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di Umberto Minopoli

 

 

Il bel libro di Giovanni Orsina, La democrazia del narcisismo, si apre con una domanda di Elias Canetti: “Andrà meglio. Quando? Quando governeranno i cani?”. Curioso: si attaglia perfettamente alla conclusione, di sconsolante impotenza e rassegnazione, che il professore ricava dalle “urticanti”, a suo dire, considerazioni di Claudio Cerasa sulla esistenza, credibilità e possibilità di un’alternativa al “polo unico populista”.

 

I populisti hanno occupato l’intera arena pubblica…

Secondo Orsina questa possibilità “non esiste”. Anzi: “lo spazio per opporsi ai populisti non c’è”. I populisti “hanno occupato per intero l’arena pubblica”. E, soprattutto: i contenuti e le tesi utilizzate dagli antipopulisti, abbarbicate a vecchi totem e a difesa di “sancta sanctorum della democrazia violati da tempo”, sono indicibili, regole entro cui la parte maggioritaria dell’elettorato “si sente soffocare”.

Non ci si può “accontentare di aspettare il fallimento populista”. Meglio “aprire un dialogo”, puntare a “ripulire Lega e 5 Stelle” e a “romanizzare i barbari” invece che “vagheggiare” la nascita di un’opposizione civile e di una alternativa che avrebbe “tempi assai lunghi”.

Sono conclusioni, per molti versi, sorprendenti. Esagerate. E del tutto sproporzionate alla diagnosi spietata che, nell’intervista al Foglio, Orsina fa della “degenerazione profonda” che il populismo rappresenta. Che affonda le sue radici, precisa Orsina, nello “svilimento del dibattito pubblico, scadimento delle classi dirigenti, crescente inciviltà dell’elettorato, corruzione della politica”. Fenomeni di “lungo periodo” di cui i populisti sono “sintomo” ma, anche e soprattutto, la compiuta implementazione in una pratica e condotta di governo.

 

…ma ripristinare l’opposizione è vitale per arginare il degrado

Il professore è, per almeno metà della sua intervista, tagliente sui guasti, i pericoli, le degenerazioni della condotta populista: il giustizialismo come arma di “lotta elettorale”, la battaglia contro il professionismo della politica (diremmo con Canetti una sorta di auspicio del “governo dei cani”), lo scadimento alla politica del vaffa.

Non solo. In un’intervista in cui osserva polemicamente al direttore del Foglio la “urticante” ricerca di un’alternativa alla degenerazione profonda che si è fatta governo, il professore denuncia il “cedimento culturale generalizzato al populismo”. Anche chi intende combatterlo (media, politici di opposizione) si è “adeguato” ai metodi populisti, li alimenta e sostiene: “la politica dei fregnacciari” e della “fregnaccia totale” si è impossessata dei meccanismi politici e massmediologici e ha istituito una sorta di meccanismo unico populista nel funzionamento della lotta politica in Italia.

E’ esattamente, osservo, la tesi dell’editoriale di Cerasa, delle battaglie del Foglio e dei suoi richiami all’urgenza di ripristinare spazi di civiltà, laicità e normalità del dialogo pubblico. Di cui, dovrebbe essere evidente ai più, il presupposto essenziale e inderogabile è proprio la formazione di una efficace e visibile opposizione, oltre che civile, parlamentare. Se, professore Orsina, riponiamo tra le anticaglie, i totem, i sancta sanctorum da abbattere anche questo, cosa resta alla “degenerazione profonda” della democrazia italiana? L’appeasement con lo scadimento della politica fregnacciara e con le suggestioni, oscure e alteranti, del laboratorio populista e con le sue pratiche degradanti di governo? Ripristinare una regola di opposizione è vitale per arginare il meccanismo unico del degrado. Come dar torto a Cerasa? L’auspicio del Foglio non è realistico?

Il prof. Orsina sembra sostenere questo: il meccanismo unico populista sarebbe diventato troppo pervasivo e penetrante per consentire un’opposizione. Ma questo vorrebbe dire che lo spazio democratico in Italia è già morto e che il paese (e il resto d’Europa, vista la generalità dell’offensiva populista) è già transitato nella fase post della politica democratica e della funzionalità parlamentare. Una conclusione raccapricciante e inquietante.

Mi permetto, umilmente, di osservare al professor Orsina che il suo libro recente, che considero personalmente un testo magistrale, conteneva tutt’altra conclusione. Anzitutto c’è la lettura severa, rigorosa, non superficiale del fenomeno populista nelle democrazie mature. Una lettura colta e, soprattutto, controcorrente. Anzitutto verso le vulgate che, a destra e a sinistra, vedono il populismo solo come prodotto della globalizzazione, rivolta dei discontents della lunga crisi degli anni 2000, delle statistiche dei divari e delle diseguaglianze dell’ultimo decennio.

 

Il populismo è un fenomeno degenerativo delle democrazie mature 

Orsina produce nel suo saggio una potente e accattivante disanima del populismo, invece, come fenomeno, degenerativo e disgregante, del funzionamento stesso delle democrazie mature, del loro “labirinto di contraddizioni”, delle promesse, dei successi, delle aspettative affluenti dei sistemi democratici. Che, in virtù dei loro stessi successi, rischiano di finire ingolfate nella dialettica mortale delle società aperte, liberali ed affluenti: l’abitudine all’ipertrofia dei desideri illimitati che genera la distorsione del “dirittismo”, del narcisismo, dell’egoismo, del conflitto di tutti contro tutti, della vendetta sociale.

Orsina si produce in autentici colpi di piccone alla faciloneria e alle ricette nostalgiche del populismo (sovranismo, ri-statalizzazione, chiusura alla mobilità delle popolazioni, lotta alle élites specializzate, riduzione degli spazi di democrazia delegata, suggestioni di istituti di neo-sovietismo ecc). Insomma tutto il corredo di ricette insulse, dogmatiche e schematiche a cui si vanno accucciando una destra e una sinistra stanche, rassegnate e arrendevoli alla sconfitta.

Nell’intervista al Foglio il professor Orsina sembra arrendersi alla “irreversibilità delle degenerazioni populiste. E’ questo giudizio che allarma e stupisce. La dichiarazione di inutilità dell’opposizione è disarmante. E contraddice la riflessione del professor Orsina che conclude il suo libro, La democrazia del narcisismo, con messaggi meno sconsolanti. Addirittura con una proposta di prima agenda di risposte alle degenerazioni del populismo.

 

Contro l’ossessione populista del presente, una visione del futuro

Orsina chiude il suo bellissimo saggio con una sobria e dichiarata riflessione di speranza: una “mappa delle possibili soluzioni” alla crisi populista che potrebbe essere un inizio di vademecum di un’opposizione civile e alternativa alla deriva. Una mappa riassumibile in un punto che Orsina chiama la scommessa di una nuova “visione condivisa del futuro”. E’ il punto chiave. Il populismo (di destra e di sinistra) è ossessionato dal presente, dalle incertezze, dalle paure individuali (impoverimento, spossessamento, sradicamento) e dalle mitologie scomposte della “società chiusa”, rancorose ed egoiste.

E nella disperazione del presente reitera il passato con le sue ricette ai problemi stanche, antiche e reazionarie. Gli antipopulisti non possono che correre, come marciatori obbligati, della ricostruzione di una “comunità che torni in controllo di se stessa”, che superi la ridotta di “monadi rinchiuse nello spazio isolato” dell’isolamento di ciascuno, che ripristini un compromesso di “identità, ragione e interessi” e generando “ nuove forme sensate di azione collettiva”. Niente di enfatico e smisurato. Orsina si dice convinto che una adulta comprensione e riconoscimento delle antinomie e ambivalenze della democrazia, aiuti quest’ultima più che negarla. E conclude con una rassicurazione: che senza una qualche forma di “ottimismo antropologico” non c’è salvezza.

Quanti “abitano le democrazie” conservano, chiude Orsina, un patrimonio sufficiente di realismo, ragionevolezza, pazienza e moralità “che eviterà che il processo di distruzione populista arrivi fino in fondo”. Il “senso comune è pericoloso e genera mostri” ricorda il professore. Cos’è questo se non un appello al dissenso, al coraggio dell’opposizione civile e alla speranza di salvare la democrazia prima che approssimi il bordo del fossato? Non se la prenda col Foglio che lo dice e non smetta anche lei, professor Orsina, di lavorare ad una speranza.

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