di Carlo Fusaro
Lo spettacolo tenutosi al vertice NATO di due giorni fa a L’Aia è stato francamente penoso.
Con punte imbarazzanti come gli sms del segretario generale MinPres Mark Rutte a Donald J. Trump.
Il seguito non è più serio, a partire dalla sparata della segretaria del PD Elly Schlein che già annuncia la fine dello stato sociale facendo finta di credere alla bufala del 5% messa in scena a beneficio del bullo della Casa Bianca.
In realtà (a) non è il 5%; al massimo potebbe essere il 3.5% perché l’1.5% è per sacco di roba magari utile ma che con la difesa ha a che fare solo di striscio (vedi il ponte di Messina); (b) il 3.5% è meno di quanto si spendeva sul PIL ai tempi della guerra fredda (quando l’Urss soffocava la libertà in Ungheria, dove sembrano esserselo scordato, Repubblica Ceca e Polonia, ma non si sognava di scatenare aggressioni da milioni di vittime come Putin); ( c) il 3.5% non è ora ma fra dieci anni quando nel mezzo ci saranno state (2028 e 2032) non una ma due elezioni in America e del bullo sarà rimasta solo la penosa memoria; (d) saranno i singoli Stati a decidere come modulare e quando il progressivo aumento della spesa; (e) una verifica è comunque prevista fra cinque anni.
Non fraintendetemi: io penso che gli europei facciano benissimo a riarmarsi, penso che debbano farlo e nel più rapido tempo possibile. Per sé stessi, per difendere la propria sovranità, per le generazioni future.
Sognerei però classi dirigenti e paesi procedere con serietà: magari fermandosi al 3% (fo per dire), ma non inseguendo una cifra buttata a caso da questo presidente Usa che è il più inaffidabile interlocutore che quel grande paese abbia offerto al mondo dalla Dichiarazione d’Indipendenza in avanti: una sorta di manifesto ambulante di come NON si guida un paese, grande o piccolo che sia, un pugno quotidiano in faccia rispetto ai valori in cui la più parte di noi crede.
Invece tocca far finta di dargli retta, tocca blandirlo (e in qualche caso peggio, vedi Rutte e non solo Rutte), tocca incensarlo perfino quando le spara grosse.
Ed è qui che io sento prorompere in me, da europeo e da amico da degli USA, una rabbia sorda: (1) contro gli americani per essersi buttati via a questo modo scegliendosi un presidente a tal punto platealmente corrotto, ignorante, arrogante, narcisista, volubile e una parola inaffidabile, mettendo così a repentaglio il mondo intero, competitors, veri e propri nemici e amici trattati tutti come bambini incapaci (rectius: tutti tranne Putin, dio solo sa perché); (2) contro noi stessi europei che ci siamo messi nella condizione, per imprevidente ingenuità e inseguendo modesti interessi di breve periodo, di dovere a tutti i costi guadagnare tempo privandoci della possibilità stessa di rispondere al bullo di Washington come meriterebbe, ma anzi provando a ingraziarcelo, dando spesso e con poche eccezioni l’impressione di aver perduto anche la dignità. Costretti così a dedicarci tutti alla commedia dell’arte: come nel caso del finto 5%. Che è poi, appunto, molto meno di un vero e concreto 3%.
Presidente del Comitato scientifico di Libertà Eguale. Già professore ordinario di Diritto elettorale e parlamentare nell’Università di Firenze e già direttore del Dipartimento di diritto pubblico. Ha insegnato nell’Università di Pisa ed è stato “visiting professor” presso le università di Brema, Hiroshima e University College London. Presidente di Intercultura ONLUS dal 2004 al 2007, trustee di AFS IP dal 2007 al 2013; presidente della corte costituzionale di San
Marino dal 2014 al 2016; deputato al Parlamento italiano per il Partito repubblicano (1983-1984).