di Alessandro Maran
Sono in molti a chiederselo: c’è una logica in questa follia?
Stati Uniti e Cina hanno concordato di fare marcia indietro dall’orlo del precipizio di una guerra commerciale insensata, almeno per 90 giorni. Nectar Gan, Auzinea Bacon e Juliana Liu della
CNN riferiscono che l’accordo, raggiunto lunedì a Ginevra tra i negoziatori americani e cinesi, “significa di fatto che gli Stati Uniti ridurranno temporaneamente i dazi doganali complessivi sui prodotti cinesi dal 145% al 30%, mentre la Cina ridurrà i dazi sulle importazioni americane dal 125% al 10%, secondo la dichiarazione congiunta” rilasciata da entrambi i governi (
https://edition.cnn.com/…/us-china-trade-deal…). La dichiarazione dettaglia una reciproca e parziale sospensione dei dazi mentre proseguono i negoziati, ma non prevede altre concessioni (
https://www.whitehouse.gov/…/joint-statement-on-u-s…/).
La domanda fondamentale rimane: perché?
Shuli Ren, editorialista di
Bloomberg Opinion, ritiene che l’ampia campagna tariffaria del presidente Donald Trump, che ha fatto crollare i mercati prima di riprendersi quando Trump ha iniziato a sospendere o ad attenuare alcuni dei dazi annunciati, stia danneggiando l’economia statunitense. Questo di per sé ha motivato l’amministrazione Trump a moderare le cose, scrive Ren: “È un enorme sollievo per le piccole imprese e milioni di lavoratori su entrambe le sponde del Pacifico. Ma è anche un segno che, nonostante la loro immagine da uomini forti, il presidente Donald Trump e la sua controparte Xi Jinping non sono privi di buon senso. Con dazi proibitivi che porterebbero essenzialmente a un embargo totale, le due maggiori economie mondiali stanno soffrendo” (
https://www.bloomberg.com/…/trump-and-xi-tone-down-a…).
L’inflazione mensile negli Stati Uniti è scesa allo 0,2% ad aprile, portando il tasso di inflazione annuale al 2,3% (
https://edition.cnn.com/…/us-cpi-consumer-inflation-april). Ma l’editorialista di
Bloomberg Andrea Felsted scrive che per il resto dell’anno (e forse anche oltre), i consumatori statunitensi potrebbero registrare gli effetti complessi dei dazi cinesi imposti da Trump e della loro sospensione di 90 giorni. “In mezzo all’incertezza sulla crescita economica, ai tagli di posti di lavoro e all’inflazione, ci vorrà del tempo prima che i consumatori riacquistino la fiducia”, scrive Felsted. “Anche se così fosse, ci sono alcune ragioni per cui il disagio per rivenditori e gruppi di beni di consumo potrebbe essere prolungato (…) L’interruzione richiederà tempo per essere eliminata dal sistema. Prendiamo i giocattoli (…) Anche se la produzione riprendesse immediatamente, Babbo Natale potrebbe non portare alcuni articoli. Il rischio maggiore è uno tsunami di merci che arrivano nei grandi magazzini di fascia media quando non sono più gradite; giacche primaverili più pesanti e maglieria, ad esempio, dopo che le temperature si sono già alzate con l’avvicinarsi dell’estate. Questo è esattamente ciò che è accaduto nel 2022, quando gli ingorghi della catena di approvvigionamento in vista delle festività natalizie del 2021 hanno portato all’arrivo di abbigliamento da casa e piccoli elettrodomestici sei mesi dopo, quando i consumatori se n’erano già andati. Ciò ha portato a una montagna di giacenze che i negozi sono stati costretti a scontare. Se ora succede la stessa cosa, ciò metterà alla prova la determinazione dei rivenditori a resistere ai ribassi. E non aiuta il fatto che i consumatori si siano affrettati ad acquistare negli ultimi mesi in previsione di prezzi più alti” (
https://www.bloomberg.com/…/us-china-trade-deal-us…).
Di nuovo: perchè?
“Siete confusi sulla politica tariffaria di Donald Trump, sul perché ha istigato una guerra commerciale globale, su quale sarà il suo impatto sull’economia statunitense e su quanto graverà sul vostro portafoglio?”, chiede Michael Hiltzik, editorialista economico del
Los Angeles Times. “Unitevi al club. Lo sono anche economisti, esperti di commercio, pronosticatori politici e lo stesso Trump (…) Lunedì, ad esempio, Trump ha dichiarato di aver ottenuto un ‘reset totale’ nelle relazioni commerciali con la Cina. Questo non sembra essere vero, dato che il nocciolo dell’annuncio era una pausa di 90 giorni nella recente tornata di dazi imposti dagli Stati Uniti sui prodotti cinesi e di imposte di ritorsione cinesi sui beni importati dagli Stati Uniti” (
https://www.latimes.com/…/trumps-uk-china-deals-leave…).
Per anni, Trump si è scagliato contro la fuga di posti di lavoro nel settore manifatturiero statunitense verso la Cina, criticando aspramente il precedente consenso bipartisan statunitense sull’abbassamento delle barriere commerciali. Al di là del quadro generale del commercio, la prima amministrazione Trump ha esercitato pressioni sulla Cina in una più ristretta “guerra tecnologica”, spingendo gli alleati degli Stati Uniti a rinunciare all’infrastruttura 5G di Huawei e limitando le esportazioni di tecnologie statunitensi critiche verso la Cina. Ma qual è l’obiettivo globale di Trumpnelle relazioni tra Stati Uniti e Cina? In cosa consiste la strategia cinese di Trump? Il mese scorso, su
ChinaFile, una rivista online pubblicata dall’Asia Society, gli esperti hanno discusso di questo (
https://www.chinafile.com/…/what-even-trumps-china…).
“Cercare una ‘strategia cinese’ coerente sotto Trump 2.0 potrebbe essere ciò che un’espressione idiomatica cinese definisce, arrampicarsi su un albero per cercare un pesce”, ha scritto Wendy Cutler dell’
Asia Society Policy Institute . “Presuppone un livello di coerenza e continuità istituzionale che semplicemente non può esserci. L’approccio di Trump non si basa sulla strategia in senso convenzionale (…) La politica cinese di Trump riguarda meno la Cina e più la visione di potere di Trump. Paradossalmente, l’assenza di una rigida ideologia, unita alla presa di Trump sulle istituzioni nazionali, potrebbe produrre aperture sorprendenti”.
L’economista e giornalista Lizzi C. Lee ha proposto un’altra interpretazione: “Lo scopo della guerra commerciale è quello di demolire il sistema economico internazionale cooperativo degli ultimi 80 anni e sostituirlo con uno in cui gli Stati Uniti abbiano una capacità illimitata di costringere gli altri paesi a fare ciò che vogliono, sotto la minaccia di perdere l’accesso al mercato americano. I dazi sono lo strumento preferito di Trump sia perché ritiene che l’accesso al mercato sia il migliore strumento di pressione per gli Stati Uniti, sia perché l’attuale legge statunitense non pone limiti alla possibilità di imporre personalmente dazi su qualsiasi paese per qualsiasi motivo. L’interpretazione più benigna possibile del gioco di potere su tutti i fronti di Trump è che voglia semplicemente dimostrare la sua posizione dominante e ottenere dichiarazioni di sottomissione”.
Già senatore del Partito democratico, membro della Commissione Esteri e della Commissione Politiche Ue, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Parlamentare dal 2001 al 2018, è stato segretario regionale dei Ds del Friuli Venezia Giulia.
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