di Alessandro Maran
È stato bello finché è durato. Con gli Stati Uniti d’America abbiamo passato dei bei momenti, ma il mondo è pronto per andare avanti. Questa è la tesi sostenuta in due saggi notevoli, pubblicati nell’ultimo numero di
Foreign Affairs, entrambi incentrati sul predominio degli Stati Uniti negli affari mondiali, che dura dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, e su come Trump lo stia distruggendo.
Delineando la “fine del lungo secolo americano”, gli studiosi Robert O. Keohane e Joseph S. Nye Jr. scrivono che “coartando” gli alleati e agendo in modo nazionalistico e unilaterale, Trump sta sminuendo il potere degli Stati Uniti. “Attaccando l’interdipendenza, [Trump] mina le fondamenta stesse del potere americano”, scrivono. “La potenza associata al commercio è un hard power, basato sulle capacità materiali. Ma negli ultimi 80 anni, gli Stati Uniti hanno accumulato un soft power, basato sull’attrazione piuttosto che sulla coercizione o sull’imposizione dei costi. Una politica americana saggia dovrebbe mantenere, anziché interrompere, i modelli di interdipendenza che rafforzano il potere americano, sia l’hard power derivante dalle relazioni commerciali sia il soft power dell’attrazione. La continuazione dell’attuale politica estera di Trump indebolirebbe gli Stati Uniti e accelererebbe l’erosione dell’ordine internazionale che dalla Seconda Guerra Mondiale ha giovato a così tanti paesi, e soprattutto agli Stati Uniti” (
https://www.foreignaffairs.com/…/end-long-american…).
Kori Schake, consulente e analista di politica estera e di difesa dell’
American Enterprise Institute, sostiene che per molte delle stesse ragioni, gli Stati Uniti non sono più la “nazione indispensabile” descritta dall’ex Segretario di Stato Madeleine Albright.
Mentre Trump cerca di massimizzare i profitti da ogni relazione con gli Stati Uniti, Schake identifica un presupposto comune: che le democrazie liberali e gli amici degli Stati Uniti non abbiano alternative. Possono indispettirsi con l’America di Trump, ma la preferiscono comunque alla Russia o alla Cina. Secondo Schake, questo presupposto è fondamentalmente sbagliato, definendolo il prodotto di una “mancanza di immaginazione”, un peccato capitale nella strategia geopolitica.
Gli altri Paesi possono effettivamente allontanarsi, scrive Schake. Questo potrebbe iniziare lentamente, con i capi di Stato che evitano le visite alla Casa Bianca, con la NATO che annulla un vertice per privare Trump dell’opportunità di esibirsi contro i membri dell’alleanza, o con paesi che si rifiutano di acquistare buoni del Tesoro e obbligazioni statunitensi (o che insistono su tassi di interesse più elevati, il che renderebbe più costoso mantenere l’elevato debito pubblico americano). “Negli anni a venire, le alleanze che ci sono voluti decenni per coltivare inizieranno ad appassire, e i rivali degli Stati Uniti non perderanno tempo e cercheranno di sfruttare il vuoto che ne deriverà”, scrive Schake. Alcuni partner di Washington potrebbero aspettare un po’, sperando che i loro amici americani tornino in sé e cerchino di ristabilire qualcosa di simile al tradizionale ruolo di leadership degli Stati Uniti. Ma non si può tornare indietro: la loro fede e la loro fiducia sono state irrimediabilmente danneggiate. E non aspetteranno a lungo, neanche il ritorno alla normalità americana che equivarrebbe a meno di un ripristino completo. Presto, andranno avanti, e così farà il resto del mondo” (
https://www.foreignaffairs.com/…/dispensable-nation-schake).
Ad ogni modo, Happy Fourth of July!
Già senatore del Partito democratico, membro della Commissione Esteri e della Commissione Politiche Ue, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Parlamentare dal 2001 al 2018, è stato segretario regionale dei Ds del Friuli Venezia Giulia.
Correlati