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di Alberto Colombelli

 

Le menzogne sono spesso più plausibili, più attraenti per la ragione di quanto non lo sia la realtà, dal momento che il bugiardo ha il grande vantaggio di sapere in anticipo cosa l’ascoltatore desidera o si aspetta di sentire.

Colui che mente ha preparato la sua storia per il pubblico consumo, ben attento a renderla credibile, mentre la realtà ha la sconcertante abitudine di metterci di fronte all’imprevisto, per cui, appunto, non eravamo preparati.” (Hannah Arendt, “La menzogna in politica. Riflessioni sui Pentagon Papers”, Harcourt Brace Jovanovich, 1972. Edizione italiana Casa Editrice Marietti, 2006)

 

Un saggio di Hannah Arendt

Oltre dieci anni fa mi sono felicemente imbattuto in una nuova traduzione italiana a cura della Casa Editrice Marietti del prezioso saggio di Hannah Arendt da cui ho tratto e conservato nel tempo questa citazione.

All’epoca il suo messaggio universale era tornato d’attualità nell’analisi degli effetti generati dalla “guerra preventiva” condotta dall’amministrazione del Presidente americano George W. Bush dopo l’attacco alle Twin Towers dell’11 settembre 2001.

Mai avrei immaginato che il suo richiamo avrebbe assunto nel tempo una sempre maggiore attualità come denunciano i livelli sempre più inaspettati che il fenomeno della menzogna in politica avrebbe progressivamente raggiunto, portandoci a conoscerne sempre più nuove inedite forme.

Il saggio di Hannah Arendt, pubblicato nel 1972 sulla “New York Review of Books”, nasceva dalle riflessioni sviluppate in previsione della sua partecipazione ad una conferenza del Council for Religion and International Affairs di Washington, con argomento i Pentagon Papers, documenti segreti del Dipartimento della Difesa relativi all’impegno americano nel sud-est asiatico dal secondo dopoguerra mondiale alla fine degli anni Sessanta, pubblicati appena qualche mese prima da “The New York Times” e da “The Washington Post” (come ben descritto recentemente anche nel film di Steven Spielberg “The Post”, 2017).

Lo scandalo di quella pubblicazione – che precedette di poco la celebre infrazione illegale nel quartier generale del Comitato nazionale del Partito Democratico al Watergate Building da parte di uomini riconducibili al Partito Repubblicano, denunciata sempre da giornalisti de “The Washington Post” (raccontata tra gli altri anche nel celebre film di Alan J. Pakula “Tutti gli uomini del presidente”, 1976) e che inaugurò la grave crisi di legittimità che caratterizzo la presidenza di Richard Nixon fino alle sue dimissioni – riguardava l’ammissione da parte del Pentagono, dell’assoluta inutilità strategica dell’impegno americano in Vietnam.

Un’ammissione addirittura riconosciuta e tenuta segreta dall’Amministrazione americana che fu occasione per Hannah Arendt di aprire la riflessione sul rapporto tra politica e menzogna.

 

Dalla ragion di Stato alla deliberata falsificazione…

Le sue conclusioni nell’occasione portarono a riconoscere l’intervenuto passaggio dalla menzogna tradizionale – il mentire per ragion di Stato – fino alla deliberata falsificazione dei fatti per motivi di immagine o di reputazione.

Ovvero, nel caso specifico, l’uso politico della menzogna non era più semplicemente mirato a mantenere la segretezza richiesta ad ogni potere politico su certe delicate questioni di salvaguardia dell’interesse nazionale, ravvisando invece come si fosse in presenza di una deliberata volontà da parte degli esperti a capo degli uffici strategici di Washington di manipolare la realtà rappresentandola in modo distorto all’opinione pubblica.

Il tutto per non ammettere che la guerra in Vietnam fosse fondamentalmente sbagliata, essendo i suoi veri scopi per nulla riconducibili né con la situazione reale del Sudest asiatico né con gli interessi americani in quell’area, ma solo da circoscriversi all’intento di salvare l’immagine degli Stati Uniti quale superpotenza egemone mondiale.

Hannah Arendt pertanto giunse in quel saggio fino a individuare nella mistificazione della realtà per manipolare deliberatamente l’opinione pubblica il nuovo livello raggiunto dalla menzogna in politica.

 

… verso la creazione di una realtà artificiale

Nel cercare di interpretare l’Italia di oggi, alle fondamentali riflessioni di Hannah Arendt sulla menzogna in politica pare ancora mancare l’evidenza, all’epoca non ancora riscontratasi, di un passaggio che caratterizza invece fortemente questi nostri giorni.

La menzogna in politica sembra infatti aver assunto ora una connotazione ancor più cinica e spregiudicata, passando dalla mistificazione del reale fino alla concreta determinazione di una diversa realtà costruita scientificamente attraverso azioni di governo che partendo da una precisa puntuale manipolata sua interpretazione la realizzano effettivamente, ponendola poi di fronte all’opinione pubblica nell’artificialmente prodotta sua piena evidenza.

Dopo un incessante reiterato messaggio volto a rappresentare la minaccia rappresentata dai flussi migratori, in pochi giorni governo e parlamento sono ora infatti passati dalla mistificazione della realtà fino alla concreta realizzazione di quanto ad oltranza rappresentato.

 

Il Global compact mira a governare i flussi migratori…

Con le motivazioni indicate per la sospensione parte del nostro Governo dell’adesione al Global Compact sull’immigrazione delle Nazioni Unite – il patto firmato da oltre 190 Paesi il 19 settembre 2016 – e l’annuncio della sua non partecipazione al summit Onu di Marrakech che adotterà il documento tra il 10 e l’11 dicembre, ci troviamo ancora in situazioni già considerate e previste da Hannah Arendt.

Indicare che questo aprirebbe le porte a un’immigrazione senza limiti ci mantiene infatti sostanzialmente nel campo della mistificazione della realtà, considerato che il Global Compact for Migration è invece un documento che stabilisce alcune linee guida nella gestione dell’immigrazione e dell’accoglienza dei richiedenti asilo sulla base delle ultime indicazioni di studiosi, operatori e funzionari, non è vincolante – anche perché contiene più un approccio comprensivo che una serie di proposte concrete (fra i 23 obiettivi che si pone ci sono molte norme già previste dal diritto internazionale come la lotta alla xenofobia, la lotta allo sfruttamento, il contrasto del traffico di esseri umani, il potenziamento dei sistemi di integrazione, l’assistenza umanitaria, i programmi di sviluppo, le procedure di frontiera nel rispetto del diritto internazionale a cominciare dalla Convenzione sui rifugiati del 1951) – e accanto ai suoi obiettivi pone diversi generali incoraggiamenti a una maggiore cooperazione fra gli stati per gestire meglio il fenomeno migratorio, oltre a qualche proposta più politica, come l’apertura di vie legali per l’immigrazione.

 

… mentre il Decreto immigrazione vuole creare insicurezza

Tuttavia con l’adozione del cosiddetto nuovo Decreto Sicurezza e Immigrazione un nuovo varco viene ora passato e si apre il campo all’evidenza di soglie ancora non presenti nell’analisi di Hannah Arendt.

Finita l’emergenza concreta degli arrivi di migranti che i numeri ufficiali esprimono, qui l’obiettivo è che questa possa continuare, letteralmente creando le condizioni affinché le paure alimentate ai fini di costruire il consenso possano cinicamente e realmente avverarsi attraverso l’adozione di un provvedimento che porterà progressivamente decine di migliaia di persone per strada, senza dimora, compresi minori, presumibilmente nelle grandi città.

Fenomeno già inevitabilmente iniziato come le segnalazioni che già stanno arrivando chiaramente indicano.

“Sono stati mandati via in 50 con la protezione umanitaria. E sono solo i primi. Stanno consegnando i permessi di soggiorno e se ne devono andare. Così la città si sta riempiendo di gente che vive per strada. Ce ne accorgiamo la sera quando portiamo la cena ai senza dimora. Sono una marea. Vengono anche da altri Cas della Sicilia orientale. Stanno facendo dimissioni a tutto spiano, anche di donne vulnerabili con bambini piccoli o con problemi psichici”. (Walter Cerreti, Comunità di Sant’Egidio di Catania, 1 dicembre 2018)

“Si ritrovano in mezzo alla strada, dovendo sopravvivere in qualche maniera. Invisibili, non clandestini.” (don Rino Le Pera, Direttore Caritas Diocesana, Crotone, 1 dicembre 2018)

“Il decreto sicurezza appena approvato dal Governo sta per avere i suoi devastanti effetti. La rete di solidarietà delle associazioni di Crotone si è attivata immediatamente dopo che si è sparsa la notizia che 24 migranti sarebbero stati fatti uscire dal Cara di Isola Capo Rizzuto. Tra di loro una famiglia di quattro persone con una bambina di sei mesi e la mamma incinta, alcune persone ammalate con patologie gravi. Per effetto del nuovo decreto sicurezza, infatti, queste persone, che hanno esaurito l’iter burocratico per lo status di rifugiati non hanno più diritto nè di stare in un Cara, nè di entrare in uno Sprar (centro di seconda accoglienza). Prima del dl sicurezza, invece, esaurito l’iter burocratico si poteva accedere ad uno Sprar tramite richiesta e in attesa della disponibilità era possibile restare nel Cara.” (Bruno Palermo, Crotonenews, 30 novembre 2018)

I dati offerti da Matteo Villa, ISPI Research Fellow, Migration Programme, parlano chiaro:

“Con l’abolizione della protezione umanitaria del Decreto Sicurezza, entro il 2020 in Italia 60.000 nuovi irregolari. Da aggiungersi a oltre 70.000 nuovi irregolari nello scenario di status quo. Totale: 130.000 nuovi irregolari in Italia.”

Ci troveremo di fronte ad una drammatica realtà sociale artificiosamente creata secondo schemi inediti a livello nazionale ma già conosciuti a chi ha avuto la ventura di vivere in regioni già amministrate dalla medesima forza politica prima promotrice di questa cinica strategia di governo.

 

Il valore di una cabina di regia regionale

Ebbi l’opportunità di poterlo rappresentare sin dall’incontro pubblico che organizzai a Bergamo con il supporto del Partito Democratico cittadino il 12 settembre 2015, pensato per offrire ai nostri concittadini la possibilità di assistere ad un confronto tra due amministratori, il Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani e il Sindaco di Bergamo Giorgio Gori, chiamati a confrontarsi sulle loro rispettive esperienze ed attività amministrative.

E così su un fronte estremamente caldo e di grande attualità politico-umanitaria quale la gestione dei flussi migratori apparì improvvisamente in tutta la sua evidenza un fenomeno su cui non c’era così piena conoscenza e consapevolezza da parte dei cittadini.

In Friuli Venezia Giulia, grazie all’apposito coordinamento condotto direttamente dalla Regione che non delegava ai Prefetti la gestione dei flussi dei migranti, i comuni – pur in una situazione sempre inevitabilmente complessa – non si trovano ad affrontare le gravi difficoltà che anche un’Amministrazione sensibile e virtuosa come quella di Bergamo riscontrava ogni giorno sul tema a causa dell’assenza di una specifica dedicata cabina di regia di Regione Lombardia.

Un’assenza che obbligava i Sindaci lombardi a rispondere direttamente e prontamente alle richieste dei Prefetti che a loro volta senza possibilità di preavviso né di pianificazione si trovavano costretti ad assegnare ai loro comuni la gestione di quote non previste di migranti. Con l’aggravante per i comuni e gli enti ospitanti di trovarsi anche sanzionati dalla Regione stessa per l’accoglienza offerta in strutture da questa giudicate non compatibili con le funzioni loro autorizzate (clamoroso a Bergamo fu il caso dell’accoglienza nell’estate 2015 di 24 migranti alla Ca’ Matta che costò la perdita di finanziamenti regionali al Parco dei Colli di Bergamo).

Differenze sulla possibilità di risoluzione di questioni fondamentali del nostro tempo che emergevano come pienamente determinate da scelte strategiche puramente politiche – condizionando inevitabilmente la nostra capacità di essere protagonisti attivi delle sfide che siamo chiamati ad affrontare nonché influendo sulla nostra coscienza e sulla qualità della nostra vita individuale e collettiva – vennero così portate all’evidenza della cittadinanza con l’obiettivo di determinarne piena consapevolezza e rafforzarne il coinvolgimento in una nuova visione che si deve sempre più affermare attraverso innovativi processi di partecipazione diffusa.

 

L’Europa: un impegno da rinnovare…

Un impegno che a maggior ragione oggi più che mai deve essere rinnovato con forte determinazione, senso di responsabilità e piena consapevolezza. Perché la posta in gioco diviene sempre più alta.

Perché la nostra visione deve essere necessariamente mantenuta all’altezza della missione che intendiamo perseguire, da affrontare stando sulle soluzioni e non su problemi alimentati spregiudicatamente solo quale occasione per sviluppare il consenso.

Perché i nostri sogni possano continuare a mantenersi vivi nei progetti che nel tempo abbiamo saputo sviluppare e a cui stiamo cercando di dare piena concretezza.

…in un passaggio storico cruciale

In un’emozionante presentazione del libro “Siamo qui. Storie e successi di donne migranti” di Giusi Sammartino (Bordeaux Edizioni, 2018), Sonila Alushi, albanese, splendida protagonista di una delle storie raccolte nel volume ha detto che il giorno in cui ha ottenuto la cittadinanza italiana ha pensato “Sono italiana perché l’Italia io l’ho scelta. E ora finalmente mi sento europea”. Una grande testimonianza e una grande lezione di umanità e senso della storia per tutti noi.

Lei aveva un sogno che con coraggio, passione e visione ha reso un progetto che con indomita perseveranza ha realizzato.

Siamo in un passaggio cruciale della nostra Storia, l’Europa è anche il nostro sogno che stiamo coltivando in un progetto che abbiamo preziosamente ereditato e che stiamo perseguendo.

Un progetto di pace, di apertura e di giustizia sociale che nessuna mistificazione e artificiale manipolazione deve poter compromettere. Ne dobbiamo assumere piena consapevolezza alla vigilia di elezioni europee che nel maggio 2019 ne sanciranno il destino e che rappresentano la vera decisiva sfida di questo nostro tempo.

E’ nostra responsabilità, da vivere, nelle parole di Sandro Gozi, “Con la responsabilità da figli ricostruttori dei Padri fondatori dell’Europa”.

Facciamolo insieme. Per continuare a tenere accesa, insieme, la speranza nel nostro futuro.

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