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Marchionne è un modello per l’Italia di oggi

Antonio Preiti mercoledì 25 Luglio 2018
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di Antonio Preiti

 

Forse una sola cosa si può rimproverare a Marchionne: di non essere stato, nel nostro paese, apostolo di se stesso. D’altra parte, per avere apostoli, bisogna che qualcuno ci creda. E nel nostro Paese, a parte gli azionisti della Fiat, in lui, sostanzialmente, non ha creduto nessuno.

 

Un successo incredibile

E tuttavia ha avuto un successo impensabile, straordinario, incredibile. Ricordo perfettamente i soloni che nei giorni in cui ha preso le redini della Fiat scrivevano dell’epoca storica nuova, senza nessuna industria automobilistica nel futuro del nostro paese (non si sa perché in italia siamo tutti storici in anticipo, epocali prima dell’epoca, insomma ogni due-per-tre apriamo e chiudiamo epoche storiche come nulla fosse).

Invece, aveva detto che la Fiat si poteva salvare, solo che non si sarebbe salvata con qualche convegno o dichiarazione stampa o legge ad hoc: bisognava vincere sul mercato, cioè fare buone automobili a buon prezzo.

Infatti, la prima considerazione è proprio questa: per salvare e poi rilanciare la Fiat ci voleva proprio un alieno, uno lontanissimo dal modo usuale di trattare in italia l’economia e le crisi aziendali. Innanzitutto, Marchionne ha un cognome comune. Non proviene da dinastie, non è figlio, fratello, cugino di nessuno. E per l’Italia non è cosa da poco.

 

Globale per natura, storia, atteggiamento

Ha tre lauree, il che stona totalmente con il culto che per fare il manager non occorra studiare, ma “gestire”, nel senso meno nobile di questo termine. È globale per natura, storia e atteggiamento. Anche questo, in un momento di ritorno all’autarchia non è male. È veloce. Attitudine poco italiana. È un vero meritocratico, nel senso che è convinto che debbano governare i migliori.

Da noi invece vige questo strano meccanismo, che tutti dicono che devono governare i migliori, ma decidono loro – in genere non i migliori – chi sono i migliori. È anti-establishment, tanto che è persino uscito dalla sua organizzazione di rappresentanza, cioè la Confindustria. È uno che prima di ogni decisione ha cercato di avere una visione (a suo giudizio, la laurea in filosofia gli ha reso questa qualità). In sostanza, un alieno.

 

Il caso Alitalia: un modello negativo

Quante crisi aziendali italiane sono trattate allo stesso modo? Poche, pochissime quelle di aziende importanti. Guardiamo, per esempio, Alitalia: avessimo avuto un Marchionne adesso probabilmente sarebbe una delle compagnie aeree più affermate e solide al mondo. Eppure per Alitalia, per esempio, una “visione” non è difficile.

È ancora un ottimo brand, ma ha bisogno di tanti soldi per comprare nuovi aerei che servano il lungo raggio (il maggiore, anzi l’unico, segmento remunerativo per una compagnia non low cost). Ha bisogno di tanti soldi per giocare da sola, perché è evidente che le alleanze con Air France o con Lufthansa, nella loro essenza, significano solo trasferire il mercato italiano in pancia dell’una o dell’altra compagnia. British Airwais e Emirates, per esempio, giocano da sole e vincono.

Invece, come dieci anni fa, come venti anni fa, come da sempre si discute se Alitalia deve essere pubblica o privata, e ogni volta si riparte da zero, senza affrontare i nodi veri. C’è una visione industriale di successo per Alitalia? ci sono i soggetti, pubblici o privati che la realizzino e ci mettano tanti soldi? Questo è il punto.

 

Un modello per l’Italia di oggi

Marchionne è perciò non solo una testimonianza eccezionale e una storia manageriale straordinaria, è un modello per l’Italia di oggi. Forse possiamo riassumerlo così:

  1. Non vinci, se non vinci sul mercato. Non vinci se non fai prodotti migliori a un prezzo competitivo. Questo vale per qualunque industria. Non ci sono altre strade. Le altre strade sono quelle dell’aiuto pubblico (anche Marchionne l’ha avuto dal governo americano, ma è stato un prestito ed è stato restituito), ma se la gente non ti sceglie, non vinci;
  2. Sei globale per definizione. In un modo in cui tutto (o quasi) è interdipendente, pensare di risolvere qualunque problema in chiave autarchica è velleitario. Essere nazionalisti significa conquistare nel mondo globale una posizione di primato di eccellenza in una serie di mercati sufficienti a garantire il benessere collettivo. Non c’è altro modo di essere nazionalisti;
  3. Se sei burocratico, ti condanni da solo. La burocrazia, vista in una maniera più profonda, non è che la forma che assume la difesa dello status quo. La burocrazia fondamentalmente è un modo, molecolare, apparentemente neutrale, di difendersi dagli “altri”, chiunque essi siano. Governi che regolano tutto, che iper-regolano tutto, che entrano in ogni piega della società, sono governi che, forse inconsciamente, vogliono mantenere le cose come sono, al di là delle parole. L’ossessiva regolamentazione è lo specchio dell’ossessiva paura della competizione.

È così che, rispetto a idee che guardano all’indietro, rispetto a soluzioni delle crisi aziendali dove l’unica risposta è quella di prescindere dal mercato, rispetto alla crescita di tutto ciò che è protezione anziché competizione, la vicenda di Marchionne diventa un modello.

 

Possiamo farcela

Scavando, scavando, e scavando ancora, la differenza tra il “Modello Marchionne” e gli altri è essenzialmente una sola: da un lato c’è chi crede che il nostro paese, anche nella competizione globale, ce la può fare, ha talento, capacità e possibilità di farcela e di conseguenza si attrezza a mettersi in campo con questo spirito; dall’altra c’è chi ha già decretato (o lo pensa senza consapevolezza) che siamo oramai sconfitti, che non c’è nessun modo di farcela e perciò l’unica cosa possibile e saggia è quella di accompagnare l’uscita di scena proteggendo, assistendo, burocratizzando. In questo senso Marchionne è presentissimo tra noi.

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