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Il Sud e il populismo nazionalsocialista del M5S

Alfonso Pascale martedì 25 Settembre 2018
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di Alfonso Pascale

 

Nel dibattito sull’esito elettorale del 4 marzo si è poco riflettuto su come il leghismo, da Bossi a Salvini, si sia intrecciato con il fenomeno grillino e su come tale groviglio sia avvenuto intorno ai temi del Mezzogiorno.

Le domande a cui rispondere sono: c’è un nesso tra l’affermazione dei Cinque Stelle al Sud e l’espansione della Lega su tutto il territorio nazionale, registrate alle politiche di quest’anno, e la modalità con cui si avviò la rottura del sistema politico della Prima repubblica ad opera della Lega Nord che prevedeva la progressiva sostituzione della “questione meridionale” con la “questione settentrionale”? Quali elementi di continuità si possono riscontrare nella costruzione di una peculiare visione dell’Italia e della sua storia nazionale, posta in atto dalla Lega di Bossi e confluita nel “contratto” del governo giallo-verde?

Come ha detto vent’anni fa il politico e storico Enzo Santarelli (“Il Sud nella storia della Repubblica”, intervista a cura di Simone Misiani, in “L’Ora locale. Lettere dal Sud”, a. 1, n. 1 gennaio-febbraio 1997), il Mezzogiorno resta comunque la vera cartina di tornasole con cui misurare le diverse interpretazioni della storia nazionale. E allora vediamo se anche in questo caso, tale criterio funziona.

Ho suddiviso questa riflessione in tre articoli: il primo sull’evoluzione della Lega da Bossi a Salvini è stato pubblicato su questo sito il 6 settembre 2018, mentre l’ultimo sarà dedicato all’uso strumentale dei “giorni della memoria” come collante tra Lega e M5S.

 

La struttura autoritaria del Movimento

Mentre il fenomeno leghista si presenta con caratteristiche abbastanza decifrabili, il Movimento Cinque Stelle non è classificabile e appare molto ambiguo. Resta per molti aspetti un fenomeno inquietante soprattutto per la sua natura ibrida di struttura aziendale e di movimento politico con una vita interna davvero opaca e autoritaria. Non si comprende cosa sia il “popolo del web” perché non ci sono dati. Non si sa chi sono gli iscritti e con quali requisiti si accede alla cyber-élite. Il programma di questa formazione politica è praticamente inesistente, non perché non si trovi in rete e non si possa scaricare, ma perché è volutamente ambiguo, fluttuante, interpretabile a seconda della tattica del momento. Il capo politico Luigi Di Maio sembra assumere sembianze robotiche sempre perfettamente programmate senza toni e senza sfumature. Ha pieni poteri nell’ambito politico, ha scelto i capilista dell’uninominale, ha vagliato le intere liste, può segnalare dissidenti e oppositori ai probiviri. I probiviri li ha nominati lui e li può revocare lui. Ha indicato i presidenti dei gruppi di Camera e Senato, poi votati all’unanimità. Se il capo politico ritiene, può rimuovere i presidenti. Il presidente, che può essere rimosso dal capo politico, nomina il comitato direttivo (vicepresidenti, tesoriere ecc.) su proposta del capo politico. I parlamentari del Movimento si eleggono il capogruppo in commissione, che però può essere rimosso dal presidente, che può essere rimosso dal capo politico. Il presidente nomina il direttore amministrativo, l’organo di controllo, il capo dell’ufficio legislativo, il capo del personale, nomine che può revocare in qualsiasi momento, così come il capo politico può revocare la sua. Il capo politico, insieme col presidente, decide l’azione politica e la comunicazione. I parlamentari che non condividono le decisioni del capo politico, o pregiudicano l’immagine e l’azione politica decisa dal capo politico, sono espulsi e pagano una penale di 100 mila euro. Invece i parlamentari che vogliono entrare nel Movimento, se accettati dal capo politico, lo fanno gratis. Il capo politico dipende in qualche modo (ma nessuno lo sa!) dal capo dell’azienda, Davide Casaleggio.

 

La radice buffonesca 

Questo movimento non sarebbe mai nato e non avrebbe potuto consolidarsi senza la notorietà di Beppe Grillo e il vasto seguito conquistato dal comico in molti programmi televisivi. Come ha detto il sociologo Franco Ferrarotti, “c’è un filo rosso buffonesco, ma con aspetti tragici, che attraversa la storia italiana dal “Manifesto dei Futuristi” di Marinetti del 1909 fino a Beppe Grillo, un capocomico che si è improvvisato capo politico”. Lo studioso parla di “commedia dell’arte che, come si sa, non aveva una trama ma era affidata all’attore che improvvisava e così appaiono le soluzioni irrealistiche e demagogiche – il reddito di cittadinanza – prospettate dagli eredi del capocomico per problemi drammatici come quello della disoccupazione giovanile”.

Grillo è il comico delle cantine genovesi, il teatrante di “Te la do io l’America” che, nel 1986, ospite della popolare trasmissione “Fantastico 7”, si produsse in un monologo sulla visita della delegazione italiana in Cina, con un Claudio Martelli che chiedeva all’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi: “I cinesi sono un miliardo e sono tutti socialisti… Ma allora a chi rubano?”.

Da allora Grillo fu invitato di rado dalla Rai e iniziò a lavorare in teatri, arene sportive e piazze cittadine, con monologhi satirici, non solo su episodi di corruzione, ma anche su temi ambientali con un approccio fortemente antiscientifico e antitecnologico. A tale proposito, c’è un aspetto curioso che va ricordato. Grillo odiava i computer a tal punto da distruggerne uno alla fine di ciascuno dei suoi show. Li accusava di essere un mito di falso progresso. Ma nel 2004 diventò un entusiasta del web. Mentre è a Livorno per uno spettacolo, il comico genovese conosce infatti l’informatico Gianroberto Casaleggio e ne resta affascinato. Sicché il 26 gennaio 2005 dà vita al blog beppegrillo.it, coadiuvato dalla Casaleggio Associati, società di marketing e di strategie di rete. Un blog che si è rivelato una potente “Macchina” capace di catturare un crescente consenso.

 

La preistoria della Casaleggio Associati

Ma vediamo chi era Gianroberto Casaleggio. L’informatico aveva studiato e sperimentato con molto intuito e rigore la “Macchina” all’interno delle aziende dove aveva lavorato per una ventina d’anni. La sua iniziativa è stata definita dal giornalista Jacopo Iacoboni un “Esperimento”, termine che dà il nome al suo libro edito nel 2018 da Laterza, che contiene un’inchiesta sui Cinque Stelle. Un “Esperimento” condotto nel vivo di una rivoluzione tecnologica: quella della rete divenuta la base di continue “innovazioni di innovazioni” e capace, scombinando straordinariamente tutti i parametri di geografia e di tempo, di rigenerarsi con un paradigma interattivo in qualcosa che ha offerto a miliardi di persone le piazze dove sentirsi protagonisti. “In tal modo – ha scritto Enrico Gotti in un post su Facebook – il mercato di beni, servizi e idee ha preso una danza nuova dove alla domanda di personalizzazione hanno risposto piazze digitali che hanno risucchiato i rapporti personali e le transazioni personali ed economiche che avevano reso vive le nostre piazze per millenni”. La grande opportunità si è trasformata in un grande vuoto, dove il Disagio di tutti i colori, compreso quello senza colore del grande corpaccio dei “malpancisti”, ha trovato nella semplificazione estrema (like/dislike-love/hate) il modo per affermare se stesso.

È la prepotente irruzione del soggetto, con la sua aspirazione a felicità, libertà, benessere ed autorealizzazione che trova nella rivoluzione digitale la sua esplosione. Fin dagli inquietanti anni Trenta, se andiamo a rileggere (come giustamente suggerisce Giovanni Orsina nel suo libro “La democrazia del narcisismo. Breve storia dell’antipolitica” edito da Marsilio nel 2018) quanto scrivevano Johan Huizinga e Ortega Y Gasset sull’“uomo-massa”, vale a dire quel cittadino nella cui anima il principio di eguaglianza e la promessa di libertà, insite nel concetto stesso di democrazia, vengono portati alle estreme conseguenze. Ritorna infatti quello che, in  “Ribellione delle masse”, Ortega y Gasset chiamava “il trionfo di una iperdemocrazia in cui la massa opera direttamente imponendo le sue aspirazioni e i suoi gusti”. Adesso la massa s’illude di ribellarsi alle élite, assoggettandosi alle tecnocrazie digitali.

Gianroberto Casaleggio non arriva digiuno di politica all’incontro con Grillo. Tra il 1994 e il 2004  aveva seguito con simpatia la Lega di Umberto Bossi. Il Senatùr sarà l’unico politico tradizionale, assieme ad Antonio Di Pietro, a piangerlo al suo funerale, nell’aprile 2016 a Milano.  Gianroberto stesso ha così descritto questo suo interesse per Bossi: “I meet up dovranno essere dove sono i cittadini. Non dovranno essere solo una cosa virtuale. Sapete perché la Lega ebbe il successo che ebbe? Perché era nei bar, all’inizio c’erano quattro gatti a sentire Bossi. Ve lo dico perché uno di quei quattro gatti ero io”.

Nel 2006 la Casaleggio si è occupata del blog di Antonio Di Pietro e, successivamente, della comunicazione online dell’Italia dei Valori. Con questa attività la Srl milanese ha potuto pesare per la prima volta con mano il valore economico che rappresenta una collaborazione con la politica.

 

Il Giullare e la Rete

Dopo quel tirocinio, Gianroberto incrocia il “Giullare” intento a riproporre nei suoi saturnali della democrazia la favola del “mondo alla rovescia” filtrata dalle antiche feste italiche e medievali. Per secoli, il “Giullare” ha potuto insultare nel modo peggiore il sovrano assoluto, facendo ridere a crepapelle quello che, con un cenno del capo, avrebbe condannato a morte qualsiasi dissenziente. Ed ora qualsiasi avversario politico può essere distrutto, con qualsiasi mezzo tecnologico, perché ad operare la dissacrazione è il “Giullare” a cui tutto è permesso (“è un comico”, “è innocuo”).

Immediato è il successo di questa nuova formula nata da un esperimento cognitivo di ingegneria sociale di un informatico e dall’incontro con un grande megafono e influencer di masse. Dall’aprile 2006, beppegrillo.it è il terzo sito web per informazione online più visitato in Italia ed è tra i primi dieci blog al mondo. Nel 2005, il “Time Magazine” elegge Grillo uno degli eroi europei nel mondo dei media. Nel settembre 2005, “La Repubblica” dà spazio a una lettera aperta nella quale Grillo e altri cittadini chiedono le dimissioni, in seguito allo scandalo Antonveneta, del governatore della Banca d’Italia. Il 22 Novembre 2005, “The International Herald Tribune” pubblica una pagina, autofinanziata attraverso il blog, dedicata all’appello “Parlamento Pulito”, in opposizione alla rielezione di parlamentari italiani ed europei condannati per vari reati in via definitiva. Infine nel 2008, “The Observer” classifica beppegrillo.it nono tra i blog più influenti del mondo; e l’anno seguente, “Forbes” colloca il blogger italiano settimo nella lista delle celebrità del web.

 

L’invenzione del Vaffa

È in tale contesto che il comico genovese invita la sua community ad organizzarsi autonomamente sulla blogosfera, la cui fase ascendente coincide con il primo grande evento di piazza: il V-day (Bologna 8 settembre 2007). La “V” ha un triplice significato: ricalca il segno di vittoria lanciato da Churchill, riprende la “V” di vendetta del fumetto di Alan Moore e David Lloyd e, più prosaicamente, sta per il “Vaffa” che viene rivolto a gran voce contro i politici italiani sul blog il 14 Giugno 2007.

Durante il V-day vengono raccolte 350.000 firme affinché i cittadini dichiarati colpevoli, a qualsiasi livello di giustizia, non possano concorrere per il Parlamento; l’elezione in Parlamento non possa essere rinnovata per più di due mandati, anche retroattivamente; i candidati siano scelti con il voto di preferenza.

Le opinioni già espresse al V-Day e la partecipazione del comico alla festa dell’Unità di Milano il 15 settembre 2007, criticando in modo aspro la dirigenza dei DS ed il governo di centrosinistra, marcano il suo definitivo distacco dai partiti e, quindi, la conquista di uno spazio politico autonomo. La piattaforma grillina viene organizzata in gruppi MeetUp.

Grillo sul blog annuncia di non concorrere alle elezioni politiche del 2008, per contestare il meccanismo delle liste bloccate, che non permetterebbe agli elettori di scegliere effettivamente i propri rappresentanti. Nello stesso anno vengono presentate alle elezioni locali le liste “Amici di Grillo”, di cui alcuni membri vengono eletti. Inoltre Grillo appoggia la candidatura alle europee di due candidati indipendenti, Luigi De Magistris e Sonia Alfano, nelle liste di Italia dei Valori, il partito guidato da Antonio Di Pietro.

Subito dopo le elezioni politiche, in occasione del 25 aprile, Grillo organizza a Torino il V2-day. Durante la manifestazione, egli prende di mira i giornalisti, paragonando la Liberazione dell’Italia nel 1945 dai nazi-fascisti alla liberazione contemporanea dell’intera comunità dal fascismo dei media tradizionali. E propone, su questa linea, tre referendum abrogativi: uno per abolire l’ordine dei giornalisti, uno per abolire i sussidi pubblici all’editoria e uno per abolire la legge Gasparri sul sistema radiotelevisivo.

L’8 marzo 2009, a Firenze, si svolge il primo incontro ufficiale delle liste civiche “amiche” del comico genovese che si conclude con la redazione della Carta di Firenze, applicabile a tutti i comuni a Cinque Stelle. Lo stesso anno, provocatoriamente, il blogger si candida alle primarie del PD. Com’è naturale, trova la porta sbarrata. Grillo ci tiene, comunque, a sottolineare che non tutto il PD avrebbe chiuso la porta: “Ho visto che Adinolfi e Marino (sfidanti di Bersani e di Franceschini) hanno detto di essere favorevoli. Solo il ‘globulo’ è contrario, Fassino”.

 

La nascita del MoVimento

Il 4 ottobre del 2009 a Milano viene dichiarata ufficialmente la nascita del MoVimento (la V maiuscola è quella del “Vaffa”). La sede coincide con beppegrillo.it e il blogger genovese risulta l’unico titolare dei diritti d’uso del nome e del simbolo delMoVimento.

Quando Casaleggio aveva avuto rapporti con Di Pietro, internet era ancora, convenzionalmente, una mera vetrina e bacheca, non un luogo di costruzione del consenso, finanziamento e produzione di pubblicità virale. La vera rivoluzione della politica italiana avviene nel 2009 con la nascita del M5S e con la creazione del sistema operativo Rousseau, cioè con la sperimentazione del nesso inscindibile tra partito e azienda.

La definizione del rapporto di interazione tra attività aziendale e soggetto politico è stata così espressa da Davide Casaleggio: “Garantiamo un servizio migliore e siamo più efficienti” della vecchia politica “nel portare le istanze dei cittadini dentro le istituzioni”, mentre “il sistema dei partiti ormai non sta più in piedi neanche economicamente”.

Se poi consideriamo i filmati degli interventi dei parlamentari caricati sui canali web ufficiali che valgono visualizzazioni, clic, pubblicità, tocchiamo con mano il secondo pezzo portante del sistema politico-economico Cinque Stelle: non solo una piccola azienda ha edificato una forza politica che si autofinanzia, ma questa forza politica, ancor più da quando è entrata in massa in Parlamento, diventa essa stessa un asset economico dell’azienda.

Alla Casaleggio nascono i post del blog di Grillo con le uscite più discutibili, per esempio i vergognosi attacchi sessisti alla Boldrini. Racconta Iacoboni che quando Nicola Biondo, allora capo della comunicazione M5S alla Camera, obiettò a Gianroberto che il post sulla Presidente della Camera era stato orribile, lui rispose, gelido: “Nicola, noi dobbiamo imparare a canalizzare il sentimento della Rete e usarlo. Oggi abbiamo sbagliato ma il risultato che ne è venuto fuori ci dice che la Rete è dalla nostra parte. È la Rete che decide la reputazione delle persone. Per il futuro dobbiamo essere in grado di canalizzare questo sentimento senza apparire direttamente, governandolo”. In questa risposta si racchiude il manifesto, lucido e sinistro, della nuova cyberpropaganda.

 

La crescita elettorale

Dopo la creazione ufficiale del movimento, nelle elezioni regionali del 2010 i Cinque Stelle ottengono il 6% in Emilia-Romagna e il 4% in Piemonte. Nelle elezioni amministrative del 2011, il M5S colloca i suoi candidati in 75 municipalità e ottiene il 9,5% a Bologna.

A seguito del malcontento sociale suscitato dalle misure di austerità introdotte dal governo Monti, alle elezioni amministrative del 2012, specialmente al primo turno, i grillini ottengono quasi il 9%, raddoppiando i risultati del 2010. Ma il successo non si estende uniformemente sul territorio nazionale, perché le cento municipalità pentastellate restano concentrate nelle aree urbane del Centro-Nord. Il M5S riesce ad ottenere l’elezione di quattro suoi sindaci, tra cui la più significativa risulta quella di Pizzarotti a Parma.

Un ulteriore progresso per i Cinque Stelle si realizza con le elezioni regionali in Sicilia, il 28 ottobre 2012, dove diventano il primo partito con il 15%. E successivamente, nelle elezioni nazionali del 24 e 25 febbraio del 2013 che si concludono senza un netto vincitore: i pentastellati risultano il terzo partito, ottenendo il 16%.

Nelle ultime elezioni amministrative del 5 giugno 2016, spicca l’elezione a sindaco di due grilline, a Roma e a Torino. Nella capitale, Virginia Raggi ottiene al ballottaggio ben il 67% (in relazione al 35% del primo turno). Nel capoluogo piemontese, Chiara Appendino il 55% (che era un 31% al primo turno). Per festeggiare la duplice vittoria, il Giullare si affaccia alla finestra dell’Hotel Forum a Roma con un appendino da giacca al collo e una luce che dalla stanza si accendeva e spegneva: una scenetta a uso di media che lì per lì neanche capiscono. Esiti comunicativi forse incontrollabili quando il capocomico e il politico vengono a coincidere nella stessa persona.

Da queste esperienze vincenti l’azienda-partito trae una conferma dell’intuizione di Gianroberto Casaleggio: “I messaggi politici – aveva scritto il figlio Davide in “Tu sei Rete” (2012) – sono le strategie e le indicazioni dei comportamenti che l’organizzazione si aspetta dai propri membri. I messaggi di base riguardano le comunicazioni interne di ogni tipo (ordini di servizio, comunicazioni affisse nella bacheca, ecc.). Infine, i messaggi di immagine riguardano le informazioni sullo stile dell’organizzazione e il rapporto dell’organizzazione con l’ambiente (logo, sponsorizzazioni, ecc.)”. Utilizzando i luoghi privati della Rete (messaggi diretti su Twitter, chat su WhatsApp, mailing list, ecc.), l’organizzazione può dettare dall’alto, attraverso “messaggi di base”, ai propri membri alcune cose (comportamenti, politiche, campagne), quelle che “si aspetta dai propri membri”. Di materiale ce n’è a bizzeffe nel grande magazzino dell’Italia dei “no”, dell’esaltazione dell’assistenzialismo e dello statalismo, del rivendicazionismo esasperato dei diritti senza civismo, del mito bucolico della decrescita felice, del localismo egoistico e del nazionalismo autarchico. L’Esperimento a questo punto entra nella sua fase matura soprattutto nelle regioni meridionali dove il populismo ha continuato a incistarsi indisturbato.

 

La vittoria nel Sud

Non a caso alle ultime politiche i Cinque Stelle hanno conquistato una posizione assolutamente egemonica nel Mezzogiorno, cosa che non si era verificata nel 2013. Complessivamente la loro percentuale di voti al Sud è stata pari al 47,3% alla Camera e al 46,6% al Senato. Complessivamente il livello di consensi al Sud è stato superiore di quasi 15 punti rispetto a quello calcolato sul piano nazionale. Nel Mezzogiorno il M5S ha ricevuto 1.847.500 suffragi in più rispetto al 2013. Chi riteneva che questo partito potesse avere qualche difficoltà proprio nei collegi uninominali dove i candidati delle altre forze erano accreditati di una maggiore esperienza nella raccolta di consensi “personali”, è stato smentito dai fatti. I candidati del M5S hanno vinto in 33 su 34 collegi al Senato e in 66 su 69 alla Camera. Nel confrontare le “mappe” delle diverse consultazioni elettorali, ha destato stupore la notevole coincidenza tra la distribuzione territoriale del voto ai Cinque Stelle e quello alla DC del 1992, quando la DC si era già meridionalizzata avendo ceduto al Nord voti alla Lega.

Come ha dimostrato l’Istituto Cattaneo, il risultato straordinario del M5S nel Mezzogiorno è dipeso dal fatto che, in quest’area del Paese, ha svolto la funzione di “partito pigliatutti”, con una Lega che non ha sottratto voti ai pentastellati come invece è avvenuto nel Centro-Nord. A risultare vincente è stata la svolta moderata impressa al movimento dall’investitura di Luigi Di Maio, dal passo “di lato” di Grillo e dalla scelta di condurre una campagna elettorale dai toni più istituzionali e meno movimentisti.

È questa miscela di giacobinismo e moderatismo a caratterizzare i Cinque Stelle. Un mix di giustizialismo, moralismo, radicalismo ambientalista, localismo egoistico, neo-borbonismo, assistenzialismo, statalismo e nazionalismo che la sinistra meridionale non ha saputo combattere in questi ultimi venticinque anni, riaggionando su basi nuove il riformismo meridionalista, e che oggi è precipitato, in una versione distorta, nel populismo nazional-socialista del M5S.

Il fattore decisivo di tale esito è stata la vertiginosa caduta della fiducia verso la politica con il suo carico di rancori e risentimenti, a cui si è aggiunta – come ha scritto Umberto Ranieri sul “Corriere del Mezzogiorno” (7 settembre 2018) – la capacità dei Cinque Stelle di attrarre consensi smuovendo “tic e vizi ideologici del progressismo e della sinistra italiani e un ben noto lessico familiare: le trame dei poteri forti, le multinazionali che rapinano, i padroni che sfruttano, l’Europa ostile, la Cina vicina a Putin disposto ad aiutarci”.

Se si guarda ai gruppi dirigenti del centrosinistra che in questi ultimi decenni hanno amministrato le regioni meridionali  o sono stati eletti parlamentari nazionali nelle circoscrizioni e nei collegi del Sud non si riscontrano grandi differenze con il personale politico eletto ora nelle liste pentastellate: demagogia, avventurismo e incapacità sono i tratti distintivi comuni. Un cambiamento, dunque, solo di facciata che contribuirà ad aggravare le condizioni del Mezzogiorno.

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