imputata almeno una metà dell’aumento.

Un secondo indizio può essere tratto dal confronto tra la percentuale d’aumento complessivo delle assunzioni stabili o conversioni a tempo indeterminato nel corso del 2015 rispetto al 2014 – pari al 46,3 per cento – e la percentuale d’aumento delle sole trasformazioni di rapporti di apprendistato in rapporti a tempo indeterminato, pari al 23,2 per cento. Perché su queste ultime ha influito soltanto lo shock normativo e non quello economico. Anche su questo indizio può fondarsi, sempre con molta prudenza, l’ipotesi che a ciascuna delle due misure sia imputabile all’incirca una metà dell’aumento della costituzione di rapporti di lavoro stabili.

Questo ragionamento potrebbe indurre a pensare che nel 2016 l’aumento delle assunzioni a tempo indeterminato si attenuerà in corrispondenza con la riduzione dell’incentivo economico. Può essere che questo avvenga, ma vi è motivo per prevedere che le cose siano destinate ad andare diversamente; e non soltanto perché i dati di gennaio 2016 (primo mese con incentivo economico ridotto al 40%) appaiono in linea con quelli della fine del 2015. L’impatto di quello che abbiamo chiamato shock normativo, infatti, nel primo anno in cui ha operato è stato sicuramente depotenziato dal ben comprensibile scetticismo di una parte degli imprenditori circa la tenuta delle nuove norme sui licenziamenti in sede giudiziale: brucia ancora l’esperienza dello svuotamento delle nuove norme in materia di licenziamenti disciplinari contenute nella legge Fornero del giugno 2012, operato dai giudici del lavoro nei tre anni successivi. Ora, tutti i professionisti del settore – giudici del lavoro compresi – confermano che, invece, in questo primo anno di applicazione delle nuove norme, nei casi in cui l’assunzione a tutele crescenti è stata seguita da un licenziamento precoce la cosa si è quasi sempre risolta con la transazione-standard: il che significa che le nuove norme del 2015 producono il risultato voluto, di una drastica deflazione del contenzioso giudiziario in materia di licenziamento. Questo potrebbe convincere anche gli imprenditori più diffidenti a cambiare la vecchia prassi di utilizzare la sequenza di contratti di lavoro precari come un lungo periodo di prova. Con una conseguente intensificazione, nei mesi prossimi, dell’impatto di quello che abbiamo chiamato shock normativo.

Fin qui abbiamo parlato di dati di flusso. Che dire dei dati di stock? Su questo versante si registra un aumento di circa 300.000 posti di lavoro a gennaio 2016 rispetto a gennaio 2015. È il risultato di quasi 450.000 lavoratori dipendenti in più (quelli indicati dalla linea verde tratteggiata sottile nel diagramma riportato qui sopra, tratto dall’articolo di Bruno Anastasia su lavoce.info) e di quasi 150.000 lavoratori autonomi in meno. Questa crescita dell’occupazione continuerà?  Se non ci saranno shock esogeni negativi, vi è motivo di sperare che l’occupazione continuerà ad aumentare, perché dovrebbero continuare ad aumentare anche la fiducia nella crescita dei consumatori italiani e la propensione degli operatori internazionali a investire nel nostro Paese, in conseguenza del progressivo allineamento del sistema-Italia agli standard degli altri Paesi occidentali in materia di disciplina del lavoro, funzionamento delle amministrazioni pubbliche, a cominciare da quella della giustizia, e costo dell’energia. Resta però quel “se” iniziale, che impone sempre tutta la prudenza del caso.