di Alberto Bianchi
È molto significativa per la Chiesa cattolica – e non solo per i credenti, a dire il vero – la coincidenza a cui assistiamo in queste settimane di maggio 2025: l’avvenuta elezione del 267° Pontefice e successore di Pietro, Leone XIV, da un lato, e la ricorrenza, il prossimo 20 maggio, del millesettecentesimo anno dal primo concilio ecumenico della cristianità, il Concilio di Nicea (325 d.C.), dall’altro. Quest’anno, per celebrare l’anniversario del Concilio niceno, sono previsti vari eventi e commemorazioni, tra cui un possibile viaggio di Leone XIV nell’antica città di Nicea, oggi denominata İznik, situata in Turchia. Un’occasione significativa per riflettere sulla rilevanza di quel concilio nella storia del cristianesimo e sull’unità della Chiesa.
Ebbene, anche a prescindere dalla possibile visita pontificale sul suolo turco, è importante domandarsi in cosa consista l’importanza della suddetta coincidenza e quale rilievo assuma per i cristiani cattolici di oggi riflettere su un tale remoto evento.
Il Concilio di Nicea, convocato dall’imperatore Costantino, è usualmente ricordato per avere emanato l’originaria versione del Simbolo niceno-costantinopolitano o Credo, la formula di fede ancora oggi recitata nelle celebrazioni e messe cristiane. Anche altre questioni, squisitamente dottrinali, furono affrontate e definite in quel consesso ecumenico, quali: la condanna dell’eresia di Ario (arianesimo), che sosteneva che Gesù non avesse natura divina ma solo umana; la calendarizzazione della celebrazione della Pasqua; l’emanazione di regole sulla condotta dei chierici; l’approvazione del principio del celibato ecclesiastico.
Ma il Concilio di Nicea non è stato solo questo, che pure è molto, sia chiaro. Esso ha rappresentato anche un passaggio fondamentale nel processo d’inculturazione del cristianesimo in rapporto al contesto storico in cui il Concilio veniva a trovarsi ed alle esigenze organizzative della comunità in espansione dei cristiani del tempo, ai quali ha dato una risposta ed indicato un sentiero di conferma nella fede in Cristo e nello stesso tempo di unità e di prima articolazione istituzionale della Chiesa che stava sorgendo. Ed è questo l’altro aspetto del Concilio niceno che, invece, spesso si trascura di richiamare da parte di non pochi studiosi, prelati di curia e semplici fedeli. Ma forse le cose stanno per cambiare da questo punto di vista.
Il contesto storico in cui venne a cadere la celebrazione del Concilio di Nicea è detto “età costantiniana”, dal nome dell’Imperatore Costantino. Questi, con l’Editto di Milano del 313 d.C., più comunemente conosciuto come Editto di Costantino, già aveva riconosciuto la libertà di culto ai cristiani, ponendo fine alle persecuzioni religiose che avevano caratterizzato l’Impero Romano fino a quel momento. Iniziò così la genesi della Chiesa anche come istituzione riconosciuta, e nel 380 d.C., con Teodosio I, il cristianesimo divenne religione ufficiale dell’Impero. Fin qui, però, si tratta di istituzionalismo esterno, che riguarda la Chiesa come organizzazione visibile, con un suo ruolo distinto e tutelato nelle relazioni con le istituzioni civili, politiche e statuali-imperiali.
Il Concilio di Nicea del 325 d.C. fu un passaggio decisivo soprattutto per l’avvio della costruzione dell’istituzionalismo interno alla Chiesa, ovverosia relativo alla dimensione sacramentale ed interna della comunità cristiana, alla fede dei credenti e alla loro relazione con Dio, definendo una prima struttura gerarchica con Papa, vescovi, diocesi e un’amministrazione ecclesiastica.
Il rapporto e la distinzione tra istituzionalismo esterno ed istituzionalismo interno è importante perché la Chiesa opera su entrambi i livelli: da un lato come istituzione regolata da leggi e strutture proprie in relazione ad altre realtà umano-secolari, dall’altro come comunità di fede che si basa sulla spiritualità e sulla relazione personale dei fedeli con Dio. Fu anche un periodo complesso, difficile, contrastante, non privo di contraddizioni e derive esterne ed interne di cesaropapismo, ovverosia commistioni tra potere politico e religioso. Ma il rapporto tra fede ed istituzioni ecclesiastiche rimase un elemento caratterizzante sempre forte e necessario nella Chiesa cattolica.
Non è un caso che fu proprio Sant’Agostino (354-430) a prestare molta attenzione alla comprensione e definizione del rapporto tra istituzionalismo esterno ed interno della comunità cristiana: da un lato, riconoscendo l’importanza della Chiesa come istituzione visibile, con una gerarchia e un’organizzazione strutturata; dall’altro, enfatizzando la dimensione interiore della fede ed il rapporto personale tra l’anima e Dio. Nel suo capolavoro “Civitas Dei”, Agostino distingue tra la “città terrena”, legata alle istituzioni umane e al potere politico, e la “città celeste”, che rappresenta la comunità dei credenti guidata dall’amore per Dio. Questa visione mostra come la Chiesa debba operare sia nel mondo visibile, con regole e strutture, sia nel mondo spirituale, con la ricerca della verità e della salvezza.
Da quanto sin qui detto, insomma, risulta chiaro perché nella Chiesa di Leone XIV, i cattolici del nostro tempo presente avvertano nuovamente il bisogno di tornare a riflettere anche su un evento di 1700 anni fa: è sempre a partire da un problema del presente che si ritorna ad indagare il passato. E l’esigenza di oggi, nella Chiesa cattolica, è quella di ritrovare un equilibrio positivo e fecondo tra dimensione interiore della fede e istituzioni ecclesiastiche, tra fedeli e gerarchie episcopali, tra diocesi territoriali e curia vaticana.
Ha detto al riguardo l’arcivescovo Georg Gänswein – già segretario particolare di Benedetto XVI, poi Prefetto emerito della Casa pontificia sotto Francesco, infine oggi nunzio apostolico in Lituania, Estonia e Lettonia – in un’intervista al Corriere della Sera del 12 maggio 2025: “… una certa confusione di questi anni … [nella Chiesa – n.d.s.] … dev’essere superata. E uno degli strumenti da usare sono le strutture che già ci sono. Le istituzioni della Chiesa non sono né una lebbra né una minaccia contro il Papa. Sono lì per fornire un aiuto ai pontefici, che debbono farsi aiutare. Non si può governare da soli, diffidando delle proprie istituzioni”.
E così, sul rapporto tra il credere interiormente e l’autorità della Chiesa, il cardinale Gerhard Ludwig Muller – Prefetto emerito del dicastero per la Dottrina della fede – in un intervento pronunciato alla presentazione del libro “Il Concilio spiegato ai miei figli” di Luca del Pozzo, edizioni Cantagalli, ha ricordato una frase di Sant’Agostino: “Ego vero Evangelio non crederem, nisi me catholicae ecclesiae me commoveret auctoritas” – Io però non crederei al Vangelo, se non fossi spinto a farlo dall’autorità della Chiesa cattolica (da Agostino: “Contra epistolam Manichaei, quam contra fundamenti” 5,6).
Sessantacinquenne, romano, studi classici, lavora presso Direzione Trenitalia spa, gruppo Fs italiane. Sin da giovane, militante della sinistra: prima nelle fila della Federazione Italiana Giovanile Comunista (FIGC), poi nel PCI (componente migliorista), fino allo scioglimento del partito. Successivamente ha aderito al PDS, poi DS. Attualmente è socio ordinario di Libertà Eguale.