di Alfonso Pascale
Il 18 gennaio prossimo, Comunità Democratica a Milano e Libertà Eguale a Orvieto terranno due iniziative destinate a non smuovere nulla nel quadro politico. La ragione è nella scelta infelice di limitare il confronto di idee nel recinto del centrosinistra. Sono, in tal modo, esclusi i soggetti che stanno costruendo un nuovo partito liberaldemocratico, i riformisti presenti nei partiti del centrodestra e quelli che, considerando ormai superate le ragioni alla base di entrambi gli schieramenti, ritengono necessaria una ristrutturazione del sistema politico italiano all’altezza delle sfide di questo secondo quarto del secolo.
Un’area politica trasversale
Nella nuova divisione del mondo che si è creata con l’invasione dell’Ucraina e con l’allargamento del conflitto in Medio Oriente, non ci può essere ambiguità nella scelta pro occidentale che oggi significa costruire la difesa europea, con risorse proprie dell’Ue: conditio sine qua non per far sì che questa diventi un soggetto politico protagonista nello scenario globale e contribuisca alla tutela delle democrazie liberali. È indubbio che tale posizionamento si trova sia all’interno della maggioranza che dell’opposizione ed è presente anche in una parte di opinione pubblica che guarda con crescente disincanto agli attuali schieramenti. La novità, pertanto, sarebbe quella di creare un’area politica trasversale che abbia alla base una comune visione internazionale ed europea e che sia formata da raggruppamenti e singole persone disponibili a fare battaglie politiche vere per affermare tale visione.
La nozione di democrazia
Luca Diotallevi ha ricordato quanta parte dei successi del riformismo italiano siano dipesi dal cattolicesimo liberale di Sturzo e di Einaudi. E ha evocato la Dichiarazione “Dignitatis Humanae” per dire che la nozione di democrazia nel Concilio Vaticano II non ha nulla a che vedere con le scelte che cattolici, come Prodi, Castagnetti o Delrio, hanno fatto dagli anni Novanta in poi. In nome di una concezione giacobina della laicità, essi infatti hanno accettato supinamente l’idea che i cattolici non siano autorizzati ad esprimersi in quanto tali nel dibattito pubblico. Ma se si parte da tale presupposto, che senso ha rivolgersi ad essi per chiamarli al dovere della politica?
Eppure è stato Rawls, autore di “Political Liberalism”, a cogliere la novità conciliare: «Nella Dichiarazione sulla libertà religiosa “Dignitatis Humanae” […] la Chiesa cattolica ha aderito al principio della libertà religiosa così come viene espresso nella democrazia costituzionale. Ha proclamato la dottrina etica della libertà religiosa fondata sulla dignità della persona umana; una dottrina politica riguardo ai limiti del governo in questioni religiose; e una dottrina teologica della libertà della Chiesa nelle sue relazioni sociali e politiche. Secondo la Dichiarazione, tutte le persone, quale che sia la loro fede, hanno diritto alla libertà religiosa negli stessi termini» (“The Idea of Public Reason Revisited” 1999).
E, sull’onda del filosofo americano, è stato Habermas, nel dialogo con Joseph Ratzinger, prima che questi diventasse papa, a riconoscere non solo la legittimità ma anche l’utilità per la democrazia liberale che le religioni si esprimano nel dibattito pubblico coi propri argomenti e il proprio linguaggio. Nell’incontro di Monaco (2004), il filosofo e il cardinale concordarono sul fatto che, nel rapporto tra ragione pubblica e religioni, entrambe le parti possano trarre dei benefici o, ancor di più, che possano attivarsi processi di “reciproco apprendimento”. E così scongiurare sia derive fondamentaliste in ambito religioso che vuoti di senso e di riserve morali nell’altro ambito.
Il premierato e l’autonomia differenziata
Giovanni Cominelli ha riproposto i temi del premierato e dell’autonomia differenziata come terreno di riflessione per i cattolici liberali, ovunque essi siano collocati, richiamandoli a lottare contro un avversario comune: il conservatorismo istituzionale che, com’è noto, alligna in entrambi gli schieramenti. Con istituzioni più efficienti, l’Italia potrebbe giocare un ruolo più efficace per costruire la democrazia oltre lo stato e, in particolare, per completare l’integrazione europea. Si tratta, in sostanza, di cimentarsi su politiche concrete da affrontare in modo pragmatico con l’approccio etico di Sturzo. Un approccio che egli stesso così definiva: «Ho sentito la vita politica come un dovere e il dovere dice speranza» (“Speranze ed auguri” 1959).
Presidente del CeSLAM (Centro Sviluppo Locale in Ambiti Metropolitani). Dopo una lunga esperienza di direzione nelle organizzazioni di rappresentanza dell’agricoltura, nel 2005 ha promosso l’associazione “Rete Fattorie Sociali” di cui è stato presidente fino al 2011. Docente del Master in Agricoltura Sociale presso l’Università di Roma Tor Vergata, si occupa di sviluppo locale e innovazione sociale. Collabora con istituzioni di ricerca socioeconomica e di formazione e con riviste specializzate. Ultima pubblicazione: CYBER PROPAGANDA. Ovvero la promozione nell’era dei social (Edizioni Olio Officina, 2019).