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Per una nuova Agenda Urbana

Andrea Ferrazzi martedì 4 Settembre 2018
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di Andrea Ferrazzi

Conclusioni al Seminario “Rigeneriamo le città dal Bando periferie alla nuova Agenda Urbana”, organizzato dai Gruppi Parlamentari di Camera e Senato

 

Più che conclusioni, queste vogliono essere parole rappresentative di un nuovo inizio. Un nuovo inizio perché il Partito Democratico a differenza degli gli ultimi cinque anni si trova in una nuova posizione, che è quella dell’opposizione, che di per sé non è un male, ma può anche essere un’occasione. Possiamo prenderci i tempi e soprattutto i modi per poter riflettere con più pacatezza e soprattutto per coinvolgere tutti i mondi che hanno a che fare con i vari temi che affrontiamo. 

Oggi abbiamo voluto affrontare un tema per noi cruciale, che è il tema delle città. Ora, non c’è dubbio alcuno che quando parliamo di città, per usare un antico termine, parliamo della vera ricchezza delle nazioni. La grande percentuale di produzione interna lorda di una nazione si produce all’interno delle città, in particolare all’interno delle aree metropolitane. Nel nostro Paese c’è una consapevolezza di questo? Cioè al di là delle parole e delle chiacchiere c’è una politica unitaria che mette al centro dell’azione di governo la città e le aree metropolitane? Perché all’interno di altri Paesi europei questo avviene.

Nel nostro Paese invece più che una centralità delle politiche per la città c’è stato un procedere per singole sollecitazioni. Per intenderci, sollecitazioni anche positive. E’ stato citato più volte oggi il Bando per le periferie, che è stato il più grande investimento, nella storia della Repubblica, che un governo abbia mai fatto per le città. Sono stati messi a disposizione 2.062.000 di euro che hanno generato un effetto leva non secondario perché in tutto sono stati mossi 3.800.000.000, di cui 435 milioni dei comuni, 389 milioni di altro pubblico, 801 milioni di privati. Ma anche dal punto di vista contenutistico è stato un’innovazione. Perché per la prima volta si è immaginato che il privato fosse un partner nella costruzione di una città sensata e che non fosse solo una controparte da regolamentare. E’ stato molto interessante soprattutto dal punto di vista dimensionale, pensate che questo Bando per le periferie ha avuto ricadute di livello su quasi 23 milioni di cittadini per un totale di 120 progetti che hanno coinvolto 445 comuni e 2161 interventi. Certamente non è stato l’unico, perché nella storia degli ultimi anni sono stati messi in campo un sacco di progetti. Pensiamo al Piano città, al Bando per le Aree degradate che è ancora in corso, i vari Patti per le Città o per le Regioni di cui abbiamo già parlato, i PON Metro ed altri, il Bando per le Scuole Innovative, per la Mobilità Sostenibile, Italia Sicura e potrei proseguire. 

Un’azione strategica, integrata e complessiva

Ma il tema principale oggi è se è necessario accostare a questi bandi un nuovo bando, oppure, oltre l’accostamento di un altro bando (io sono d’accordo per rifinanziare il Bando per le periferie, rivedendo alcune cose, magari facendo in modo che sia ancor più un generatore di nuova progettualità e non un finanziatore di progetti che avevamo nei cassetti, magari non condivisi), se non sia necessario iniziare ad operare per un’azione strategica, integrata e complessiva. Perché appunto io sono per un rifinanziamento del Bando per le periferie esistente, ma sono assolutamente convinto che questo da solo non sia sufficiente. Si tratta dunque di porre al centro del dibattito nazionale, così come abbiamo provato a fare nel seminario di oggi, il tema della Nuova Agenda Urbana. Cioè l’idea della costruzione di una policy generale dentro la quale i singoli bandi e i singoli progetti possono trovare un senso compiuto, ma per avere una policy c’è bisogno di avere una governance. Ovvero, c’è bisogno di un luogo dove prendere le decisioni per andare in questo senso. Oggi c’è stato un proliferare di interventi dei singoli Ministeri. Se facciamo l’esempio del federalismo demaniale, è stata un’intuizione importante, ma quanti di quei progetti stanno trovando davvero realizzazione? Quanti di quei beni poi torneranno dagli enti locali agli enti proprietari all’origine perché non hanno saputo coinvolgere, e questo è il passaggio non secondario, gli investitori privati? Perché non c’è dubbio alcuno, ed io questo l’ho sperimentato da Assessore all’Urbanistica e all’Edilizia a Venezia, che se non fai investimenti con i privati non fai rigenerazione urbana. E se non fai rigenerazione urbana, vai nella direzione del consumo del suolo. Perché è molto più facile consumare piuttosto che ripensare l’esistente. Ma per ripensare l’esistente hai bisogno di investimenti dei privati. 

Guardate su questo bisogna capirci immediatamente. Parigi sta finanziando con fondi propri, ma anche coinvolgendo altri, un sistema di metropolitana di oltre 200 chilometri con oltre 68 stazioni nuove. Parigi, che ha uno dei sistemi metropolitani migliore del mondo. Londra, si sta focalizzando all’interno di una pianificazione organica e strategica, quindi non solamente puntuale o tattica di breve periodo, ma che guarda in avanti di 20-30 anni come minimo e si sta immaginando come futuro della formazione a livello mondiale. Per questo sta già costruendo 600 nuovi college per attirare le migliori menti di tutto il mondo. Avevano un grande problema con le fognature ed hanno semplicemente costruito un grande collettore fognario di sette metri di diametro ponendolo sotto il Tamigi, con zero impatto sulla città. Stoccolma, la socialdemocratica Stoccolma, attenta all’ impatto sociale di tutti gli investimenti, ha un investimento per costruzioni in edilizia maggiore di 8000 euro per abitante, Roma rasenta i 2000 euro per abitante. Lo stesso Piano Junker, quello tanto citato che riguarda gli investimenti infrastrutturali della rigenerazione a livello europeo prevede una leva finanziaria pari 1 a 15.

Rapporto pubblico-privato

Il rapporto pubblico-privato, va dunque ripensato nella logica dell’amicizia civica, del gioco win-win, del gioco a somma positiva. Lo dico chiaramente. Chi fa programmazione e chi definisce lo sviluppo del territorio è il pubblico. Anche qua dal punto di vista dello sviluppo urbanistico, la pianificazione urbanistica è tale per cui un ente locale definisce lo sviluppo di un territorio per i prossimi 30 anni e poi va a dialogare con i privati e non come spesso accade, accoglie di volta in volta i privati ed in base alle pressioni e all’incapacità negoziale del pubblico accetta proposte. Sono stati per esempio attivati project financing che non sono assolutamente a beneficio pubblico e che scaricano l’incertezza sul pubblico. Su questo dovremmo fare un ragionamento un po’ più complessivo, per esempio dobbiamo domandarci se i nostri enti locali hanno la competenza al loro interno per poter ragionare pari a pari con gli investitori, con le SGR, con i promotori? Ce l’hanno? Le dimensioni dei nostri comuni sono adeguate? Gli uffici dell’urbanistica, dei lavori pubblici, del patrimonio e gli altri, hanno la necessaria competenza giuridica per far fronte alle innovazioni di cui c’è bisogno? Sono tutelati? Hanno alle spalle un ufficio legale per cui possano porsi pari a pari con questi investitori? Ma allora quando noi pensiamo ad una nuova normativa nazionale, dobbiamo pensare anche a questo. Cioè la governance del territorio dal punto di vista urbanistico passa attraverso anche un nuovo ridisegno dell’assetto istituzionale del nostro Paese. Ora, per chiudere, alcuni punti solo per titoli all’interno dei quali secondo me dobbiamo muoverci.

Primo punto: sul partenariato pubblico-privato ho appena detto, in questi anni sono stati fatti dei passi in avanti dal punto di vista normativo, dall’articolo 8 che ormai ha dieci anni di storia, moltissime norme e leggi sono state introdotte, molti strumenti sono stati messi a disposizione dei Comuni. Pensiamo ai fondi rotativi, ai fondi immobiliari chiusi e molti nuovi strumenti e soggetti che si sono attivati, dalla Cassa Depositi e Prestiti, ai privati, i gestori, gli investitori le SGR ed altri ancora. Ma manca assolutamente un coordinamento, lo diceva anche Luciano D’Alfonso prima, manca quel soggetto di governo complessivo della situazione in assenza del quale non ne usciamo.

Mutamenti climatici

Secondo passaggio: quando parliamo di efficientamento energetico ci inseriamo nel grande tema della “mitigazione ambientale”, cioè della riduzione delle emissioni. Ora questo è un tema certamente centrale, ma non è assolutamente esaustivo. Perché ormai dobbiamo lavorare per una politica dell'”adattamento”. I mutamenti climatici sono infatti ormai strutturali, per cui bisogna da un lato certamente lavorare sulla mitigazione, ma dall’altro bisogna diventare consapevoli che questo mutamento è strutturale e che questo ha comportato delle trasformazioni climatiche con delle ricadute che non sono solo contingenti nelle città, ma in tutto il territorio. Pensiamo per esempio a come alcune città importanti del Nord Europa da decenni hanno affrontato il problema delle bombe d’acqua o delle isole di calore, come la Fondazione Rockefeller da quarant’anni pone questo tema e come invece nelle nostre città non ci sia nessuno esperimento vero in questa direzione a parte qualcosa a Milano e qualche bozza a bologna. Allora questo è tutto un tema da affrontare anche dal punto di vista della legislazione, perché siamo indietro di trent’anni. 

Porre fine all’urbanistica espansiva

Il terzo punto: è quello di porre fine all’urbanistica espansiva. Ora guardiamo ai dati perché sono sconcertanti. Mentre noi oggi parliamo stiamo consumando in questa giornata circa 50 ettari di terreno vergine e, sempre mentre stiamo parlando, l’80% del nostro patrimonio edilizio è in classe energetica G, e nonostante questo stiamo lavorando con un’urbanistica espansiva come se fossimo nell’incremento economico di PIL dell’8% del 1960 e con l’incremento demografico del 1960-70. In questo c’è la schizofrenia. Noi abbiamo 2,5 milioni di unità residenziali che sono vuote (quasi il 10% del totale), e continuiamo a produrre stecche di nuove case che non saranno mai vendute e che sono già proprietarie non delle imprese, ma delle banche, che si sono accollate il fallimento delle imprese. Abbiamo il 50% degli edifici che hanno più di 40 anni e potrei continuare.

Guardate che il tema del superamento del limite delle città ha una ricaduta che non è quantificabile solo in termini economici, ma ha delle ricadute dirette dal punto di vista sociale e culturale. Il concetto di periferia non è un concetto topografico, ma è un concetto sociale e culturale. Oramai le periferie attraversano le città, sono ben oltre la topografia, entrano in molti casi nei centri urbani e anche nei centri storici parlando con termini urbanistici. Dallo studio che abbiamo compiuto su come i comuni si sono posizionati nei progetti dei bandi per le periferie questo è plasticamente visibile. I progetti del bando sono infatti per lo più concentrati all’interno del centro storico e del centro urbano. Su questo ci sono infinite interconnessioni e cause e conseguenze, io sono ad esempio convinto che noi dobbiamo come Partito Democratico fare un profondo ragionamento sulla interconnessione tra la struttura della città e le ricadute sociali e culturali. Mai come oggi per esempio viviamo in città sicure, l’occidente non ha mai vissuto in città come sicure, ma mai come oggi viviamo il tema della paura. Quella dispersione, questo “spavento”, quelle città etimologicamente “deliranti”, stanno definendo delle comunità spaesate, impaurite e rancorose. Allora le politiche urbanistiche sono politiche che devono dare risposta a questo, ed è per questo che dobbiamo superare la settorialità dell’urbanistica e immaginare nella partecipazione e nella programmazione un’urbanistica che deve essere da un lato rigenerativa e non più “espansiva”, dall’altro olistica e non più “settoriale”.

Progettazione e partecipazione

Quarto punto: come già detto prima, è quello della Nuova Agenda Urbana oggetto di questo incontro. Ovvero c’è bisogno di lavorare su alcuni strumenti che sono già stati accennati e che riguardano il grande valore della progettazione e della partecipazione. Aprire alla partecipazione nella progettazione degli spazi comuni non è per niente una perdita di tempo, ma si tratta di arretrare all’inizio per guadagnare dopo dal punto di vista della velocità dei processi e dall’assenza dei ricorsi, che sono un tema drammatico nel disegno dell’urbanistica e dell’edilizia e della qualità del disegno dei nostri territori e della nostra città. Incentivare davvero la rigenerazione vuol dire lavorare su politiche innovative del riuso come diceva prima qualcuno. Se uno oggi vuole fare un intervento di micro sostituzione edilizia, non lo farà mai, perché deve avere un permesso per l’abbattimento, uno per la ricostruzione, pagare oneri primari, secondari e costi di costruzione e poi si accorge che gli indici di densificazione urbanistica non gli consentono più quella volumetria ed è quindi costretto a ricostruire una cosa più piccola. E allora chi glielo fa fare? Allora bisogna modificare le normative relative agli oneri, differenziandole a seconda degli interventi. Addirittura oneri a zero, ma addirittura incentivazione fiscale quando gli interventi corrispondono al beneficio pubblico reale. In moltissime città di questo c’è bisogno come l’aria.

L’altro passaggio necessario è quello di lavorare appunto sulla rottamazione edilizia: nel nostro Paese è stato fatto un grandissimo lancio sulla rottamazione della auto che ha dato qualche risultato. Noi dobbiamo rottamare l’esistente. Su questo c’è un lavoro enorme da fare e non c’è tempo adesso di approfondire ulteriormente, ma è del tutto evidente che è questa la strada da percorrere.

Il governo dei processi di legislazione regionale

Quinto ed ultimo punto: anche questo già citato prima, riguarda il tema del governo dei processi di legislazione regionale in tema di urbanistica e di consumo del suolo; perché siamo in presenza di un puzzle che non è ricomponibile se non all’interno di una ricerca di senso generale; c’è bisogno di una nuova Legge urbanistica che definisca quanto prima un quadro generale all’interno del quale tutte le leggi regionali devono muoversi. C’è bisogno di una Legge sul consumo del suolo. C’è bisogno di ripensare anche le leggi sui cosiddetti Piani casa. Io vi invito a vedere dal punto di vista delle volumetrie, in molte regioni, che cosa hanno comportato questi piani casa? Perché li abbiamo chiamati piani casa ma in realtà sono stati piani capannoni, dei quali non ce n’era bisogno, perché ad esempio nella mia regione nel Veneto, molti centri commerciali rispetto alla strumentazione urbanistica e la pianificazione vigente hanno aumentato la volumetria fino al settanta per cento. Va bene se aiuta le famiglie, i cittadini. Non va bene, invece, se alimenta la speculazione.

Noi pensiamo che questo debba essere un inizio poiché abbiamo voluto dare in questo seminario la possibilità a tutti noi, chi dall’opposizione e chi dal governo, di ascoltarci e definire insieme il nostro futuro.

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