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Medioriente, conflitto senza fine. La guerra non può regolare la storia

Giovanni Cominelli giovedì 29 Maggio 2025
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di Giovanni Cominelli

Medioriente, conflitto senza fine. I torti di oggi nascono dalle ragioni di ieri, ma la guerra non può regolare la storia.

“La terra della discordia” (Th. G. Fraser)”, ”Un popolo in disaccordo” (Yeuda Bauer) e altri titoli analoghi descrivono realisticamente la condizione storico-politica di quell’area del Medioriente che prende il nome di Israele, Gaza, Cisgiordania, Libano, Siria… Da qualche migliaio di anni è la più conflittuale del pianeta.
Come in ogni tragedia, ciascuna delle parti in causa ha ottime ragioni e potenti torti, che si sono intrecciati lungo gli ultimi quattromila anni, così che i torti di oggi nascono dalle ragioni di ieri, che sono il prodotto dei torti dell’altro ieri.
L’alternativa radicale che fa capolino dietro le scelte contingenti è però sempre la stessa: o noi o loro!  Se le cose stanno così, dalla Palestina o se ne vanno gli Ebrei o se ne vanno gli Arabi.
L’intenzione politica sottesa è, oggi, quella della pulizia etnica e dell’annientamento reciproco. È tuttora considerata la più realistica dalla maggioranza degli Israeliani e dei Palestinesi.
Due popoli, due Stati: un’ipotesi naufragata più volte
Fino all’assassinio di Rabin, il 4 novembre del 1995, più della metà del Parlamento israeliano era favorevole all’idea dei “Due popoli, due Stati” e allo scambio “Territori contro sicurezza”.
Il voltafaccia di Arafat, che di fronte a Clinton si dichiarò favorevole all’accordo e che, tornato in Palestina, lo sconfessò rese più accettabili e maggioritarie le tesi storiche  del Likud e dei vari gruppi integralisti contrari a “Due popoli, Due stati”.
Sono passati trent’anni di… passi indietro. Il Likud ha fatto di tutto per delegittimare l’Autorità nazionale palestinese, peraltro imbelle e corrotta in proprio.
Hamas e la Fratellanza mussulmana nel 2006 hanno vinto le elezioni democratiche nella striscia di Gaza, ma poi hanno costruito una dittatura – più nessuna elezione da allora –  hanno “dirottato” milioni di dollari dal Welfare alla costruzione di tunnel, all’acquisto di missili e di alianti per preparare il massacro del 7 ottobre 2023.

Decenni per alimentare l’odio di massa

Israele intanto ha promosso una colonizzazione violenta della Cisgiordania. La viltà della Lega araba ha fatto il resto: avendo alimentato per decenni l’odio di massa anti-ebraico, ne è rimasta prigioniera, così da non poter fare il passo decisivo della promozione del riconoscimento reciproco tra popoli e, dunque, tra Stati.
Torna sempre attuale l’intervista lucida e tragica, già riportata più di un anno fa su queste pagine, di Nahum Goldman a Ben Gurion, il Padre della patria di Israele, pubblicata nel 1978 in “The Jewish Paradox”.
Per Goldman era necessario ripensare l’intera questione israelo-palestinese in termini di sovranità sovranazionale, in una direzione eventualmente federale.
Ben Gurion, che definiva Goldman con malcelato disprezzo “un ebreo errante”, perché si trovava a suo agio nella diaspora, investiva tutto sulla dimensione statale e politico-militare, in base ad un’analisi spietata:  “Se fossi un leader arabo, non farei mai la pace con Israele… Abbiamo preso il loro Paese.
C’è stato l’antisemitismo, i nazisti, Hitler, Auschwitz, ma questo è stata colpa degli Arabi? Essi vedono solo una cosa: che noi siamo arrivati qui e abbiamo rubato la loro terra. Perché dovrebbero accettarlo?  È vero che Dio ce l’ha promesso, ma cosa significa per loro? Il nostro Dio non è il loro”. Ecco, non c’è ancora pace.

Che facciamo dei Palestinesi?

Netaniahu, appoggiato dalla maggioranza del Parlamento e del Paese, punta sulla distruzione militare di Hamas e spinge l’acceleratore sulla colonizzazione pervasiva e violenta della Cisgiordania.
Continua così a mancare la risposta alla domanda: “Che facciamo dei Palestinesi?”. È vero che “la nazione palestinese” è un’invenzione relativamente recente. Quando gli Egiziani, i Siriani, i Giordani, i Sauditi attaccarono lo Stato d’Israele, all’indomani del 14 maggio 1948, non pensavano di certo di creare un territorio per un Popolo-nazione-stato palestinese. Volevano semplicemente spartirselo.
L’OLP è stata una costruzione politica arabo-sovietica degli anni ’60, in funzione anti-americana. Secondo Netaniahu, la creazione di uno Stato palestinese, verso cui spinge anche l’Unione europea, finirebbe per premiare il terrorismo islamico.
Di fatto e oggettivamente, secondo il governo israeliano, l’UE incoraggia l’antisemitismo, che perciò ha rialzato la testa in Occidente.
A questo punto restano a Israele due strade: o l’assorbimento dell’intera popolazione araba nelle strutture civili e statuali di un’unica statualità, secondo un’ipotesi laico-federalista di tipo svizzero, o la sua espulsione definitiva.
La prima strada dovrebbe avere il consenso della popolazione israeliana e di quella palestinese. Pare ora difficilmente praticabile. Ma lo è ancor meno la seconda, perché nessun Paese arabo circonvicino vuole ospitare masse di Palestinesi, che già hanno contribuito fin dagli anni ’70 a destabilizzare il Libano e la Giordania.
Resta, non teorizzata esplicitamente, ma tacitamente praticata, la politica del massacro, cui fornisce un solido alibi l’intreccio, appositamente costruito da Hamas, tra le strutture civili palestinesi – ospedali, scuole, condomini – e le strutture militari.
L’ideologia martiriologica dell’Islam fondamentalista, d’altronde, esalta il sacrificio di migliaia di civili-militari, di donne e bambini. L’indignazione a tasso ideologico variabile delle piazze europee sembra dimenticare qualche pezzo di questo tragico puzzle.

 Il disordine mondiale e l’impotenza geopolitica

Solo un concerto di assicurazioni-contrassicurazioni globali tra i soggetti locali e globali potrebbe garantire a ciascuno le sue ragioni in Medioriente.
Il fatto è che il campo strategico è affollato di interessi violentemente contrapposti: Israele, Hamas, ANP, Arabia Saudita, Iran, Houthi, Libano, Siria, Egitto, Turchia, Usa, Russia, Cina… Non emerge, finora, nessun mediatore.
Ora si è auto-proposto Trump. La sua idea “mediatrice” è semplice: le aspirazioni nazionali, i conflitti religiosi e culturali, le storie etniche millenarie si possano facilmente neutralizzare con un abbondante flusso di merci e di dollari.
La “Riviera di Gaza” è molto più di una boutade, è la dottrina -Trump per il Medioriente e per il mondo intero. Il mondo viene trasformato in una sorta di “Casinò Royale”, dove tutti possono vincere qualcosa, oggi o domani, mentre una misteriosa Mano invisibile ci tiene lontani dalla Catastrofe.
L’effetto di questo vuoto di strategia è, intanto, l’uso solitario e cieco della forza. La guerra reale, minacciata, preparata sta diventando il “regolatore” della storia di un mondo.

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