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Il paradosso radicale

Danilo Di Matteo martedì 19 Aprile 2016
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Come nella vita, anche in politica vi sono questioni più immediate e più facilmente intuibili e altre più sotterranee, tali magari da somigliare a un fiume carsico. Così il discorso, ascoltato mille volte, sul mancato approdo socialdemocratico del Pci, sul tramonto dei trenta gloriosi anni del dopoguerra e sul “destino cinico e baro” del Psdi e del Psi storico – insomma: la questione socialista – è di certo tuttora motivo di riflessione e di discussione fra politologi e osservatori politici, e lo stesso Pd non può eludere il confronto con gli eurosocialisti. I quali, a loro volta, si dibattono fra difficoltà, ritardi, conflitti. In Italia, però, la sinistra ancora fa i conti con i radicali, con il loro passato e con ciò che oggi rappresentano. Incarnata da decenni da Marco Pannella e da Emma Bonino, la questione radicale viene troppo spesso identificata solo con le battaglie per i diritti civili e con i referendum. Essa, in realtà, esprime una sorta di altra Italia; anzi, dà voce all’alterità pure rispetto a quest’ultima.

La cifra dei radicali è il paradosso. Da liberali di sinistra, ad esempio, essi si sono posti non di rado in polemica con il “milieu azionista” che pure ha esercitato un’influenza non marginale sulla nostra vicenda nazionale. Pannella, in particolare, evoca poi sovente le nozioni gramsciane di blocco sociale e di egemonia, criticandole e nel contempo attualizzandole. E che dire della sua ammirazione per un democratico cristiano come Romolo Murri?

Infrangere schemi, paradigmi, pregiudizi in nome di un approccio alla politica insieme empirico e ideale, visionario e pragmatico è per i radicali un esercizio costante. La loro laicità a oltranza, il loro laicismo si nutrono di un confronto appassionato con il cattolicesimo liberale, con il protestantesimo, con le religioni orientali. Da qui la loro imprevedibilità. E poi l’idealizzazione del mondo anglosassone. Spesso, ascoltandoli, si ha l’impressione di un capovolgimento delle tradizionali categorie politico-culturali: da qui la sensazione di confusione e di caos che possono trasmettere. Pannella, anzi, ritiene impropria l’espressione “cultura politica”, considerando la cultura già politica e la politica, quella autentica, già cultura. E non pochi sono i contributi che i radicali offrono al lessico politico: vocaboli come corpo, vissuto, vita, cuore, morte, nonviolenza (rigorosamente senza trattino) rivelano una naturale e spontanea politicità. Per non dire dei loro giochi di parole, dei loro aforismi e delle loro acrobazie linguistiche e concettuali, sul filo dell’ironia e della “fantasia come necessità”. Contro l’Italia fascista e contro quella sfascista, i radicali pongono al centro del discorso politico l’individuo, battendosi nel contempo affinché non sia solo. Anzi, anni addietro rimasi molto colpito al riguardo da una frase del leader: compito della politica è contrastare la solitudine dei singoli.

Già, il leader. Il leader che forma e promuove i giovani come fossero suoi figli e poi li divora, quasi posseduto da una sorta di sindrome di Saturno, come notava a suo tempo Miriam Mafai. Forse è proprio il rapporto del leader con i suoi compagni a rappresentare un’area problematica nella vicenda radicale. Pannella talora evoca l’immagine della “dittatura romana”. Come dire: “dittatore” mio malgrado, in nome della necessità, affinché siate liberi. Trionfo del paradosso e dell’aporia.

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