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di Marco Campione

 

Sul Foglio di lunedì 1 luglio Carlo Calenda ha pubblicato un articolo il cui titolo è tutto un programma: “Rivoluzione immoderata”. In passato non ho risparmiato critiche alle scelte di Calenda, non tanto nel merito, ma nel metodo. Credo infatti che abbia sottovalutato l’importanza delle cose che lui stesso oggi evidenzia e che questo lo abbia portato a perdere l’occasione delle elezioni Europee per porre le basi della rivoluzione che propone.

 

Alleanza PD-5S? Conservazione di ceto politico

Un esempio? Scrive oggi, paventando il rischio di una futura alleanza Pd-M5S: “Il Pd sta silenziosamente e in parte inconsapevolmente percorrendo questa strada, nonostante la contrarietà di buona parte dei suoi elettori. Si tratta di una operazione di conservazione di ceto politico, nascosta dietro posticci richiami a una “vocazione maggioritaria” degna di ben altra incisività di azione politica… Tutti sanno che l’obiettivo era e rimane [quello]”.

Ma questo era evidente anche prima delle elezioni: Fassino e Franceschini lo hanno teorizzato il giorno dopo le elezioni, gli uomini “di pensiero” di Zingaretti (molti oggi li ha portati in Segreteria) ne hanno fatto la base teorica del loro congresso, idem gli ex “scappati di casa” che hanno votato prima Zingaretti alle primarie e poi i suoi candidati di area alle europee, lo stesso Gentiloni in alcune interviste televisive lo ha lasciato intendere come extrema ratio

 

Con metafora calcistica, Calenda prova a verticalizzare

Cosa fatta capo ha. Quel che conta adesso è che Calenda con il suo intervento di lunedì prova -perdonatemi la metafora “pop” – ad aggredire gli spazi, attaccare la profondità, verticalizzare. Oggettivamente una novità di rilievo, in un contesto dove i cialtrosovranisti hanno un gioco più avvolgente (uno presidia la fascia sovranista, l’altro quella cialtrona, entrambi il falso nueve del populismo), Forza Italia abbandona il campo perché è saltata l’illuminazione e il Pd fa catenaccio per difendere lo 0-2 in casa, confidando in un buon risultato al ritorno.

Qual è la profondità che Calenda individua e si propone di attaccare, per lanciare l’uomo (o, perché no, la donna) dietro l’ultima linea avversaria? Qual è lo spazio (politico) da aggredire? Quello tra i popolari subalterni al sovranismo e quello di chi – a sinistra – si acconcia ad un bipolarismo Lega – Pidistelle (il vero incubo tra tutte le evoluzioni possibili, anche perché è indubbio chi prevarrebbe).

Ovvero “l’Italia seria, quella che produce, lavora, studia, si impegna, sempre più orfana di una rappresentanza politica”. 

 

Le vecchie famiglie sono troppo forti e troppo deboli

Non si può che condividere l’obiettivo posto da Calenda, ovvero “la nascita di un pensiero politico nuovo che recuperi in parte e rinnovi quello delle tre grandi famiglie politiche europee: popolari, liberal-democratici, socialdemocratici”. 

E se questo è l’obiettivo è inevitabile partire da chi lo condivide. Sono molti, ma oggi sono in “diaspora”. Ve ne sono in Forza Italia, nel Pd – e in gran numero, forse la maggioranza relativa – nelle formazioni cosiddette minori e nell’astensione.

 

Troppo forti e troppo deboli 

Oggi le famiglie di origine sono troppo forti per lasciare che qualcosa nasca al loro interno e troppo deboli per diventare esse stesse catalizzatrici di quel pensiero politico nuovo evocato dall’europarlamentare. In passato l’operazione è riuscita a Forza Italia in un campo e al Pd nell’altro. Oggi non vedo le condizioni. 

Per questo la nuova sintesi auspicata da Calenda non può nascere dentro (o con il permesso di) nessuna delle forze eredi delle quattro grandi famiglie (a quelle evocate da Calenda va aggiunta quella ambientalista). Spero però che al loro interno “gli uomini di buona volontà” colgano il segnale e si mettano a disposizione della elaborazione annunciata da Calenda: se son rose fioriranno.

 

Un pensiero politico nuovo: il ruolo di Libertà Eguale

Visto che scrivo sul magazine di Libertà Eguale, apro una parentesi: l’associazione può avere un ruolo importante in questo processo. È nata dalle intuizioni dei riformisti, anche allora in un certo senso dispersi per la crisi delle “grandi famiglie” (socialista, comunista, popolare), determinando la nascita del PD; oggi potrebbe essere incubatore di ciò che non c’è o comunque aggregatore di chi non ha casa o si sente ospite indesiderato in quella che frequenta. Chiusa parentesi.

 

Leadership, idee, organizzazione

Ho imparato proprio militando in questa associazione che un partito è definito da un triangolo ai cui vertici troviamo leadership, idee e organizzazione. Calenda si propone di partire dalle idee e forse è l’uovo di Colombo.

Di organizzazione è davvero troppo presto per parlarne e aver impostato tutta la discussione su quale sia il leader che può aggregare i dispersi ci ha fatto perdere tempo ad aspettare Godot. Renzi, Carfagna, Bentivogli e lo stesso Calenda, nessuno è ancora “uscito” dalla sua casa (politica o sindacale).

Nessuno – da solo – ha la forza di farlo, ammesso che ne abbia la volontà. La scommessa è che la forza possa arrivare dalle idee e da chi si aggregherà attorno ad esse, per questo vale la pena di impegnarsi con generosità.

 

Partiamo dalle idee

Proviamo a partire dalle idee, allora. A patto ovviamente di non illudersi che gli altri due vertici del triangolo non siano necessari, ma per onestà intellettuale va riconosciuto che anche se parti dalla leadership non puoi scordarti del resto. In fondo quando è nato il PD, si è partiti dalle idee del Lingotto e Renzi lo conoscevano solo a Firenze (e nemmeno tutti).

I due capisaldi (i principi e i valori delle democrazie liberali; un investimento straordinario sull’uomo, quindi su cultura e competenze) e le quattro priorità indicati da Calenda sono un ottimo inizio.

 

Quale campo?

C’è un punto, lo accennavo sopra, sul quale invece forse non siamo d’accordo. Purtroppo è un punto che ritengo essenziale, non mi esporrei altrimenti alla possibile accusa di attardarmi in distinguo da Circolo del Whist. Confido nella clemenza della Corte!

Ha infatti ragione Calenda, non è il tempo dei distinguo! Purché questo non voglia dire nascondersi le contrarietà. Almeno quelle importanti. A conclusione di questo ragionamento, onestamente a me non è chiaro cosa intende Calenda con “unire il campo democratico”. E se intende il centrosinistra temo che sia destinato a fallire. Per quello c’è già il Pd, che però come ha riconosciuto Calenda ha scelto un’altra strada.

Questa nuova “forza” non può decidere in modo predeterminato in quale “vecchio” campo si colloca, se quello del centrodestra o del centrosinistra. Non può avere quel potere attrattivo che cerchiamo, se fa questo errore. Partiamo già “deboli”, coltivando la speranza – necessità o virtù? – che bastino le idee ad aggregare i dispersi (se ci fosse una leadership forte sarebbe questa a definire il campo): se a questo limite aggiungiamo anche quello dello schieramento, non si vede perché dovremmo risultare attrattivi per chi oggi non si riconosce in nessuno schieramento. O per chi fatica a riconoscersi e vota con sofferenza, ogni volta tentato anch’egli dall’astensione. 

Diamo forza a quelle idee e saranno gli altri a dover scegliere. Chi oggi vota Forza Italia (e le persone serie che votano Lega, ce ne sono!) tra noi e Salvini, la sinistra più tradizionale (e le persone serie che votano Cinquestelle, ce ne sono!) tra noi e Di Battista. Se entrambi sceglieranno noi avremo raggiunto l’obiettivo che pone Calenda: un nuovo bipolarismo “tra chi crede nei valori della democrazia liberale e chi la vuole distruggere”. 

 

 

 

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