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Il cambio di regime in Iran e la strategia di Donald Trump

Alessandro Maran lunedì 23 Giugno 2025
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di Alessandro Maran

 

“E adesso?”, ha scritto ieri la giornalista del New Yorker Susan Glasser.
“Senza un cambio di regime da parte del popolo iraniano, per il popolo iraniano, lì e nella regione non ci può essere stabilità e prosperità a lungo termine”, ha scritto Abbas Milani, esperto di cose iraniane presso la Stanford University, per Project Syndicate (https://www.project-syndicate.org/…/only-regime-change…). E in effetti, anche considerando solo il programma nucleare iraniano, molti analisti hanno affermato che il regime potrebbe riorganizzarsi e correre verso la bomba dopo la cessazione delle ostilità.
Sarebbe possibile rovesciare il regime rivoluzionario islamico, o scatenare una rivolta popolare iraniana contro di esso, senza una massiccia invasione terrestre? Su Foreign Affairs, Eric Edelman, Reuel Marc Gerecht e Ray Takeyh scrivono che Israele dovrebbe fare “molto di più per smantellare i poteri coercitivi dello stato di polizia della teocrazia, e farlo senza azioni militari che uccidano un gran numero di civili, soprattutto donne e bambini” (https://www.foreignaffairs.com/…/right-path-regime…). Ciò includerebbe colpire siti affiliati ai Basij, la forza paramilitare volontaria iraniana. Una campagna di propaganda americana anti-regime sui social media sarebbe d’aiuto, così come un’ulteriore pressione economica, sostengono.
Mettendo in dubbio sia il cambio di regime che la possibilità di porre fine al programma nucleare iraniano, qualche giorno fa l’ex diplomatico statunitense per il Medio Oriente Aaron David Miller ha detto a Isaac Chotiner del New Yorker: “A meno che Trump non sia pronto a procedere verso un cambio di regime, americani e israeliani non potranno distruggere il programma nucleare iraniano. Ci sono tre modelli per un cambio di regime nella regione. Il primo è l’Egitto o la Tunisia: milioni di egiziani e tunisini in piazza e le forze di sicurezza si rifiutano di aprire il fuoco. Il secondo: una forza militare organizzata e coesa, credibile – nel caso siriano, si trattava di una forza affiliata ad Al Qaeda sostenuta dai turchi. Non sapevano nemmeno con quale rapidità avrebbero potuto raggiungere Damasco. La vacuità del regime ha facilitato tutto questo. La terza opzione è l’Iraq e l’Afghanistan. Nessuno di questi scenari di cambio di regime è appropriato o rilevante per la situazione attuale in Iran. Quindi la domanda diventa: anche se distruggessero (l’impianto nucleare iraniano di) Fordow, potrebbero distruggere definitivamente un programma nucleare iraniano? Che cosa ne impedisce la ricostituzione?” (https://www.newyorker.com/…/donald-trumps-no-strategy…).
Sulla strategia di Donald Trump di non adottare alcuna strategia sull’Iran (l’articolo del New Yorker è intitolato “Donald Trump’s No-Strategy Strategy on Iran”) è tornata anche Anne Applebaum su Substack (“Trump non ha una strategia. Né in Iran né altrove”: https://open.substack.com/…/ann…/p/trump-has-no-strategy): “Scrivo subito dopo che l’esercito americano ha sganciato una serie di bombe su obiettivi nucleari iraniani. Non conosco ancora l’esito completo dell’attacco, né quale sarà la risposta. I miei amici nella diaspora iraniana, come molti iraniani comuni, hanno sentimenti contrastanti. Da un lato, sono preoccupati per ciò che potrebbe accadere a familiari e amici all’interno del Paese. Dall’altro, ‘la gente ritiene il regime responsabile dell’attacco’, mi ha scritto una di loro. Mi ha detto che lo slogan ‘Questa non è la nostra guerra’ era di tendenza sui social media iraniani. Persuasion ha pubblicato un articolo di un’iraniana anonima che, a mio parere, cattura perfettamente questa ambivalenza. L’autrice cita sua zia: ‘Non vogliamo la guerra. Ma stasera, sapere che gli uomini che ci hanno tenuto in ostaggio per quarantasei anni, che hanno saccheggiato il nostro Paese, violentato e ucciso le nostre figlie e giustiziato i nostri uomini perché chiedevano il rispetto dei loro diritti umani fondamentali, stanno finalmente avendo quel che meritano, mi porta pace’” (https://www.persuasion.community/p/a-letter-from-an-iranian).
“Ci sono già stati effetti positivi: il danno al programma iraniano per le armi nucleari e il danno arrecato alla leadership della Guardia Rivoluzionaria, persone responsabili di aver torturato gli iraniani, sponsorizzato il terrorismo e diffuso la violenza in tutto il Medio Oriente. Ma questo è solo l’inizio. Purtroppo non ho alcuna fiducia nel giudizio del Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, la cui incoscienza e il cui fanatismo hanno già causato migliaia di morti inutili a Gaza. Ha anche usato la guerra per continuare il suo attacco alla democrazia israeliana, licenziando di recente il capo dello Shin Bet, l’equivalente israeliano dell’FBI, in quello che a molti israeliani è sembrato un passo eccessivo (https://en.idi.org.il/articles/58715). Non mi fido che non scatenerà una guerra più ampia, non mi fido che modererà il suo uso della violenza e certamente non credo che gli importi che tipo di governo iraniano emergerà da questo attacco. Né credo che il presidente Trump sia interessato al destino dell’Iran, al futuro del Medio Oriente, o a qualsiasi altra cosa tranne se stesso. Il suo obiettivo principale è assicurarsi che, in ogni scontro, sia lui a ‘vincere’. Questa è la filosofia che determina la sua politica sulla Russia, sui dazi, su Harvard o sulle deportazioni: non ciò che è bene per l’America, ma ciò che è bene per Trump. Prima di lanciare questo attacco non ha fatto alcun tentativo di consultare il Congresso o di costruire un sostegno tra l’opinione pubblica. Ha tagliato o eliminato le trasmissioni televisive finanziate dagli Stati Uniti verso l’Iran, quindi gli Stati Uniti non possono comunicare facilmente con gli iraniani, figuriamoci influenzare ciò che accadrà in seguito (https://www.wsj.com/…/radio-free-europe-iran-kari-lake…). Non credo che abbia considerato attentamente cosa farà se l’Iran contrattaccasse, o se il regime si rafforzasse, o addirittura se il regime crollasse. Forse altri intorno a lui lo hanno fatto. Trovo che le persone razionali facciano fatica ad accettare questa mancanza di lungimiranza. Tutti vorrebbero credere nell’esistenza di una partita a scacchi tridimensionale in cui il presidente americano ha una qualche strategia segreta a lungo termine. Ma non lo fa mai”.
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