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La strumentalizzazione dei concetti di pace e di guerra

Alberto Bianchi domenica 13 Aprile 2025
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di Alberto Bianchi

 

Guerra e pace sono due realtà e concetti intorno ai quali intere schiere di filosofi ed intellettuali, politici e statisti, letterati e religiosi si sono confrontati e scontrati, sostenuti e combattuti.

Tuttavia, tranne particolari filoni, si può dire che nella tradizione del pensiero occidentale greco-romano e giudaico-cristiano i due termini hanno sempre mediamente rivestito una valenza relativa: la pace come un equilibrio spazio-temporale definito che subentra ad uno stato di guerra superato, la guerra che subentra ad un equilibrio di pace che si è rotto; sempre in relazione reciproca, però, l’una all’altra, mai intese e praticate come assolute ed auto-concluse, tali che l’una potesse cancellare definitivamente l’altra dalla storia e dalla vita, dal pensiero e dall’azione.

Visione ontologica e storica della guerra e della pace e della loro relazione che risulta comune e condivisa – pur se in forme e gradi d’intensità differenti – da pensatori come Eraclito, Platone, Aristotele, Cicerone. A cui si aggiunge Lev Tolstoj, che ha titolato il suo capolavoro letterario “Guerra e Pace”, per l’appunto (fa eccezione Kant, che con la dottrina della pace perpetua – purtroppo – ha confuso le menti di non pochi tedeschi ed europei).

Mi chiedo se non è proprio tale quadro interpretativo della realtà che – come Occidente liberale e democratico e specialmente in una parte dell’Europa – abbiamo smarrito nell’età dell’illusione della pace assoluta perenne e della “fine della storia” (F. Fukuyama). Fino al punto, oggi, di rischiare di non essere capaci di ridare una giusta collocazione alla guerra nel nostro quadro concettuale e politico, come strumento inevitabile di reazione per la difesa della libertà e dell’indipendenza nostre quando sono colpite dall’aggressione di regimi illiberali ed autocratici, Russia putiniana in testa.

Ma per ritornare a cogliere la valenza relativa, ovverosia storica, della pace e della guerra, occorre anche che gli storici prendano le distanze dalla storiografia del “presentismo”, che narra fatti, pratiche e concetti del passato per prevalenti linee emozionali-identitarie e moralistiche assolute, di diretta ed esclusiva derivazione dal nostro presente per un immediato riconoscimento soggettivistico o di gruppo; piuttosto che per criteri ed approcci argomentativi sovraordinati alla sfera sentimentale-identitaria e finalizzati alla ricerca causale degli eventi e all’ordinamento distintivo-relazionale dei concetti. È così che – ahimè – la pace e la guerra rischiano di perdere definitivamente, nella coscienza degli intellettuali e nell’opinione pubblica media dei cittadini, lo spessore di eventi e concetti storico-relativi e di essere piegati ad una strumentalizzazione moralistica.

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