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La catastrofe in atto e il futuro incertissimo. Come l’8 settembre

Giovanni Cominelli sabato 28 Marzo 2020
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di Giovanni Cominelli

 

Quando infuriano le pesti, si sollevano attese millenaristiche, velleità di rifare il mondo dalle fondamenta, frenesie di vivere, voglia di risorgere. Nascono grandi speranze, descritte dal Cantico di Zaccaria: “…visitabit nos Oriens ex alto –un sole che sorge verrà a visitarci dall’alto”. Quanto ai morti, “le anime salgono al cielo aperto, le ossa restano agli uomini”, così i Carmi del vescovo Alfano (XI secolo). “Nulla sarà più come prima” è il nostro brand di questi giorni. Avvertiamo nettamente che c’è da cambiare in profondità; che l’intreccio tra epidemia e globalizzazione malata – impasto mal riuscito di super-globalizzazione finanziaria e semi-globalizzazione manifatturiera, secondo Giulio Sapelli – può accelerare le tendenze disgregatrici delle società occidentali e, certamente, di quella italiana.

Intanto, i nostri ragazzi sono immersi traumaticamente in un mondo tragico di morte e di insensatezza. L’infosfera digitale, nella quale sono per lo più imbozzolati in questi giorni, non li protegge dalle domande che li investono sul mondo che verrà, se e quando verrà. E’ a loro che dobbiamo le risposte adesso, mentre la scia dei loro nonni morti si allunga.

La prima domanda: come è potuto accadere? E’ la domanda più semplice e disarmante che possa comparire sulle loro labbra: perché?! Come spieghiamo ai ragazzi e ai giovani che il 31 gennaio avevamo solo due contagi e che il presidente del Consiglio dichiarava “siamo prontissimi” e che oggi, alla fine di marzo, i contagiati sono 60 mila e i morti stanno arrivando a 10 mila? La risposta a tale domanda non può distrarci neppure un attimo dall’impegno, in prima linea o nelle retrovie, per sconfiggere il virus con il minor numero di perdite.

Ma, prima di infilarci in improbabili metanoie escatologiche e in progetti radicali di cambiamento degli assetti economico-sociali mondiali, è necessario incominciare a progettare il futuro prossimo, a partire dal bilancio dei due mesi già trascorsi e in vista di quelli che ci inseguiranno fino all’esaurimento della pandemia.

Il corpo del Paese sta attraversando un tunnel di fuoco; non c’è organo di esso che non abbia subito profonde bruciature: il governo, l’amministrazione, le imprese, i cittadini.

 

Ci è mancata la politica

Che cos’è che ci è mancato? La politica, semplicemente. Il governo c’è, ma è incapace di governance. Essa non consiste solo nel disporre di una maggioranza parlamentare, ma nella capacità di decidere, di utilizzare univocamente le leve del comando politico e amministrativo, lungo tutta la filiera. Tale capacità non si è vista e non si vedrà neppure in futuro. Tamponi, mascherine, respiratori, laboratori, letti, zone rosse, coprifuoco, gestione degli Ospedali e delle Case di riposo, indisciplina diffusa, assenza di tecnologie di tracciamento e di controllo: su questi passaggi concretissimi e banali si è arenato il governo, tra improvvisazione, incertezze, “gride” spagnole. Arenato non da gennaio 2020, ma da anni.

Gli effetti, tragici, stanno nei numeri. Solo a fine marzo si scopre che le Case di riposo sono diventate degli obitori. Perché si è attesa tale catastrofe? Solo gli spagnoli potranno superarci, perché hanno i nostri stessi problemi, l’impotentia decidendi; o gli americani e gli inglesi, perché non basta decidere, occorre anche evitare le decisioni sbagliate.

Il Covid-19 ha testato il nostro Paese: la debolezza della politica e la potenza delle corporazioni, le resistenze, i particolarismi, i rinvii, i ritardi tecnologici, le viltà, le irresponsabilità, la demagogia, il populismo, le incompetenze hanno fatto massa e hanno messo il Paese in ginocchio.

Anni di populismo hanno sottoprodotto forze che stanno tanto al governo quanto all’opposizione solo preoccupate di “seguire il popolo”, invece di governarlo. Ora stiamo cercando di rimanere a galla dentro questo fiume violento e limaccioso, appoggiandoci all’eroismo del personale sanitario, ai preti che assistono gli altri fino a morirne, agli “Italiani brava gente”, capaci di esprimere generoso volontariato, ma per la metà restii a pagare le tasse.

 

Il futuro rischioso

No, non si squarcerà nessun “terzo cielo” sopra il nostro capo, se non riprendiamo in mano la questione-chiave: quella del governo del Paese, che il Covid-19 ha rivelato assente. Un governo democratico e istituzionalmente forte. In un’arena mondiale nella quale si scontrano gli egoismi nazionali e le grandi potenze, sulla quale soffia il vento gelido della recessione in arrivo, in un’Europa che sta perdendo forse definitivamente la strada, l’Italia si muove come un gladiatore disarmato tra le belve del Colosseo. Il Dio infantile che ha guidato fin qui le nostre incerte fortune ci ha lasciati. In tempi molto brevi, accelerandosi la crisi manifatturiera, con la disoccupazione in aumento, la povertà che entrerà nelle case e la disperazione dei giovani ci troveremo di fronte a movimenti di piazza e di società civile, da cui insorgerà la domanda, che la storia dell’Italia e dell’Europa ha già conosciuto: quella della punizione dei responsabili e quella dell’Uomo forte.

E i partiti? Tra la società civile e lo Stato hanno sempre svolto una funzione di mediazione e di raccordo. Il Covid-19 li ha messi manifestamente fuori gioco. E’ l’esito di un lungo suicidio, incominciato con la crisi della Prima repubblica. Hanno avuto paura delle riforme istituzionali, che toglievano loro potere rispetto allo Stato e al governo; hanno preferito spartirsene qualche brandello impotente.

Lo scenario di questo mese e dei prossimi è ora piuttosto limpido: un governo debolissimo, una crisi produttiva ed economica gravissima. Un secondo 8 settembre. Se occorre l’audacia, invocata da Baricco, questo è il momento.

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