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L’Europa e il puzzle mediorientale

Giacomo Delinavelli martedì 3 Maggio 2016
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La frammentazione del Medioriente è una minaccia seria per la sicurezza dell’Europa. Gli attacchi di Parigi e Bruxelles sono la dimostrazione che nessuna cortina di filo spinato o giunta militare può domare le fiamme che stanno ardendo al di là del Mediterraneo.

Questi anni di guerra iniziati con la cacciata di Ben Halì (2010) dal governo della Tunisia sono stati caratterizzati da un caos di rivendicazioni che ha pochi precedenti. Le due forze principali sono quella Sunnita (Arabia Saudita) e Sciita (Iran). In contrasto fra di loro stanno perpetuando le guerre in Siria e Yemen alimentando contemporaneamente: crisi umanitarie, gruppi terroristici, giunte militari.

La crisi dei rifugiati è il più grande dramma umanitario che si sia consumato in Europa dopo la seconda guerra mondiale. Milioni di donne, uomini e minori non accompagnati hanno attraversato stati e frontiere in cerca di protezione. L’Unione Europea in quanto istituzione nata in seguito al dramma della seconda guerra mondiale, e quindi fondata sul riconoscimento dei diritti dell’uomo e delle sue libertà fondamentali, non è stata in grado di affrontare la situazione sia con un chiaro messaggio politico che con un piano concreto. Questo fallimento politico  è stato fatto pagare a caro prezzo ai rifugiati e ha minato seriamente di nostri valori fondamentali.

Già prima dell’emergere della primavera Araba, e in maniera diversa da Al Qaeda, si andava formando una delle organizzazioni terroristiche più sanguinarie mai conosciute, Isis o Daesh. L’autoproclamato califfato ha come obiettivo quello della formazione di uno stato islamico totalitario che si espanda nel mondo e distrugga ogni altra nazione e religione. Per quanto assurdo questo messaggio possa sembrare, molti europei, ragazzi nati e cresciuti nelle nostre città, hanno ritenuto questa missione come una per la quale val la pena dare la vita. Figli di genitori immigrati in Europa in seguito alla richiesta di manodopera degli anni ’60 e ’70, da parte di stati distrutti dalla seconda guerra mondiale e indirizzata soprattutto verso Turchia e Marocco, questi ragazzi hanno anteposto la causa dello stato islamico a quella europea.

Allo stesso tempo per fare ordine nel caos Mediorientale, l’Europa ha riconosciuto una giunta militare per il governo del più grande paese del nord Africa, l’Egitto. Il caso di Giulio Regeni, il ricercatore italiano torturato e ucciso, assieme a tutte le altre violazioni dei diritti umani perpetuate dal regime del generale Al Sisi, ci dimostrano che questo tipo di soluzione è in antitesi ai valori europei. L’Unione Europea ha bisogno di mostrarsi agli occhi del mondo, e soprattutto agli occhi delle vittime del mondo, come baluardo dei diritti umani e dell’integrazione fra culture e religioni diverse. Perché è proprio questa l’essenza del progetto europeo e tradirlo equivale a distruggerlo. E noi non ce lo possiamo permettere.

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