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Reddito di cittadinanza, un colpo mortale al Paese

Natale Forlani giovedì 11 Ottobre 2018
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di Natale Forlani

 

Oggi, di fronte alla gigantesca – e onerosa – presa per i fondelli per gli italiani organizzata dal governo con la legge di stabilità non riesco a starmene zitto.
Mi riferisco in particolare agli interventi che rientrano nel fantomatico “reddito di cittadinanza” che offendono il buon senso comune e il lavoro di tanti che si sono adoperati per recuperare i ritardi italiani nelle politiche del lavoro, e per rispetto della memoria di Coloro che per tale impegno sono stati assassinati.

Mettiamo in fila qualche riflessione nel merito:

1. Proliferazione di interventi e confusione

Nel fantomatico reddito di cittadinanza vengono fatte rientrare molte categorie di interventi (assegno per i disoccupati, sostegni alle persone meno abbienti, pensioni minime) con il proposito dichiarato di contrastare la povertà (azzerarla per legge, secondo la delirante affermazione del vicepresidente del consiglio).

Resta il fatto che l’assegno per i disoccupati e le pensioni minime non hanno alcuna relazione diretta con la povertà che va misurata sulla base del reddito disponibile delle persone e dei nuclei familiari. Infatti tutte le politiche più avanzate a livello europeo vanno nella direzione di accorpare gli interventi di contrasto alla povertà per evitare la dispersione delle risorse. In parte, sia pur con mezzi insufficienti e informazioni non sufficientemente attendibili sui redditi (si pensi alla dimensione dei redditi non dichiarati e del lavoro nero), questa era la strada intrapresa con l’introduzione del reddito di inclusione nella precedente legislatura.

Diversamente, con il pretesto di contrastare la povertà, si ritorna al metodo della proliferazione degli interventi che hanno caratterizzato la nostra storia del dopoguerra: erogazione di pensioni a chi non ha pagato contributi sufficienti, pensioni di invalidità che in molti territori coinvolgono il doppio della popolazione rispetto al centro nord, lavori socialmente utili (si fa per dire) e sostegni al reddito a prescindere dalla assicurazione obbligatoria.Solo per fare qualche esempio. Con la conseguenza di generare gigantesche clientele politiche organizzate e finalizzate a far perdurare nel tempo queste prestazioni.

2. La sconfessione del metodo di calcolo contributivo

l’avvento della pensione di cittadinanza, ad un livello medio equivalente di 30 anni di versamenti contributivi calcolati con il metodo contributivo, oltre che rappresentare un regalo a chi non ha pagato contributi sufficienti, disincentiverà il versamento dei contributi futuri minando cosi le radici della riforma del 1995 che sul metodo di calcolo contributivo ha fondato i principi di equità e sostenibilità del sistema previdenziale;

3. Un disincentivo al lavoro

La parte più drammatica, per non dire ridicola, è quella relativa al reddito di cittadinanza “per cercare un lavoro”. Sarebbe persino banale ricordare che tutti gli studi in materia di utilizzo dei sostegni al reddito, in caso di disoccupazione, evidenziano che sostegni al reddito eccessivi e prolungati nel tempo costituiscono un disincentivo per  la ricerca del lavoro e tendono a combinarsi con le forme di lavoro nero effettuate dai percettori.

Queste conferme vengono anche dagli studi italiani che mettono in rilievo che le persone tendono ad utilizzare a pieno tutta la durata del sussidio e a combinare con prestazioni di lavoro occasionale o sommerso, è solo successivamente ad ad attivare un nuovo rapporto (in molti casi trovato in precedenza).

Per quanto disdicevoli questi sono comportamenti assolutamente razionali perché producono un reddito esentasse di solito superiore rispetto a quello di un rapporto di lavoro regolare. Non a caso le riforme sulla materia operate nei principali paesi europei si sono orientate nel ridurre l’entità e la durata dei sostegni al reddito a vantaggio delle politiche attive. I sostenitori del provvedimento italiano, ribadiscono che non si tratta di un provvedimento assistenziale perché subordinato alla ricerca attiva del lavoro da parte degli interessati, pena la perdita del sussidio nel caso di rifiuto di n. 3 offerte di lavoro “adeguate” (?), e che sarà fatto un investimento sui centri per l impiego per la finalità di favorire la ricerca di lavoro e controllare i comportamenti dei percettori.

La regola relativa alla perdita del sostegno al  reddito nel caso di rifiuto di nuove offerte di lavoro è già vigente da tempo nel nostro ordinamento, a partire dal primo rifiuto e non dal terzo come proposto in modo assai singolare (chi ha già lavorato in precedenza e pagato i contributi per l’assicurazione obbligatoria verrebbe sanzionato di più dei percettori del reddito di cittadinanza).

Ma cosa si intende per lavoro adeguato, per chi non ha mai lavorato?
Tutti i part time sarebbero ovviamente esclusi perché non in grado di garantire l’equivalenza dei 780 euro (sono ovviamente dei pirla i ragazzi che lo fanno per  300-400 euro), non parliamo poi dei contratti a termine…non vorremmo per caso aumentare il precariato. Eventualmente  chiederemo agli interessati di effettuare 8 ore settimanali per (finti) lavori socialmente utili, da prolungare secondo i bisogni, come è avvenuto e sta ancora avvenendo molte regioni del sud.

4. Il potenziamento dei centri per l’impiego

Infine il potenziamento centri per l’impiego, la nuova formula magica per creare nuovi posti di lavoro   soprattutto nelle aree dove è carente la domanda di lavoro delle imprese.
Il potenziale di attività teorizzato per rispondere al attuazione del reddito di cittadinanza (3-4 milioni di persone coinvolte moltiplicato per 3 offerte di lavoro pro capite… fatevi una idea) basta per ridicolizzare qualsiasi proposito.
La proposta sembra più funzionale a giustificare l’introduzione del reddito di cittadinanza che a gestirlo, o al peggio per assicurare una nuova  infornata di assunzioni nel pubblico impiego dagli esiti incerti per la realizzazione di servizi efficienti che richiedono investimenti prolungati e di medio periodo.

 

È la restaurazione delle peggiori politiche assitenziali

Sintesi finale. Siamo di fronte a delle proposte di restaurazione, a livello di massa, delle peggiori politiche assistenziali sui terreni del lavoro e della previdenza.
Queste politiche, se tradotte in pratica, ci allontaneranno definitivamente da quelle praticate nei Paesi europei che hanno raggiunto, anche grazie alle loro buone politiche del lavoro, elevati tassi di occupazione.
Un colpo mortale perché, diversamente dal passato il nostro Paese subisce gli effetti dell’invecchiamento della popolazione, dell’indebitamento pubblico e della pressione della competizione  internazionale.

Questa è una politica per il cambiamento proposta da allocchi (furbi) per allocchi creduloni.

Un mezzo per distruggere il popolo per mezzo del popolo.

 

 

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