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Medio Oriente, la catena storica delle inadempienze

Giovanni Cominelli venerdì 27 Giugno 2025
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di Giovanni Cominelli

 

Dopo la fallimentare invasione dell’Iraq del marzo del 2003 da parte degli USA, Israele e Stati Uniti incominciarono a sospettare, tra il 2005 e il 2006, che l’Iran volesse dotarsi dell’arma nucleare e avanzarono l’ipotesi di un intervento preventivo.
Cina e Russia, sostenitrici dell’Iran, si opposero sia ad ogni possibile intervento militare sia alle sanzioni economiche, che invece vennero progressivamente comminate.
Dopo un tira e molla durato ben dieci anni, fu firmato a Vienna il 14 luglio 2015 il Piano d’azione congiunto globale – Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) – tra l’Iran e i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, più la Germania e l’Unione europea.
L’accordo impegnava l’Iran a eliminare le sue riserve di uranio a medio arricchimento, a tagliare del 98% le riserve di uranio a basso arricchimento e a ridurre di due terzi le centrifughe a gas.
Ma nel maggio 2018 Trump si ritirò unilateralmente dall’accordo – nonostante il disaccordo di Francia, Regno unito e Germania – e ripristinò le sanzioni.

L’espansione del programma nucleare

Per tutta risposta, a partire dal 7 luglio 2019, l’Iran ha gradualmente ripreso ad arricchire l’uranio ed espandere il suo programma nucleare.
Il 4 gennaio 2021 l’AIEA ha confermato che l’Iran ha avviato il processo di arricchimento dell’uranio al 20%.
Il 7 ottobre 2023 accade tra Israele e Gaza l’evento catastrofico ad opera di Hamas, che l’Iran ha mosso come una pedina dello scacchiere sciita non solo per distruggere lo Stato di Israele, ma anche contro i Patti di Abramo, firmati il 15 settembre 2020 tra Emirati Arabi, Baharein, Israele e Usa.
Il 13 giugno scorso Israele ha bombardato siti militari iraniani e nella notte tra il 21 e il 22 giugno gli Usa hanno mandato i bombardieri a colpire i siti nucleari iraniani con l’operazione “Martello di mezzanotte”.
Questa notte Trump ha annunciato la fine della “Guerra dei 12 giorni”. Per sempre? Solo il delirio di onnipotenza di Trump può farlo credere. Vien da pensare al titolo di un famoso libro: “lo stile paranoide della politica americana”.

Del “Diritto internazionale”, tra regole e propaganda

In questi giorni, le grandi potenze si accusano a vicenda di violare il diritto internazionale. Si tratta di pura propaganda. Le regole dei rapporti tra gli Stati sovrani poggiano su accordi de facto degli Stati stessi.
È ciò che è sempre accaduto: dalla pace di Westfalia del 1648, al Congresso di Vienna del 1815, al Congresso di Berlino del 1878, al Congresso di Versailles del 1919, al processo di Norimberga del 1945-46, all’Assemblea generale delle Nazioni unite del 10 dicembre del 1948, il Diritto internazionale è sempre stato una creazione degli Stati vincitori, più o meno magnanimi nei confronti degli sconfitti di turno.
Ha retto finché hanno retto gli accordi. Non un minuto in più. Quando si rompe un equilibrio sistemico, salta il “Diritto internazionale”, torna a valere la legge dello “Stato lupo allo Stato”.

Nuovi equilibri nascono da nuove guerre

La Storia aggiunge anche che nuovi equilibri nascono da nuove guerre. Nel ‘900 le guerre sono diventate mondiali. Vittime milioni e milioni di civili e di militari.
La rottura del 1989 degli equilibri della Seconda guerra mondiale può sfociare in una nuova guerra distruttiva?
Sì, ci troviamo esattamente su questo crinale della Storia! La guerra è tornata sulla scena, perché si era solo momentaneamente nascosta dietro le quinte.
Si può evitare di cadere nella voragine, come accoratamente invoca Leone XIV? Solo se c’è resistenza all’oppressione e all’ingiustizia.
Non si affermerà la pace, ma solo una fragile tregua, se Trump dichiara allegramente che la Groenlandia e pure il Canada sono necessari al MAGA.
E se Putin afferma impudentemente che gli Ucraini sono Russi e che ogni pezzo di terra calpestato da un soldato russo è Russia. E se Xi Jin-Ping si vuole mangiare Taiwan. E se l’Iran vuole cancellare Israele dal Medioriente.

La guerra è “naturale”, la pace è “artificiale”

C’entra in tutto ciò la natura umana? Sì, perché la guerra è “naturale”, la pace è “artificiale”. La pace è l’uscita dalla condizione di natura, è un progetto comunitario.
In un pamphlet del 1939, intitolato “Pacifistes ou bellicistes”, scritto dopo il patto di Monaco, Emmanuel Mounier, fondatore di Esprit, la rivista del personalismo cristiano francese,afferma: “La nostra condizione temporale ci impedisce di agire come se la forza brutale fosse assente dal gioco degli uomini, mentre essa non ne sarà mai totalmente bandita prima della riconciliazione finale”.
“Rifuggire da questa realtà, o anche solo ignorarla, non è purezza, è un’ingenuità che confina con la viltà, perché disarma la resistenza al male, all’ingiustizia, alla violenza che sono parte costitutiva dell’esperienza umana”.
Nel mondo ci sono aggressori ed aggrediti, oppressori e oppressi, liberi e schiavi, angeli e demoni, il Bene e il Male. Lo spiega un libro antichissimo, il Libro della Genesi, 8.21: “… il cuore dell’uomo è incline al male fin dalla sua giovinezza”.
Verità sgradevole, ma è la nostra verità umana. Costruire la pace vuol dire resistere all’ingiustizia. Scendere nelle piazze per il disarmo e chiedere agli Ucraini di arrendersi e a Israele di dissolversi come Stato significa schierarsi dalla parte degli aggressori, cioè dalla parte della guerra, mentre si alzano al vento le bandiere arcobaleno.
Perciò la pace si costruisce e si difende, in questa valle di lacrime, anche con le armi. Era ciò che constatava realisticamente Papa Montini all’ONU il 4 ottobre 1965: “Finché l’uomo rimane l’essere debole e volubile e anche cattivo, quale spesso si dimostra, le armi della difesa saranno necessarie, purtroppo…”. Sono passati solo sessant’anni. Ed è oggi.

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