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di Pietro Ichino

 

Come garantire protezioni essenziali ai lavoratori delle piattaforme online? Occorre definire il lavoro cui applicare le protezioni sulla base della tecnologia utilizzata per la sua organizzazione, indipendentemente dalla qualificazione come lavoro autonomo o subordinato.

 

Il tertium genus tra lavoro subordinato e autonomo

Per tutto il Novecento, a tutte le latitudini e longitudini, le norme protettive emanate dagli stati si sono applicate, di regola, soltanto alle persone che svolgevano lavoro subordinato. Tecnicamente: a chi svolgeva una prestazione personale continuativa caratterizzata da un obbligo di obbedienza nei confronti del creditore. Nell’area del lavoro autonomo, salvo limitate eccezioni, si è applicato il diritto comune dei contratti. Ora si assiste, su questo terreno, a una tendenza nuova: per un verso, le nuove tecnologie informatiche e telematiche hanno l’effetto di svuotare di significato o rendere inapplicabili i vecchi criteri di distinzione del lavoro subordinato da quello autonomo; per altro verso alcuni ordinamenti statali tendono, in aree marginali ma via via più estese, a istituire protezioni inderogabili che si applicano indipendentemente dalla qualificazione del lavoro come subordinato o autonomo.
In un articolo del mese scorso ho accennato agli orientamenti più recenti della giurisprudenza d’oltremanica e d’oltreatlantico, nel senso dell’individuazione di una sorta di tertium genus tra le categorie tradizionali del lavoratore subordinato (employee) e del lavoratore autonomo (independent contractor), per riconoscere ai lavoratori delle piattaforme digitali le protezioni indispensabili: in particolare uno standard retributivo minimo e l’esenzione dal divieto di coalizione. È un po’ l’operazione che qui da noi è stata compiuta in passato per assicurare un minimo di tutela ai collaboratori coordinati e continuativi.
Si può, tuttavia, pensare anche a una tecnica normativa diversa: quella consistente nel porre alcuni standard minimi inderogabili, in materia di retribuzione o di previdenza, il cui campo di applicazione viene definito prescindendo dalla qualificazione del lavoro come autonomo, subordinato o “parasubordinato”. Qui da noi questa scelta legislativa è stata compiuta per i servizi alla persona o alla famiglia, sia nel caso del lavoro domestico a carattere continuativo – da sempre assoggettato a una parte soltanto del diritto del lavoro comune e a una disciplina previdenziale speciale, senza distinzione tra prestazioni autonome e subordinate – sia nel caso del lavoro occasionale, per il quale l’anno scorso è stata istituita una apposita piattaforma digitale presso l’Inps, attraverso la quale l’utilizzatore versa retribuzione e contribuzione (art. 54-bis inserito nella legge 21 giugno 2017 n. 96, di conversione del decreto legge 24 aprile 2017 n. 50).

 

Superamento della distinzione tra lavoro subordinato e autonomo

La questione della protezione del lavoro organizzato per mezzo delle piattaforme digitali – un lavoro difficilmente riconducibile alla nozione tradizionale del lavoro subordinato, ma per il quale è nondimeno necessario che si applichino almeno alcune regole inderogabili essenziali – può essere risolta con uno schema concettuale analogo a quello applicato per il lavoro occasionale al servizio delle famiglie. Qui il tratto essenziale che individua il campo di applicazione della disciplina speciale può essere identificato abbastanza facilmente nel fatto che la prestazione di lavoro sia richiesta e offerta di volta in volta in rete mediante appositi siti specializzati e applicazioni: le “piattaforme” (è la definizione adottata nel disegno di legge n. S-2934/2017).
Definita in questo modo quella che i giuristi chiamano “la fattispecie”, essa ben può essere assoggettata a una disciplina che rispetti le caratteristiche essenziali dell’organizzazione del lavoro, in particolare per quel che riguarda la sua marcatissima flessibilità nell’interesse di entrambe le parti, ma protegga il lavoratore da distorsioni dell’equilibrio contrattuale che possono nascere da asimmetrie informative o difetti di mobilità o di possibilità di accesso a percorsi di riqualificazione professionale (cosiddetto monopsonio dinamico).

 

Un diritto per i lavoratori delle piattaforme digitali

In questo ordine di idee, indipendentemente dalla qualificazione della prestazione come autonoma o subordinata, può essere garantito in tutti i casi un primo livello di protezione essenziale: sicurezza e igiene del lavoro, assicurazione pensionistica e antinfortunistica, libertà di coalizione, divieto di discriminazioni e loro prevenzione mediante l’imposizione della trasparenza dell’algoritmo che governa l’abbinamento tra domande e offerte da parte della piattaforma digitale.
Compiuto questo primo passo, indispensabile anche per rendere la nuova categoria visibile e darle una sorta di autocoscienza nel sistema delle relazioni industriali, un livello di protezione ulteriore può, in prospettiva, essere ottenuto per via contrattuale o legislativa in riferimento ai casi nei quali l’attività lavorativa sia svolta non soltanto come “lavoretto” a carattere interstiziale, ma con maggiore impegno di tempo e continuità: qui il criterio potrebbe essere quello di una durata minima settimanale del lavoro (considerandosi inapplicabile la direttiva europea sul lavoro subordinato part-time). In questo caso, potrà dunque essere introdotto anche il diritto al riposo quotidiano, settimanale e annuale, una protezione almeno per i casi di malattia di durata non brevissima, un preavviso di scioglimento del rapporto e una assicurazione contro la disoccupazione. Per arrivare a una estensione di tutte le protezioni proprie del lavoro dipendente nel caso del lavoro in regime durevole di monocommittenza e a tempo pieno o quasi, entro una soglia massima di retribuzione, utilizzando per questo segmento della forza-lavoro una tecnica normativa già sperimentata con la legge Fornero n. 92/2012.

 

 

Articolo pubblicato su www.lavoce.info

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