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L’affidamento condiviso? Solo sulla carta. Affrontiamo l’emergenza

Claudio Alberti giovedì 13 Settembre 2018
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di Claudio Alberti

 

“Il principio dell’interesse del minore e il suo diritto ad avere e a mantenere rapporti con entrambi i genitori, nonostante la fine della loro relazione, sono alla base di un ripensamento dell’impianto codicistico”. Così riportava la proposta di legge 2233/2002 su “Modifiche al codice civile in materia di separazione dei coniugi con riguardo ai figli”, d’iniziativa dell’allora deputata Marcella Lucidi e avente, tra i firmatari, i “nostri” (nel senso di Libertàeguale) senatori Maran e Quartiani.

 

L’affidamento condiviso è solo sulla carta

La proposta confluì poi nella legge 54/2006, che attualmente regola le separazioni di coppie con figli, e che ha posto, come regola, il cosiddetto “affidamento condiviso” dei figli ad entrambi gli ex coniugi.

Un affidamento condiviso rimasto, in questi 12 anni, solo su carta.

Non a caso, in tutte le Legislature che ci siamo lasciati alle spalle i parlamentari del Partito Democratico hanno provato a modificare le norme contenute in quella legge: non è compito di questo articolo ricostruire la storia di questi tentativi, ma basterà ricordare come, nell’ultima Legislatura (quando, purtroppo, si sarebbe potuto fare di più), la senatrice Filippin (sempre PD) evidenziò, in Commissione Giustizia, come ci fosse “una valutazione condivisa circa la necessità di un intervento normativo che tenga conto di come l’esperienza applicativa della legge sia stata sostanzialmente deludente rispetto alla finalità perseguite dalla legge medesima, finalità rappresentata da una concreta attuazione del principio della cosiddetta bigenitorialità”.

 

La bigenitorialità è un obiettivo riformista

La bigenitorialità, l’equilibrio nei rapporti tra genitori e figli dopo una separazione, la chiamata a una responsabilizzazione di entrambi gli ex coniugi, attraverso incentivi al raggiungimento di accordi equilibrati e di forme di mantenimento diretto dei figli sono, dunque, oltre che semplici principi di buon senso, certamente dei pragmatici obiettivi riformisti.

Viste le condanne all’Italia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per il mancato rispetto di quei principi, viene oltretutto da dire che chi ha a cuore l’Europa come “patria dei diritti” non può che avere, tra le sue preoccupazioni, quella di riformare un sistema farraginoso e ingiusto come quello attuale sulle separazioni.

 

Rispettare l’equilibrio tra i genitori

Ci sono almeno tre ragioni, dunque, per cui una forza riformista ed europeista dovrebbe prendere sul serio le proposte del ddl Pillon, recentemente presentato in Senato e avente, tra gli obiettivi, quello dell’equilibrio tra le figure genitoriali attraverso tempi paritari di frequentazione dei figli, il contrasto all’alienazione genitoriale, il mantenimento in forma diretta proporzionalmente alle disponibilità economiche, il ricorso alla mediazione civile come forma di composizione dei conflitti prioritaria rispetto alla via giudiziaria.

 

Emergenza papà

La seconda ragione (mi si consenta l’inversione) è che, per la prima volta dopo anni, la riforma è concretamente possibile, essendo presente nel contratto di governo tra M5S e Lega.

La prima, di gran lunga, è però che le dimensioni del problema che intende risolvere hanno ormai assunto i caratteri dell’emergenza. In Italia meno del 2% dei figli passa lo stesso tempo con entrambi i genitori (sono più di uno su cinque in Belgio), meno del 4 passa almeno un terzo del suo tempo con un genitore (in Svezia, paese spesso preso a modello dalla sinistra, siamo al 30%). L’affidamento materialmente esclusivo rappresenta il 90% dei casi, nel 13% un genitore (pressoché sempre il padre) non riesce a vedere il figlio nel corso di un intero anno.

Se la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia sanciva il supremo diritto del fanciullo a crescere con entrambi i genitori, stiamo facendo crescere generazioni di bambini innocenti violando colpevolmente i loro più basilari diritti, catapultando, oltretutto, migliaia di persone (soprattutto uomini) al di sotto della soglia di povertà, senza casa, con status sociale completamente rovinato, e con una quota massiccia del salario estorta dal potere pubblico per un assegno tanto obbligatorio quanto de-responsabilizzante.

Della loro condizione si sono accorti (pochi) enti locali, che hanno destinato (pochissimi) alloggi di (molta) fortuna ai soggetti in più profonda difficoltà, le associazioni di beneficenza, e perfino il cinema italiano, che in film come “Gli equilibristi” e “Posti in piedi in Paradiso” descrive il triste baratro economico in cui cadono tanti, troppi uomini separati: per carità, lo ha fatto senza rinunciare alla colpevolizzazione totalizzante per la figura maschile, in entrambi i casi descritta come causa scatenante della fine delle relazioni, ma si sa, gli sceneggiatori da queste parti un po’ hanno la fantasia degli autori descritti da “Boris”, un po’ devono frequentare i salotti intellettuali à la “Grande Bellezza”, e la simpatia delle “donne con le palle” devono pur guadagnarsela.

 

“Orfani con genitori in vita”: molti nelle periferie

E così veniamo alla terza ragione. Molti dei padri (e delle madri) di figli “orfani con genitori in vita” abitano, obtorto collo, nel disagio sociale di quelle periferie che hanno abbandonato, con rabbia, il Partito Democratico alle ultime elezioni. Avere un atteggiamento disponibile, dialogante, non stupidamente ideologico nei confronti dell’unica possibilità attualmente data di affrontare l’emergenza, potrebbe essere almeno un segnale per ricominciare ad ascoltare e a dare risposte a quella fetta di società. E questa dovrebbe essere decisamente una buona ragione: a meno che al PD non vada bene assestarsi al 17% degli ultimi sondaggi.

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