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L’era degli Stati-Impero e il ruolo dell’Europa

Giovanni Cominelli martedì 11 Marzo 2025
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di Giovanni Cominelli

 

Gli eventi mondiali dell’ultimo mese hanno messo in questione la storica collocazione internazionale dell’Italia, filo-atlantica e filo-europeista.

“Il ponte transatlantico” è diventato una specie di Ponte Morandi. E così sono entrate in fibrillazione le culture politiche che avevano progettato e praticato quella storica collocazione.

Fratelli d’Italia si presenta come sovranista-nazionalista, atlantista-trumpiana e debolissimamente europeista.

Si trova sulla stessa linea proto-gollista di Marine Le Pen. E Salvini? E’ sguaiatamente sovranista e trump-putiniano.

Solo Trump e Putin riescono ad essere trump-putiniani come lui. Forza Italia è atlantista e moderatamente europeista.

A sinistra, AVS è da sempre anti-atlantica e anti-europeista. Quanto al PD della Schlein, sta mascherando la regressione anti-atlantica con l’anti-trumpismo. Quanto all’europeismo, il PD è europeista solo se la UE sia disarmata e neutrale.

Ma è contrario anche al riarmo dei singoli Stati europei, ed è per questo che Schlein accusa la Von der Leyen di averlo proposto, fingendo che fosse europeo.

Il M5S è il corifeo del pacifismo radicale, che è simile a quello cattolico quanto agli esiti, ma ideologicamente è solo preoccupato delle spese assistenziali in diminuzione.

Il sistema politico italiano sta regredendo verso il neutral-pacifismo, come se abitasse in una terra di nessuno.

Un’analoga sospensione nel vuoto il Paese l’ha sperimentata tra l’armistizio dell’8 settembre 1943 e il 4 aprile 1949, quando l’Italia aderì al Trattato del Nord-Atlantico.

Giuseppe Dossetti, leader della sinistra sociale democristiana, in cui militavano anche Giovanni Gronchi, Amintore Fanfani e Giorgio La Pira, fece una battaglia contro l’adesione.

La NATO appariva a una parte notevole del mondo cattolico come troppo anglosassone, cioè protestante e capitalistica.

Fu Papa Pio XII nel discorso alla vigilia di Natale del 1948 a esprimersi favorevolmente: “Un popolo minacciato o già vittima di una ingiusta aggressione, se vuole pensare ed agire cristianamente, non può rimanere in una indifferenza passiva; tanto più la solidarietà della famiglia dei popoli interdice agli altri di comportarsi come semplici spettatori in un atteggiamento d’impassibile neutralità”.

L’adesione italiana diventò legge il 1º agosto 1949. Le sinistre PCI e PSI – più del 30% degli elettori – si opposero duramente, spalleggiate da Mosca, che suscitò e appoggiò negli anni successivi un Movimento internazionale per la Pace, fino a che, a sua volta, essa non mise in piedi il Patto di Varsavia nel 1955.

L’arcata europea del ponte era debolissima, soprattutto dopo il fallimento della Comunità europea di difesa, che fu sabotata nel 1954, alla fine, dall’Assemblea nazionale francese, ma che non era ben accetta agli americani, da sempre contrari ad una soggettività politica europea, nonostante le lamentele successive di Kissinger sull’irreperibilità telefonica di un leader europeo unico.

Con il Trattato di Roma del 1957 la nostra collocazione internazionale fu “sistemata” in equilibrio: legame di dipendenza con gli USA ed europeismo retorico,  temperato da qualche velleità oltre-mediterranea in direzione del mondo arabo e dell’Iran – vedi Eni di Mattei nei anni ‘50, il colloquio di La Pira con Ho chi Minhin nel novembre del 1965, il Lodo Moro del 1974 con Arafat,  la vicenda di Sigonella con Craxi dell’ottobre 1985.

Sarà la questione degli SS 20 sovietici e la risposta dei Cruise e dei Pershing a chiarire, alla fine degli anni ’70, in che consisteva realmente il peso dell’Italia e, va aggiunto, della Germania.

In Europa la Francia e la Gran Bretagna, Paesi con appendici coloniali e con difesa nucleare, poterono esercitare una maggiore indipendenza in politica estera rispetto agli Usa. Italia e Germania si dedicarono alla politica commerciale e a quella del Welfare all’interno. Il legame atlantico dava loro molti vantaggi.

Tra i due piatti della bilancia, atlantismo ed europeismo, la nostra politica ha pesato, dunque, più sul primo: atlantismo hard, europeismo soft.

D’altronde la cultura politica profonda del Paese, cattolica e comunista, era sostanzialmente neutralista.

Una parte consistente del Paese continuava ad essere filo-sovietica, riconoscente a Lenin per avere spezzato la catena imperialistica mondiale.

Sotto stava e sta una coscienza nazionale debole, tipica di una media potenza incerta sul proprio ruolo internazionale, uscita umiliata dal Trattato-Diktat di Parigi del 1947 e posta sotto tutela anglo-francese nel Mediterraneo.

Dopo il 1989, dopo Maastricht 1992, dopo Lisbona 2000, il piatto europeo della bilancia ha cominciato ad alzarsi.

Ma i singoli Paesi europei hanno sempre vissuto la UE più come la difesa degli interessi nazionali con altri mezzi che come nuovo soggetto politico e militare continentale.

Gli attuali sovranismi, neutralismi, pacifismi arrivano da lontano, scorrono sotto la crosta del nostro Paese da molto tempo. Dal dopoguerra, per milioni di italiani ha contato di più l’appartenenza ideologica che l’identità nazionale, comunque definita.

Se l’equilibrio atlantismo/europeismo si è spezzato già nel 1989, se i Paesi europei sono solo oggi obbligati a trarre delle conclusioni radicali sul piano istituzionale e politico-militare e a diventare in fretta una potenza continentale lo si deve al Trump del 21 gennaio 2025.

Motivi contingenti, e pertanto decisivi, spingono oggi gli Usa ad abbandonare il quadrante euro-occidentale, ad aprire un rapporto privilegiato con Putin, a guardare da tutt’altra parte, sempre più a Ovest, verso il Pacifico, dove sta la Cina. Il nostro Estremo Oriente è l’Estremo Occidente per gli Americani.

Al momento non siamo in grado di prevedere quanto queste strategie avranno successo, se porteranno ad un nuovo ordine mondiale o verso la Terza guerra mondiale. Ogni strada è aperta.

Intanto pare di intravedere sotto le rischiose convulsioni del presente una tendenza storica di fondo. Negli ultimi cinquecento anni l’invenzione dello Stato ha avuto un grande successo.

Non c’è stata Nazione che non abbia voluto trasformarsi in Stato. Così sono stati spezzati imperi e regni e riaggregati ducati, signorie, città, nazionalità nella forma-Stato. Nell’anno 1918 sono spariti dalla carta geografica l’Impero austro-ungarico, quello russo, quello  tedesco, quello ottomano.

Dopo il 1945 è caduto anche quello britannico. Adesso gli Stati dell’ONU sono 193. Eppure, oggi la tendenza sembra invertirsi. Se la globalizzazione ha generato una domanda di identità di gruppi e etnie, dal punto di vista istituzionale ci si muove verso statualità sovranazionali, verso “Stati-impero”, anche se nessuno dei loro leader porta la corona, se non nelle rappresentazioni satiriche.

L’istantanea del mondo mostra tre Stati-impero, medie-potenze localmente egemoni e Stati “interstiziali”.

Quest’ultimo è il caso dei singoli Stati europei. Se non riescono a operare come soggetto unico e come terza potenza mondiale dopo Usa e Cina, se restano separati in tante sovranità diventano, appunto, interstiziali nella cooperazione/conflitto fra i tre Stati-impero attuali.

In un intervento del 30 novembre del 1948 alle “Grandes conférences catholiques” di Bruxelles – si tengono ancora oggi dal 1931- De Gasperi affermò: “L’Italia è pronta ad imporsi quelle autolimitazioni di sovranità che la rendono sicura e degna collaboratrice di un’Europa unita in libertà e democrazia”.

Quel momento è arrivato. La difesa armata delle libertà minacciate da dittature e autocrazie si può realizzare solo dentro un’Europa come “impero” democratico sovranazionale, dentro il quale far valere il meglio della Nazione italiana.

 

Pubblicato l’11 marzo 2025 su www.santalessandro.org

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