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Il caso Aquarius e l’ipocrisia europea

Giovanni Cominelli lunedì 18 Giugno 2018
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di Giovanni Cominelli

 

Il gesto muscolare di Matteo Salvini di respingere la nave Aquarius, gestita da una ONG francese, dai porti italiani – dove, d’altronde, continuano ad approdare altre navi di questo tipo – ha sollevato un’ondata di indignazione morale. Ma, se le considerazioni etiche non sono accompagnate da un’adeguata analisi della realtà geopolitica, si riducono a puri flatus voci di anime belle, oltre che, a loro volta, essere usate impropriamente come mezzi di lotta politica. L’etica non può mai ridursi alla continuazione della politica con altri mezzi. Sennò diventa ipocrisia.

 

I paesi europei sfuggono ai loro obblighi politici

Se Salvini ha usato i 629 disperati in cerca di un porto per un ricatto politico-umanitario verso gli altri Paesi europei – “se siete così umanitari, perché non aprite i vostri porti?!” – la ragione di fondo documentata è che i Paesi europei, a loro volta, da tempo si nascondono dietro le urgenze umanitarie imposte dalla collocazione geografica all’Italia – 8 mila chilometri di coste – per sfuggire ai loro obblighi politici concordati verso il nostro Paese.

Insomma: la politica europea dell’immigrazione è fondata sul ricatto politico-morale reciproco e sulla fuga.

Partiamo dai numeri. Rispetto alla popolazione, gli immigrati in Italia sono l’8,5%, in Germania il 10,5%, in Spagna il 9,5%, in Francia l’8,6%. Tuttavia la percezione del fenomeno altera notevolmente questa realtà.

Da molteplici sondaggi risulta che per gli Italiani, gli immigrati sarebbero il 24,6%, per i Tedeschi il 13%, per gli Spagnoli il 23,2%, per i Francesi il 18%. Ovviamente, gli elettori votano in base alle percezioni.

Che cosa spiega questo divario tra realtà e percezione? Due fatti.

 

Il divario tra realtà e percezione

Il primo: la Lega in Italia, il Front national in Francia, ADF in Germania… hanno condotto un’intensa attività di disinformazione, di allarmismo, di diffusione di paura. Vi hanno costruito sopra una fortuna politico-elettorale.

Il secondo fatto, per quanto concerne l’Italia, sono i 600 mila clandestini, la cui presenza attiva rende più insicure le strade e le periferie delle città, altera il paesaggio socio-culturale, mentre la loro attività criminale è quattro volte più alta di quella degli Italiani.

Quest’ultimo dato è segnalato da un esperto quale il prof. Gianfranco Blangiardo. Aver consentito da parte dei governi di centro-destra e di centro-sinistra una tale accumulazione ha spianato la strada al messaggio di Salvini relativo a ordine, sicurezza, identità nazionale. Ora, che la campagna elettorale è – quasi – finita, tornano i problemi reali.

 

Il Trattato di Dublino

Il primo è rappresentato dall’art. 13 del Trattato di Dublino. Siglato multilateralmente da dodici Paesi il 15 giugno 1990, entrato in vigore nel 1997, sostituito nel 2003 da Dublino II, ulteriormente revisionato nel giugno 2013 come Dublino III, esso recita: “Quando è accertato … che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un Paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale”. Tradotto: la responsabilità dell’asilo è del Paese di primo sbarco. Cioè: Italia, Spagna, Grecia. Firmato dal governo Berlusconi-Maroni nel 2011, il Trattato è stato travolto dagli eventi successivi, che portano i nomi di Siria, Eritrea, Sudan, Centro Africa, Afghanistan, Pakistan, Primavere arabe fallite, caduta di Gheddafi, ISIS… I Paesi mediterranei si sono trovati a gestire improvvisamente un enorme flusso e a richiedere urgentemente la ripartizione europea dei rifugiati. Come hanno riconosciuto, senza tuttavia muovere dito, Macron e la Merkel, “l’Italia è stata lasciata sola”. Nessun Paese europeo intende, fino ad ora, ripartirsi gli immigrati che approdano in Italia.

 

L’azione del Ministro Minniti

Lasciata sola, l’Italia ha incominciato a muoversi con decisione solo nel 2017 con il Ministro Minniti: accordi con le varie fazioni libiche, ipotesi di interventi politico-militari in Centro Africa, controllo delle attività delle ONG, collaborazione con l’UNHCR finora colpevolmente assente dai campi libici, snellimento delle procedure di selezione degli aventi diritto ed espulsioni più rapide e più numerose. E, in sede europea, richiesta pressante di revisione del Trattato di Dublino.

I risultati si sono visti: nel 2018 gli sbarchi sono finora solo 13.706, diminuiti del 79%, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

 

La logica della nazione-fortezza

Sul fronte europeo, invece, è già fallito, ai primi di giugno, un primo incontro per modificare l’art. 13 di Dublino III. In vista di quello previsto a fine giugno, forse altrettanto sterile, l’Italia di Salvini ha cambiato strategia.

Il punto primo è la logica della nazione-fortezza. Se l’Europa si rifiuta di ripartire le quote di immigrati, allora è meglio che non arrivino neppure sulle nostre coste. Dunque, respingimenti, prima che tocchino terra. Aquarius è un paradigma e solo un inizio. Ogni nazione faccia da sé e respinga da sé.

Così, ed è il secondo passaggio della nuova strategia, non ha più molto senso andare in giro per l’Africa a tentare di fermarli a casa loro. Di qui l’idea di annullare la progettata missione politico-militare italiana nel Niger e la polemica con la Tunisia e la revisione degli accordi con le fazioni libiche. Chiusi i porti, saranno fermati appena arrivati in acque internazionali. Li raccolga chi vuole: Macron, Merkel, Sanchez?… Se questa è la strategia di Salvini, l’UE non ha finora espressa una linea alternativa. Minniti è stato sconfitto, infine, dalla troppo lunga ignavia dei governi precedenti e dall’ipocrisia europea.

 

L’Africa, un enorme buco nero

Resta sullo sfondo l’enorme buco nero dell’Africa. Se i Paesi europei si illudono di affrontare in ordine sparso la piena dell’Africa, ne saranno travolti. Dopo la Conferenza di Berlino, iniziata il 15 novembre del 1884, nella quale gli imperialismi europei si spartirono il Continente nero, consegnandolo al destino tragico che oggi ci ritorna indietro, forse sarebbe il caso che ora proprio Berlino organizzasse una Nuova conferenza europea sull’Africa. Perché è lì che si decide il destino demografico, culturale, economico dell’Europa. Certo, la Merkel non è Bismarck. Ma neppure Conte, a quanto pare, è Depretis.

 

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