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La sinistra di governo per un piano strategico di sicurezza

Alberto Bianchi sabato 7 Giugno 2025
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di Alberto Bianchi

 

Riformismo e sinistra di governo sono due concetti strettamente legati tra loro, quantunque restino distinti. Ho avuto modo, anche di recente, di intervenire sul primo, per ribadire che – sul piano storico – il riformismo nasce dal pensiero e dall’azione che il socialismo ha espresso e prodotto nella società e nelle istituzioni, in Italia e in Europa. Vorrei, invece, in questa occasione, affrontare più direttamente il secondo.

La sinistra di governo è certo quella parte della sinistra che, al potere o all’opposizione, propone soluzioni ai problemi dei cittadini cercando di tradurre gli ideali progressisti – in primo luogo dei lavoratori e dei ceti popolari e medio borghesi, eppure allo stesso tempo dell’insieme della società nelle sue articolazioni di ceto e di genere – in politiche concrete di sviluppo e crescita materiale e culturale, spesso attraverso compromessi e mediazioni. La sinistra di governo è, insomma, il perimetro politico in cui il riformismo sceglie, si muove ed agisce, cercando di bilanciare principi e realismo per costruire un futuro più equo e sostenibile. Conformarsi coerentemente al concetto di sinistra di governo è indubbiamente difficile e complesso per tutti coloro che si battono con l’intento di dare al Pd – e di riflesso alla sinistra italiana – una più salda e credibile fisionomia culturale e politica riformiste.

In tal senso, non si parte da zero. Già non pochi compagni ed amici hanno indicato e fatto proposte su diversi argomenti per una sinistra che voglia essere un’alternativa di governo credibile. Così, la compagna e professoressa Claudia Mancina, sul tema dell’individuazione della base sociale di riferimento per “… un partito nazionale, cioè un partito che ambisce ad avere una base sociale ampia e diversificata …” e non un “… single issue party …”. Qui, la questione prioritaria è quella “…dei ceti medi, impoveriti e spaventati dalla globalizzazione…” (Claudia Mancina – “Che cosa ha da dire il Pd ai ceti medi?” – Libertà Eguale – 2 giugno). Così l’amico e professore Stefano Ceccanti, quando richiama con forza l’impegno dei democratici sui nodi delle riforme istituzionali e della politica internazionale, “… i due punti più deboli dell’iniziativa dell’attuale segreteria…” (Stefano Ceccanti – “Riforme istituzionali e politica internazionale: il Pd alla prova – Libertà Eguale – 1 giugno). Così Enrico Morando, su questioni di politica economiche e di politica generale.

C’è un tema, nondimeno, che è non solo aggirato e rimosso dal Pd schleiniano, ma pure poco affrontato ed articolato dai riformisti: è quello dell’elaborazione di un piano strategico per la sicurezza e difesa nazionale, di fronte “… all’asimmetria assoluta che esiste tra le forze armate europee e quelle russe …” (copyright Claudio Cerasa – Il Foglio del 06 giugno), riportata in evidenza dall’aggressione di Mosca all’Ucraina. L’elaborazione di un piano strategico per la sicurezza e difesa nazionale è un tema che è un errore ritenere che si possa risolvere e diluire, fino a confonderlo, nel più generale discorso sulla collocazione geopolitica dell’Italia in Europa e nella Nato. Piuttosto ha una sua decisiva specificità nazionale per criteri e metodi d’analisi, contenuti e scelte conseguenti, in rapporto diretto con lo stato delle forze armate del nostro paese e dei compiti che sono chiamate a svolgere dalla Costituzione e dal disordine internazionale in corso.

È un tema, mi rendo conto, che obbliga ad un confronto diretto con il pensare la guerra, le armi, gli scenari delle contese, il binomio amico-nemico, gli spazi vitali, l’espansionismo e l’imperialismo, l’attacco e la difesa, l’aggressione e la resistenza, le perdite umane e materiali, tregue, armistizi, pacificazioni. Insomma, spinge una nazione a pensarsi potenza e soggetto storico e non oggetto economicistico.

Vediamo cosa voglia dire tutto questo. Ed il modo migliore non può che essere il confronto con paesi europei come Francia, Regno Unito, Germania. La Francia tradizionalmente elabora da sempre la “Revue stratégique de défense et de sécurité nationale”, analizzando le minacce globali e definendo le priorità strategiche francesi, con una forte proiezione verso la politica estera e la leadership europea. Di recente nel piano strategico ha anche incluso nuove aperture e disponibilità della propria potenza nucleare verso l’Europa.

Il governo laburista del Regno Unito, dal canto suo, ha ripubblicato la “Strategic Defence Review 2025”, che addirittura segna una svolta nella politica di sicurezza britannica, con un più marcato e puntuale taglio orientato all’azione ed un accentuato focus sulla deterrenza nucleare, la guerra autonoma e l’integrazione con le nuove tecnologie militari, includendo un piano industriale per la difesa ed un programma di mobilitazione nazionale.

La Francia ed il Regno Unito sono attori geopolitici usciti vincitori dalla Seconda guerra mondiale e, dunque, rispecchiano una condizione storica oggettiva che ad entrambi consente poteri di decisione e ruoli d’intervento ed azione totalmente privi di condizioni limitanti nel campo della propria capacità militare strategica convenzionale e nucleare. La stessa cosa non può dirsi per la Germania, uscita invece sconfitta dal secondo conflitto mondiale insieme all’Italia. Eppure, il governo tedesco di coalizione a guida Merz, costituito da popolari e socialdemocratici, nei primi mesi del 2025 ha coraggiosamente rotto gli ormeggi di un lungo stato di minorità come potenza strategica, quantunque gigante economico, intraprendendo una svolta storica nella politica della sicurezza e difesa nazionale, con riflessi diretti ed estesi nel contesto Europeo. L’intero capitolo del programma di governo di Berlino è la prima elaborazione – dopo sette decenni di rinuncia e silenzio – di un vero e proprio piano strategico pluriennale per la sicurezza nazionale che punta a ridare ad una nuova Germania una centralità nella politica di difesa militare nazionale e continentale. In esso si parla di numeri, investimenti, ingenti risorse finanziarie a breve, medio e lungo termine, di più soldati, munizioni ed armamenti.

E qui veniamo all’Italia, ponendoci l’interrogativo: il nostro paese dispone o no di un documento paragonabile a quelli francese ed inglese e, da ultimo, anche tedesco? L’Italia – ahimè – non ha un documento strategico esattamente equivalente a quelli di Francia e Regno Unito e nemmeno al capitolo del programma di governo della Germania. Ha certamente diversi strumenti di pianificazione ed indirizzo in materia di sicurezza e difesa: il “Concetto strategico del Capo di Stato Maggiore della Difesa”, risalente al 2022, ed il “Libro bianco sulla sicurezza internazionale e la difesa” del 2015. Attenzione: sono testi che delineano, in senso molto generale e d’insieme, alcune priorità e linee guida per le Forze Armate italiane, ma non corrispondono alla “Revué stratégique” francese o alla “Strategic Defence Review” britannica e neppure all’elaborazione tedesca del governo Merz.

In sintesi, la differenza principale è che, mentre Francia, Regno Unito ed ora anche la Germania hanno un approccio che – considerato l’aggravarsi dello scenario geopolitico europeo e mondiale per l’aggressività militare della Russia da un lato e dell’antieuropeismo di Trump dall’altro – mira alla difesa comune europea per il tramite di un rafforzamento ed innovazione delle rispettive leadership strategiche nazionali e nel quadro di un “volenteroso” raccordo tra le medesime, l’Italia, quella al governo (Meloni) e quella all’opposizione (Schlein), sembra concentrarsi ed esaurirsi sulla cooperazione internazionale, sulla Nato e la difesa europea visti più come momenti e luoghi in cui diluire il suo ruolo geopolitico, piuttosto che come sedi e contesti in cui farlo valere in modo specifico, distintivo e permanente. Da qui discende la colpevole reticenza della politica italiana ad impegnarsi a dotare anche il nostro paese di un suo piano strategico per la sicurezza e difesa nazionale al pari di quello di Francia, Regno Unito e Germania. E neppure l’attuale politica estera della Premier Meloni, detta dell’autonomia mediatrice tra le due sponde dell’Atlantico, potrà farci superare questa grave lacuna, anzi, all’opposto, rischia di accrescerla. Occorre ben altro. Occorre il riformismo. Occorre una sinistra di governo.

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