di Claudio Petruccioli
Sono contento che Floridia condivida la mia opinione secondo cui lo stato attuale della democrazia del PD non è soddisfacente e neppure sufficiente. Per la verità non vedo come si possa dissentire in modo motivato da questa che è una constatazione piuttosto ovvia. Da parte mia, ricambio dichiarando il mio accordo con il giudizio di Floridia secondo cui questo stato del partito non può essere imputato all’attuale segretaria (nessuno a Orvieto lo ha fatto, precisa giustamente), ma è l’esito di “una storia lunga che affonda le radici nell’impianto originario del PD e nelle idee che lo ispirarono”.
Se mi è consentito aggiungerei qui un “anche”; perché è vero che già alcune idee che ispirarono l’originario PD sacrificarono alla scelta democratica della leadership l’attenzione che si sarebbe dovuta dedicare ad altri aspetti essenziali per la vitalità democratica di una organizzazione politica; o, quanto meno, esagerarono nel pensare che una scelta della leadership la più democraticamente ampia e aperta avrebbe impresso a tutta la vita dell’organizzazione un impulso talmente forte da far risolvere di slancio tutti gli altri, complessi problemi del pluralismo, della partecipazione, della collegialità e della trasparenza nel processo decisionale; ma così non si spiega tutto.
Sono, queste, convinzioni che io ho sempre avuto, come testimonia quanto scrivevo nel 2014, pochi mesi dopo la comparsa della “meteora” Renzi: “Renzi ha risolto di slancio il problema della leadership e ha dato precisa concretezza al ruolo di leader; ha reso evidente che la leadership è la ‘chiave di volta’ per costruire un assetto in cui operi a suo agio e con la massima efficacia una sinistra di governo. Ma, come dice l’espressione stessa, la chiave di volta ha senso e funzione per dare solidità alla volta. Lo stesso è per la leadership. La volta non è ancora costruita, non la si fa da un giorno all’altro e chiama in causa tante cose: dalle competenze, agli interessi, alla trasparenza senza la quale non c’è controllo, non c’è onestà. E’ il grande capitolo della “organizzazione della politica” come attività e come partecipazione di tante persone, della politica democratica. Rispetto alle necessità (e, anche alle potenzialità) qui il gap non solo pratico, ma anche teorico e culturale, nella capacità di immaginazione e sperimentazione è molto grande; il lavoro per ridurlo (forse dire eliminarlo è troppo audace) sarà lungo e difficile. Anche per questo è un lavoro da cominciare subito con persone che ad esso dedicano tutte le loro energie”.
Sono passati dieci anni; quel lavoro non lo ha iniziato Renzi come nessuno di quanti sono seguiti al vertice del PD. Per quanto posso valutare neppure la Schlein, da due anni segretaria. Nel 2014 il PD aveva sette anni, oggi va per i diciotto, a ottobre diverrà maggiorenne. Le malformazioni e le carenze si sono consolidate e rischiano di diventare permanenti; la responsabilità di non averle affrontate va perciò ripartita pro quota fra tutti, Schlein compresa, per quanto ha fatto vedere fino ad oggi. A meno di non sostenere che le idee ispiratrici dell’impianto originario del PD fossero tali da impedire qualunque iniziativa volta ad assicurare una decente e produttiva vita democratica in quel partito; il che mi sembrerebbe, sinceramente, eccessivo e imporrebbe di trarre conclusioni drastiche.
Mi sembra, inoltre, impossibile, sostenere questa tesi, di fronte al fatto che cambiamenti rispetto alle originarie regole statutarie sono stati introdotti; il più rilevante è quello in virtù del quale Schlein è diventata segretaria. Lo statuto infatti è stato modificato per consentire la partecipazione alle primarie per la segreteria a chi, come lei, non era iscritta. Non ne faccio questione di legittimità; ma certo un’innovazione del genere dovrebbe consigliare a chi ne beneficia un’attenzione supplementare verso le esigenze del pluralismo e della democraticità-trasparenza del processo decisionale. A maggior ragione visto che – caso unico nella storia del PD – la votazione fra gli iscritti e la votazione popolare hanno dato esiti difformi. Non ne faccio – ripeto – questione di legittimità; ma di sensibilità politica sì. Non ho visti, finora, segnali non dico rassicuranti ma almeno promettenti con questo carattere.
Politico e giornalista, fa parte della presidenza di Libertàeguale. È stato parlamentare del Pci/Pds/Ds per cinque legislature. Presidente della Commissione di vigilanza Rai dal 2001 al 2005 e Presidente del consiglio d’amministrazione della Rai dal 2005 al 2009.