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Leone XIV e il ritorno del sacro: una Chiesa per l’anima inquieta del nostro tempo

Redazione mercoledì 28 Maggio 2025
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di Piero Giordano

Nel primo discorso del pontificato, il nuovo Papa si presenta come guida mite e spirituale. Raccoglie l’eredità di Paolo VI e Francesco, ma propone una via diversa: l’amore come cura, l’unità come vocazione, la spiritualità come risposta alla crisi dell’umano.

Il primo discorso di Papa Leone XIV ha avuto il passo silenzioso delle parole che restano. Non una proclamazione trionfale, ma un appello all’anima del tempo. In un mondo che ha imparato a funzionare senza Dio, ma che non ha smesso di cercarlo, il nuovo Pontefice ha parlato non tanto al cattolicesimo, quanto all’umano. Lo ha fatto con toni sobri, biblici, profondamente spirituali. Ma anche con una lucidità teologica che rivela il profilo di un Papa pensatore e contemplativo, più che politico o riformatore.

Il cuore del messaggio è chiaro: “Questa è l’ora dell’amore”, ha detto, citando Leone XIII, ma trasformandolo in chiave attuale. Se l’amore di Dio “prevalesse nel mondo, non cesserebbero forse tutti i dissidi?” È la domanda che il nuovo Papa non lascia retorica, ma trasforma in programma: una Chiesa che non combatte battaglie culturali, ma cura le ferite dell’anima, offrendo silenzio, consolazione, senso. Leone XIV ha parlato a un’umanità assetata. Ha ricordato che “il cuore non ha posa finché non riposa in Dio”, e non lo ha fatto per richiamare alla devozione, ma per riconoscere un vuoto che molti vivono anche fuori dai confini della fede. In questo, il Papa si fa voce di chi cerca, non di chi impone. Il sacro, nella sua visione, non è un recinto da custodire, ma un respiro da condividere. Qui Leone XIV segna un passo nuovo: parla a tutti. Ai credenti, ai dubbiosi, agli agnostici. A chi ha perso la fede e a chi non l’ha mai ricevuta. Ma tutti, dice, sono accomunati da un’inquietudine – una fame di infinito – che nessun progresso, da solo, può colmare.

L’eredità che raccoglie è doppia. Da Paolo VI, Leone XIV eredita il senso del dialogo, la pazienza dell’ascolto, l’intuizione che la modernità non si combatte, ma si attraversa. Montini parlava di “dialogo della salvezza” e credeva che il mondo, pur nella sua distanza, fosse ancora capace di grazia. Anche Leone XIV, come lui, non alza muri, ma cerca parole comuni. Non difende un’identità chiusa, ma una vocazione aperta, quella di una Chiesa madre, che genera nel tempo, senso, dignità e fraternità. Dove Francesco diceva “ospedale da campo”, Leone XIV dice “famiglia riunita”. Dove Francesco denunciava lo “scarto”, Leone XIV suggerisce la tenerezza come terapia sociale. Ma non è solo un punto d’incontro. In Leone XIV c’è una cifra propria: il ritorno del sacro come dimensione antropologica e culturale. Un sacro che non chiede fede, ma chiede spazio. Che non divide, ma accompagna. Che non pretende consenso, ma evoca ascolto.

Il Vangelo del lago di Tiberiade, al centro del suo discorso, non è solo una meditazione teologica. È una chiave di lettura del potere spirituale: Pietro non è colui che comanda, ma colui che ama. E amare, per Leone XIV, significa servire senza mai imporsi, custodire senza mai trattenere, indicare senza mai giudicare. Quando parla di “autorità come carità”, sta già delineando una visione ecclesiale nuova: non una Chiesa dei ruoli, ma delle relazioni; non una gerarchia verticale, ma un popolo che cammina. Laddove molti vedono nel Papa un vertice, Leone XIV si propone come fratello che cammina insieme, pietra, sì, ma tra le pietre vive del corpo ecclesiale. È qui che emerge con forza la proposta di Leone XIV per il nostro tempo: non più dogmi da difendere, ma un orizzonte di spiritualità per un mondo ferito. Troppa violenza, troppi muri, troppa solitudine: non risponderemo con progetti, ma con relazioni. Non con strategie, ma con esperienze condivise di amore, preghiera, bellezza.

Leone XIV sa che la religione può spaventare, e per questo non la impone. Ma crede che la spiritualità sia una lingua universale. Che tutti, in fondo, attendano una parola buona. Un gesto di pace. Un motivo per credere che la vita non è solo lotta e competizione. Leone XIV non cerca l’applauso, ma la profondità. Non promette rivoluzioni, ma invita alla conversione del cuore. In un tempo dove tutto è opinione, suggerisce il silenzio. Dove tutto è rapido, propone lo sguardo lungo. Dove tutto è frammento, annuncia una unità che non cancella, ma accoglie.

Il suo è un pontificato che comincia non con i clamori, ma con la nostalgia del sacro. Una nostalgia che, se accolta, può diventare risorsa per tutti: credenti e non, Chiese e culture, individui e popoli. Forse è proprio questo il volto nuovo della Chiesa: non una potenza, ma una presenza. Non una verità da opporre, ma una luce da offrire. E in Leone XIV questa luce non abbaglia: scalda.

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