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L’occasione della Cina

Alessandro Maran sabato 26 Aprile 2025
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di Alessandro Maran

 

Come di consueto, all’inizio del mese l’esercito cinese ha condotto esercitazioni militari intorno a Taiwan, tra cui esercitazioni in cui sono state utilizzate munizioni e ordigni veri, anziché proiettili a salve o finti, e prove di operazioni di blocco in prossimità di rotte commerciali critiche (https://globaltaiwan.org/…/chinas-military-exercises…/). Nectar Gan ed Eric Cheung della CNN osservano: “Negli ultimi anni la Cina ha aumentato la frequenza e la complessità delle sue esercitazioni militari intorno a Taiwan, esercitazioni che, secondo gli analisti, servono sia come essenziale preparazione che come copertura strategica per una potenziale futura invasione dell’isola indipendente” (https://edition.cnn.com/…/china-taiwan…/index.html).
Le esercitazioni “potrebbero indicare che Pechino ha aumentato deliberatamente le tensioni nello Stretto di Taiwan, approfittando delle preoccupazioni dell’amministrazione Trump riguardo alla mancanza di un chiaro vantaggio militare degli Stati Uniti nel Pacifico occidentale, che hanno indotto una riluttanza a farsi coinvolgere prematuramente in conflitti militari con la Cina”, scrive Chieh Chung per The Diplomat (https://thediplomat.com/…/analyzing-the-plas-early…/). “Questa strategia mira a creare un vantaggio nelle trattative con l’amministrazione Trump”.
A prescindere dal loro scopo strategico, questo genere di attività suscitano timori e preoccupazione in Occidente – e in particolare negli Stati Uniti – riguardo a una potenziale guerra calda con la Cina per Taiwan, che potrebbe rivelarsi catastrofica.
Tuttavia, Rana Mitter, storica della Harvard Kennedy School ed esperta di Cina, scrive su Foreign Affairs che Pechino ha solide ragioni per non impadronirsi di Taiwan, in quanto ciò danneggerebbe gravemente il soft power cinese, in un momento in cui l’influenza degli Stati Uniti sta diminuendo e la Cina ha l’opportunità di presentarsi al mondo con un’immagine più amichevole.
“Un’occupazione violenta di Taiwan sarebbe difficile da realizzare”, scrive Mitter, “ma la Cina potrebbe probabilmente riuscirci. Le conseguenze di tale aggressione, tuttavia, sarebbero estremamente dannose per Pechino. L’uso della forza militare e il costo umano ed economico della violenza renderebbero inquieta tutta l’Asia riguardo alle intenzioni cinesi in merito alle rotte marittime regionali e spingerebbero molti di questi paesi ad aumentare le misure di sicurezza e a rifiutare le opportunità di una maggiore integrazione regionale. Gli stati asiatici si preoccuperebbero che la Cina possa decidere – proprio come ha fatto la Russia dopo l’invasione su vasta scala dell’Ucraina nel 2022 – che alcuni paesi sono più sovrani di altri e che le azioni e le preferenze interne degli stati vicini possano in qualche modo costituire una violazione della sovranità (…) Un gran numero di potenti attori economici nel Nord del mondo potrebbe imporre sanzioni che danneggerebbero la Cina e l’Asia più in generale. La coercizione ideologica o la “rieducazione” di un’isola conquistata da parte di Pechino sotto un regime come quello in vigore nello Xinjiang o in Tibet distruggerebbe l’economia high-tech e orientata all’esportazione dell’isola, che dipende fortemente da estese interazioni con il resto del mondo” (https://www.foreignaffairs.com/…/once-and-future-china…).

Ci sono molte ragioni per cui Pechino dovrebbe evitare di alienarsi i vicini asiatici e le potenze globali più lontane, ma Mitter scrive che una di queste è l’opportunità offerta dalla svolta autoritaria dell’America sotto Trump. La mancanza di diritti civili in Cina inquieta gli osservatori occidentali, ma un modello di governo autoritario statunitense appare, per così dire, meno favorevole di quello cinese all’opinione pubblica globale. Se la Cina si rilanciasse sotto una sorta di “welfare authoritarianism”, di autoritarismo assistenziale, abbinato a una leadership nelle tecnologie per l’energia verde, sostiene Mitter, potrebbe garantirsi una migliore reputazione a livello globale. “Una Cina che si presentasse come la creatrice di un ordine pacifico negli anni 2040 sarebbe molto più difficile da contestare in Occidente, e nel mondo in generale, rispetto alla sua attuale versione conflittuale”, scrive Mitter. “Non è chiaro se la Cina possa davvero intraprendere questa strada. Eppure, nell’ultimo secolo, il modo meno affidabile per prevedere come sarà la Cina tra 20 anni è sempre stato quello di ricavare queste ipotesi estrapolandole in linea retta da dove si trova ora”.

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