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Comitato per il sì: per riportare la politica al centro della scena

Alberto Colombelli giovedì 21 Aprile 2016
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Ci sono momenti nella storia di un Paese in cui si sente la diretta responsabilità di essere parte attiva di un progetto di cambiamento, partendo dalla consolidata convinzione che questo non può che iniziare e dipendere da ciascuno di noi. E ci sono appuntamenti che più di altri ne risultano evidente ed immediata espressione.

È questo il caso del referendum confermativo della Riforma Costituzionale che il 12 aprile 2016 ha definitivamente completato il proprio iter parlamentare.

Così, superata l’originaria prudenza dettata dal non essere diretti addetti ai lavori di una materia tanto complessa, anche a Bergamo sin dal primo febbraio 2016 è attivo il primo Comitato per il Sì di cui sono tra i promotori.

In questi mesi molti sono stati i contributi offerti sul tema da costituzionalisti, giuristi di diritto pubblico e politologi.

In questa sede ci tengo ora ad offrire invece un mio possibile contributo proprio da non addetto ai lavori alla luce delle prime esperienze maturate attraverso le attività del nostro Comitato, con l’intento di condividerle a beneficio di tutti i cittadini che si stanno impegnando o organizzando al proposito.

Innanzitutto, in questi giorni ci capita già di dibattere con chi, anche con qualificate specifiche competenze, sostiene il fronte del No rispetto al quesito di questo referendum. Prima di ogni altra considerazione, proprio su questo tengo a sottolineare un aspetto che mi sta particolarmente a cuore perché sin dalle sue prime battute questa avventura si sta dimostrando una grande opportunità di crescita collettiva. Stiamo scoprendo, in questo caso ancor di più di tante altre precedenti occasioni, che è un piacere confrontarsi anche partendo da posizioni diverse.

Anzi, soprattutto su questioni di una tale rilevanza e complessità, proprio il partire da posizioni diverse sta costituendo un importante e fondamentale stimolo per ricercare, elaborare e approfondire. In ogni caso, ne sono certo ed è motivo di particolare soddisfazione e motivazione, quello che ci guida è da entrambi i lati il forte senso di responsabilità di fronte a una situazione che appare ogni giorno complessivamente più difficile e la voglia di offrire il proprio diretto contributo in questo nostro tempo nel costruire, insieme, il nostro futuro. Un futuro che, seppur da posizioni diverse su questo specifico punto, sono certo che chi è già da ora impegnato in uno dei due schieramenti vuole ispirato a valori democratici e di pace.

La principale preoccupazione è che si riesca a tenere la politica al centro della scena – come bene dice nella sua ultima pubblicazione Salvatore Vassallo – liberandola, fin che siamo ancora in tempo, dalla deriva che l’ha condotta a non essere più considerata da molti lo strumento più classico per l’elaborazione e l’adozione di soluzioni democratiche. C’è il rischio concreto di essere giunti a un punto di non ritorno e siamo in una situazione assolutamente anormale, la cui responsabilità può essere estesa a tanti da troppo tempo incapaci di dare risposte quando queste erano più facilmente attuabili. E proprio ciò determina che questa stagione di riforme, non solo costituzionali ma in senso lato, debba necessariamente essere condotta proprio nella legislatura più difficile.

Un’impresa straordinaria in una legislatura straordinaria, non perché voluta così da questo Governo, ma perché diversamente la prossima avrebbe potuto essere ancora peggio al punto da non offrire nemmeno più la possibilità di pensare ad una inversione di rotta. Non dimentichiamoci che la politica in questa legislatura è riuscita a recuperare in extremis la gestione del Paese che aveva già perso a fine 2011, a vantaggio del Governo dei tecnici con le conseguenze che tutti conosciamo anche sul piano sociale. Purtroppo non siamo assolutamente in un mondo perfetto, ma in una situazione di emergenza che impone responsabilità, iniziativa e tanta concretezza a tutti i livelli.

Fatta questa importante premessa, ci tengo poi a evidenziare che, sempre da non costituzionalista, riscontro come anche da una qualificata componente, quando antagonista, il principale rilievo che viene mosso nei confronti della nostra posizione è su argomenti che tendono comunque sempre alla fine a focalizzarsi sulla legittimità di questo specifico Parlamento nel condurre una riforma costituzionale stante la decisione della Corte Costituzionale sul Porcellum.

Per un mio contributo da non addetto ai lavori, desidero rispondere partendo da un dato di fatto oggettivo e lo faccio dopo aver avuto la fortuna di confrontarmi pubblicamente su queste eccezioni anche con Stefano Ceccanti, in occasione di una sua recente visita a Bergamo il 9 aprile 2016. Ceccanti ha ribadito il vero rischio antidemocratico di una delegittimazione del Parlamento, una posizione riaffermata con forza anche in un intervento del Sottosegretario alle Riforme Luciano Pizzetti  su L’Eco di Bergamo, il 17 aprile 2016: È bene confrontarsi nel merito affinché la democrazia non vivacchi, ma viva. Occorre a tal fine evitare di brandire clave a partire da quella di un Parlamento delegittimato a riformare. Questo sì  è un vero oltraggio alla Costituzione e alla Corte Costituzionale che la tutela e la interpreta.”.

Così penso innanzitutto che c’è un preciso mandato conferito dal Presidente della Repubblica (confermato anche dal suo successore, in precedenza giudice della Corte Costituzionale che si pronunciò nella succitata sentenza) nelle cui mani questo Governo ha giurato e una specifica responsabilità politica assunta da questo Parlamento nei confronti del Paese di fare di questa una legislatura costituente. Entrambe le cose stanno alla base dell’iniziativa intrapresa.

Davvero massimo rispetto per tutti ma questa – come ci capita a volte di sentire e di leggere – non è una questione di potere e non può essere ridotta a questo. È una questione di responsabilità politica, proprio in difesa della nostra democrazia messa troppo in discussione dalla perdurante riscontrata incapacità della politica stessa di offrire risposte nei tempi e nei modi che questa nostra  epoca richiede.

È proprio l’amore per la democrazia e anche proprio per la nostra Costituzione che ci richiedono questo. Il tempo è ampiamente scaduto e si è perso molto del contatto con la gente. Derive populiste e nazionaliste in Italia e in Europa ci impongono un impegno diretto, deciso, sempre più responsabile e concreto. In Italia ancor di più, essendo solo da noi in questo contesto che si potrà tenere acceso il sogno di rifondare l’Unione Europea su politiche sociali e di solidarietà che abbandonino quell’austerity che ne ha troppo a lungo condizionato la storia recente.

In Europa si gioca la partita più importante per il nostro futuro – basti solo ricordare che è l’Europa unita, solo lei, che ci ha permesso di vivere questi settant’anni di pace – e in quanto italiani dobbiamo agire con la responsabilità e la consapevolezza di figli costruttori dei padri fondatori dell’Europa. Adesso. Per far questo dobbiamo porre nuovamente la politica al centro del nostro sistema democratico, ridare forza e efficacia alle istituzioni, riformandole per permettere di giungere ad una normale democrazia dell’alternanza e a governi di legislatura che assumano senza più alibi piena responsabilità della loro azione.

Ne va del nostro futuro democratico e di pace.

 

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