di Pasquale Pasquino
Un articolo apparso sul Messaggero domenica 18 maggio, firmato da Luca Ricolfi, presenta la “democrazia limitata” (quella che secondo l’autore impedirebbe la libera competizione fra forze politiche) come una novità nel panorama occidentale delle forme di governo. Strano, visto che l’articolo 1 della Costituzione italiana del lontano 1948 parla appunto di limiti alla sovranità popolare. Innanzitutto, quest’ultima vuol dire concretamente che l’esercizio della funzione legislativa deriva da elezioni libere, competitive e ripetute. Le quali, dando luogo ad una maggioranza di governo, non possono legittimamente esercitare, secondo i Padri costituenti, un potere senza limiti. La democrazia, ovvero il governo rappresentativo, per la nostra cultura politica è di conseguenza un regime in cui l’autorità pubblica è sottoposta a limiti definiti dalla costituzione. La democrazia limitata non è, dunque, affatto una novità ma la natura stessa della nostra forma di governo, come di quelle della Germania e della Francia della Quinta Repubblica.
L’autore dell’articolo solleva in realtà, con l’uso di una espressione molto ambigua (democrazia limitata) un problema diverso, quello relativo all’accesso alla competizione elettorale, ma mette insieme troppo in fretta casi e questioni dissimili, che non rendono giustizia ad un utile dibattito sul tema. La provvisoria condanna alla eleggibilità di Marine Le Pen alle elezioni presidenziali francesi del 2027 scaturisce da una norma di legge votata dal Parlamento francese che condanna alla ineligibilità candidati condannati per reati come l’uso privato di fondi pubblici. Legge voluta, in particolare, con molta forza dal partito di Le Pen. Indipendentemente dal fatto che la condanna può essere annullata in appello, previsto ben prima delle elezioni del 2027, il problema che sorge qui è quello relativo alla legge voluta dal Parlamento, piuttosto che quello di un abuso del potere giudiziario, che escluderebbe Le Pen, ma non il Rassemblement National dalla competizione e dalla vittoria eventuale. Il legislatore può sbagliare, e aveva sbagliato Le Pen sostenere quella norma. Ma sta al legislatore trovare il rimedio alla legge. È così in ogni democrazia limitata. E le maggioranze (come quella che includeva Le Pen nel voto della legge in questione) non dovrebbero abusare del loro potere.
In Germania, per ragioni evidentemente legate alla storia di quel paese che è inutile ricordare, l’articolo 21 della Costituzione federale permette alla Corte costituzionale di mettere fuori legge un partito nemico della costituzione. Innanzitutto, va osservato che solo rarissimamente questa norma è stata posta in atto e solo poco dopo la nascita della Costituzione di Bonn. Soprattutto bisogna conoscere poco o, piuttosto niente della vita politica tedesca per immaginare che al partito di opposizione Alternative für Deutschland venga impedito da parte della Corte di Karlsruhe di competere alle elezioni. Peraltro, la necessaria richiesta di una tale decisione dovrebbe provenire da qualche organo dello stato e non vi è la minima traccia che ciò accada. L’esclusione del partito nazionalista da alcune funzioni pubbliche fa pensare a quella conventio ad escludendum nei confronti del Partito comunista italiano, certo discutibile, ma che non aveva sollevato notevoli proteste da parte dei “veri democratici”. Che poi la democrazia non possa impedire la sua sconfitta e la scelta degli elettori a favore di un sistema autoritario è sicuro. Ognuno può esprimere la propria preferenza su una tale evenienza.
Quanto poi alla decisione della Corte costituzionale rumena di annullare il primo turno delle elezioni presidenziali per irregolarità gravi della campagna elettorale, ci troviamo di fronte ad una iniziativa motu proprio della Corte, che ha inoltre deciso sulla base di documentazione non pubblicata dei servizi segreti rumeni e senza rispetto delle regole elementari di un processo normale, grazie ad una specie di ukase. Nonostante l’appartenenza della Romania all’Unione Europea ci sono ragioni per dubitare delle credenziali di regime liberale in quel paese che sembra piuttosto un sistema politico in cui il potere viene esercitato senza limiti, anche dalla Corte costituzionale.
Mettere insieme casi diversi come questi a cui si è fatto cenno, come fa Ricolfi, non aiuta a capire le difficoltà ed i problemi con i quali i regimi politici europei si scontrano tutti i giorni. È utile uno sforzo ulteriore per riflettere sulla democrazia e i suoi limiti necessari.
Pasquale Pasquino, nato a Napoli nel 1948, è Director of Research al French National Center for Scientific Research (CNRS) nonché docente di Politics and Law alla New York University. Dopo gli studi di filologia classica, filosofia e scienze politiche ha pubblicato ricerche sulla storia delle idee relative allo Stato e alle costituzioni. In anni recenti la sua ricerca si è concentrata sulla giustizia costituzionale in una prospettiva costituzionale. In passato ha lavorato presso il Max Planck Institute di Göttingen, il Collège de France e il King’s College di Cambridge.