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Flussi e riflussi dell’Impero d’Europa

Luigi Raffone martedì 28 Luglio 2015
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impero_romano Nel corso della sua lunga storia il continente europeo ha sperimentato una strepitosa alternanza di spinte centripete e spinte centrifughe. Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, si sono susseguiti tentativi più o meno riusciti di ricreare un impero paneuropeo, quasi inevitabilmente falliti, generando periodi di disgregazione marcatissimi, che hanno favorito la costruzione di identità locali sempre più numerose e complesse.

Fatto sostanzialmente unico, se lo compariamo alla storia di altri grandi imperi quali quello Cinese, che ha conosciuto una lunghissima tradizione di stabilità e unità identitaria, quello Giapponese, dove ancora regna la medesima dinastia di Tennō vecchia di oltre duemila anni, o anche l’Impero russo, che nelle sue numerose incarnazioni ha mantenuto il controllo politico sul medesimo sterminato territorio, o perfino gli Stati Uniti d’America, che tolta la parentesi della Guerra di Secessione, hanno sperimentato una stabilità politica sorprendente per uno stato continentale privo di una identità etnica comune originaria.

Il continente europeo, al contrario, nonostante le sue dimensioni relativamente modeste ha conosciuto una vita molto più travagliata, specie dal punto di vista dell’unità politica e identitario. Gli eserciti degli regnanti europei si sono scontrati per secoli nel tentativo, vano, di stabilire una duratura egemonia sul continente.

Forse l’ultimo grande leader che quasi ebbe successo nel creare un nuovo Impero europeo fu Napoleone Bonaparte, il quale non si occupò solo di ottenere la supremazia in Europa manu militari, ma causò anche una trasformazione duratura nella società. L’occupazione militare, infatti, era portatrice anche di una ideologia del tutto innovativa. I principi rivoluzionari figli dell’Illuminismo permearono la società europea in maniera permanente: dai diritti umani alle norme del codice napoleonico, essi sopravvivono ancora oggi nel corpus giuridico dei stati europei.

Waterloo sebbene segnasse la fine del sogno Napoleonico, generò anche l’inizio di un lungo processo di ricostruzione delle identità dei popoli. Dal 1789 al 1815 erano trascorsi 26 anni in cui i principi della rivoluzione erano stati diffusi per tutta l’Europa. I giovani ventenni e trentenni che vissero l’era della Restaurazione non avevano mai conosciuto una epoca pre-rivoluzionaria. Il loro rifiuto dei principi dell’ancient regime (a quel punto veramente ancient) li condusse, attraverso un travagliato percorso di ribellione, a riconoscersi in entità del tutto nuove: le nazioni.

La storiografia riconosce nell’affermazione dello stato nazionale e dell’ideologia nazionalista la forza motrice comune della storia europea dal 1830 al 1945. Questa spinta potentissima fu ad un tempo centripeta e centrifuga, in quanto portò da un lato alla formazione di entità politiche di medie dimensioni (gli Stati Nazionali appunto) che andarono a sostituire i piccoli regni e ducati di cui era costellata l’Europa, dall’altro determinò l’irrimediabile frantumazione degli Imperi multinazionali di matrice europea (l’Impero Asburgico e l’Impero britannico sopra tutti).

Le due Guerre Mondiali, ed in particolare la seconda, rappresentarono il culmine e il crollo del parossismo nazionalista. In seguito alla tragedia bellica, la forza centripeta europea ha assunto una nuova forma di integrazione libera e progressiva tra gli Stati Nazionali, che si sono provati spontaneamente di porzioni rilevanti di sovranità per consegnarle stabilmente ad un ente sovrastatale.  In buona sostanza, Abbiamo assistito alla nascita di un nuovo Impero, non per via militare ed egemonica, ma attraverso un percorso associativo di tipo squisitamente contrattualistico. Un fatto senza precedenti che ha cambiato radicalmente la storia del continente.

Oggi, ad oltre 70 anni dalla fine della guerra, la generazione che visse quel dramma è quasi del tutto scomparsa (anche gli 80enni di oggi avevano solo 10 anni all’epoca). La generazione tra i venti e i trent’anni è cresciuta nell’Unione europea e non ha conosciuto un periodo in cui non fosse libero il transito tra gli stati europei. Addirittura i ragazzi fino ai venti anni non hanno memoria delle monete nazionali, avendo utilizzato attivamente solo l’Euro.

In questi anni di crisi politico-economica, l’Unione europea ha subito una forte delegittimazione e abbiamo assistito alla rinascita di una energia centrifuga, con il risveglio di ideologie che ricordano i nazionalismi dell’inizio del 1900.  La Lega Nord, che solo quindici anni fa voleva la secessione dall’Italia e la creazione di una Padania indipendente ma membra dell’Unione europea, oggi ha abbandonato la retorica secessionista per abbracciare un discorso di respiro simil-nazionalista e anti-europeo a tutti i livelli.

Tuttavia, non è un caso che i leader europei anche i più giovani (Tsipras incluso) abbiano un immenso timore a invertire il processo di integrazione. Questa generazione non ha mai conosciuto un’era differente, cioè l’era della disgregazione nazionalista in cui gli Stati si fronteggiavano con ostilità. Questo sub-strato culturale, da un lato frena le forze centrifughe, che pure sono ben argomentate; forse più per istintiva paura dell’ignoto che per genuina convinzione. Dall’altro lato, però, la mancanza di una esperienza diretta di quel periodo buio dell’Europa, non fornisce la spinta propulsiva di cui ha bisogno il progetto Europeo per progredire.

La vicenda greca, in particolare, ci mostra come il nuovo “impero europeo” sia ancora troppo debole per superare con determinazione delle crisi interne, anche se di portata del tutto limitata come questa. Si tratta infatti di una crisi di debito che incide pochissimo, in termini quantitativi, sulla massa complessiva dell’economia europea. Ma questi avvenimenti ci mostrano anche che esiste, radicato profondamente nell’animo degli europei, una partecipazione simpatetica alle vicende extranazionali. Tale comune sentire è alla base di qualsiasi processo unificante.

Come nei due secoli precedenti, l’Europa vive una nuova crisi europea negli anni ’10 la risposta alla quale rischia di essere determinante alla definizione del secolo come quelle precedenti (la fine dell’era napoleonica tra il 1814 e 1815, la Prima Guerra Mondiale 1914-18). Sebbene l’Unione europea sia nel mezzo di una crisi profonda di legittimità come non attraversava da decenni, si percepisce ancora una latente potenzialità che la crisi stessa potrebbe risvegliare. Che tale potenziale si trasformi in energia centripeta o centrifuga dipenderà dal valore e dalle scelte dei suoi leader.

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