di Gino Fantozzi
Il recente convegno di Livorno sul Piano Draghi per una competitività europea, oltre che a sottolineare la qualità del documento consegnato alla Presidente Von Der Leyen, ha evidenziato aspetti espliciti ed altri come sottintesi o appena accennati che richiamano le politiche di riforma che i Paesi membri dovrebbero affrontare per avviare un complesso piano di sviluppo. Piano costoso ma indispensabile affinché l’Europa si inserisca tra le aree più sviluppate del mondo dal punto di vista tecnologico mantenendo i suoi fondamenti democratici di solidarietà e assistenza sociale in linea con la sua tradizione culturale.
Le indicazioni di forte aumento della produttività degli investimenti, basati sul ricorso al debito comune,( qualcosa di simile al Next Generation EU), e gli investimenti privati trainati dalla spesa pubblica massicciamente sostenuta dal debito, il piano Draghi richiama a mio parere il concorso delle politiche nazionali come pure quelle comunitarie ordinarie che attengono ai fondi strutturali. Queste politiche potrebbero affrontare e sostenere nello specifico le questioni sociali dovute per esempio all’impatto sulla occupazione a seguito dei forti investimenti in tecnologia nell’apparato industriale che comporterebbero la riconversione professionale ed un rafforzamento della cultura professionale orientata alla ricerca e all’uso di nuove tecnologie.
Ma partendo proprio da questo assunto nel convegno sono emersi, a mio avviso due aspetti interessanti con i quali si deve fare i conti: a) il richiamo dei diversi relatori (a partire dalla ottima relazione di Giorgio Tonini) alla situazione politica interna ed esterna alla UE, alle modifiche sostanziali nel quadro geopolitico, che non facilita certamente una scelta così pesante e complessa come quella proposta da Draghi; b) la diversa propensione al rischio da parte degli Stati membri relativamente al recepimento delle risorse per investimenti pubblici condizionate dal pareggio di bilancio e dalle riforme che deriverebbero dal l’accesso al debito comune.
Proposta di Programma forte e indispensabile di fronte ad una Europa politicamente debole e di conseguenza ad una Commissione europea altrettanto debole. Gli stati membri potrebbero defilarsi da responsabilità politiche e dal rischio lasciando così l’Europa in un declino pericoloso di fronte ai sommovimenti geopolitici in atto sia nel Stati Uniti, nell’Est Europeo e in Cina e al prevalere anche di autocrazie fortemente nemiche del modello liberal democratico europeo.
Occorrerebbe “uno scatto improvviso e una carica forte” che la nuova Commissione non sembrerebbe in grado di sostenere per sua debolezza, per avviare un piano così ambizioso. Può solo realizzarsi se la Commissione acquisisse il richiamo forte che Mario Draghi e il fronte riformista fanno al pericolo che l’Europa stessa senza una politica forte e decisa sarebbe destinata al fallimento.
Qua sta l’occasione dei riformisti liberal democratici europei di cogliere, per difendere da una parte la tradizione europea (aspetto “conservatore” liberal democratica) e dall’atra di spingere in Italia per una vera stagione di riforme. Il Piano Draghi porta in sé l’occasione che esso possa divenire per il movimento riformista europeo e nazionale un punto di riferimento per avviare un processo di aggregazione tra le diverse anime, e pertanto un terreno nuovo per un rinnovamento complessivo della sua politica riformatrice.
Per quel che riguarda il nostro Paese occorre che il processo complesso e articolato di riforme sia istituzionali (premierato, autonomia differenziata giustizia e magistratura, ecc.) sia di ammodernamento e razionalizzazione del sistema (burocrazia, Pubblica Amministrazione, Mercato del lavoro ecc.) garantisca un governo in grado di condividere un programma e il rischio finanziario, attraverso il debito comune e il vincolo conseguente del pareggio di bilancio . Come dire che il programma Draghi può fornire una visione concreta di un futuro possibile anche se difficile da costruire. Ed oggi cos’è che manca alla politica, se non una visione forte del futuro?
Vorrei fare ancora per finire due richiami che mi sembrano più nuovi e interessanti che sono stati posti nel corso del dibattito a Livorno:
Il primo: la proposta emersa che il programma Draghi potrebbe essere attuato inizialmente solo da un gruppo di stati come è successo con l’avvio della moneta unica. E in questo caso solo chi garanirà il pareggio di bilancio potrà rientrare nell’attuazione del Piano e nei benefici del prestito europeo trainando nel tempo gli altri stati.
Il secondo riguarda la possibilità, già prevista, per gli stati membri di ricorrere agli accordi bilaterali (sempre più utilizzati dalla crisi del grande processo di globalizzazione che ha ristretto di fatto il campo degli accordi multilaterali), e questi possono divenire un prezioso aiuto sia alla cooperazione nel campo della commercializzazione sia alle politiche industriali, che si riferiscono agli Investimenti diretti esteri. Ovviamente tutto questo in coerenza e in raccordo con il programma comunitario di sviluppo. E questo richiederebbe un più attento coordinamento europeo .Questione delicata che è oggi appena affrontata dalla UE ma che richiede una regolamentazione migliore e più aggiornata che affini i principi di validazione per cui gli stati possano sottoscrivere accordi con paesi extraeuropei e che potrebbero essere uno stimolo fondamentale per il trasferimento di nuove tecnologie. In questo senso entrare nel mercato globale, saltando anche vincoli ideologici, per accedere a Paesi forti di materie prime e di tencologie importanti.