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di Salvatore Bonfiglio

 

Per ragionare sulla formazione del Governo e sul ruolo del Presidente della Repubblica è sempre utile iniziare da una lettura attenta del testo costituzionale e considerare, inoltre, la reale dinamica della forma di governo. L’art. 92, comma 2, della Costituzione attribuisce al Presidente della Repubblica la nomina del Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, dei ministri.

 

Il ritorno al parlamentarismo consensuale

Ora, se nel parlamentarismo maggioritario le fasi preparatorie dell’iter di formazione del Governo risultano praticamente svuotate di contenuto, con il “ritorno” al parlamentarismo consensuale, non essendoci chiarezza del risultato elettorale, l’atto di nomina del Presidente del Consiglio si configura giuridicamente, come volevano i Costituenti, come “atto complesso”, perché alla formazione dell’atto concorrono due volontà, ovverosia quella del Presidente della Repubblica e quella del nuovo Presidente del Consiglio. A conferma di questa lettura è opportuno ricordare che, una volta sciolta positivamente la riserva da parte dell’incaricato, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge n. 400/1988, si procede di norma all’emanazione contestuale di tre decreti da parte del Presidente della Repubblica tutti controfirmati dal nuovo Presidente del Consiglio: 1) il decreto di accettazione delle dimissioni del precedente Governo; 2) il suddetto decreto di nomina del Presidente del Consiglio; 3) il decreto di nomina, su proposta di quest’ultimo, dei Ministri.
La formazione del Governo si conclude con l’ultima fase (quella che potremmo definire integrativa dell’efficacia) in cui il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri, prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica (art. 93 Cost. it.).
Questo procedimento unico tende a rafforzare la posizione stessa del Governo e, in particolare, del Presidente del Consiglio che dirige la politica generale del Governo, mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri.
La formazione del Governo fu così concepita dai Costituenti anche come argine alla possibile evoluzione del sistema parlamentare in regime assembleare.

 

La sfida di Lega e M5S

Dalle recenti vicende politiche, però, emerge che il M5S e Lega hanno voluto “sfidare” il Presidente della Repubblica e le regole costituzionali, a cominciare dalla “proposta” del Prof. Conte. Il Presidente della Repubblica, non volendo certo ostacolare la formazione del Governo, ha conferito comunque l’incarico a Conte, il quale nei passaggi successivi ha dimostrato (e non poteva certo essere altrimenti!) una totale assenza di autonomia dai partiti che lo avevano “proposto”. In questo delicato passaggio costituzionale, la moderazione del Presidente della Repubblica Mattarella è stata mal interpretata dai partiti suddetti, che hanno interpretato la “neutralità” del Capo dello Stato come debolezza e passività, come presidenza meramente notarile.
La vicenda relativa al disaccordo sul nome del ministro dell’economia si colloca in questo quadro di forzature delle regole costituzionali da parte dei due principali attori politici, M5S e Lega, che hanno rilanciato ancora una volta la loro “sfida” in questi termini: “o così o il voto”. E così questa estate andremo nuovamente a votare.

In conclusione, con il “ritorno” al parlamentarismo consensuale, il comportamento del Presidente della Repubblica Mattarella è stato conforme alla lettera della Costituzione, mentre i partiti che hanno “vinto” le elezioni politiche si comportano, come avevano già fatto nel corso della campagna elettorale, come se ci fosse in Italia un sistema parlamentare maggioritario, in cui i poteri del Capo dello Stato tendono ad affievolirsi.

 

 

*Università degli Studi Roma Tre

https://twitter.com/BonfiglioS

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