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Riforme istituzionali, cultura politica, relazioni internazionali: le sfide dei riformisti

Pasquale Pasquino venerdì 24 Gennaio 2025
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di Pasquale Pasquino

Intervento all’Assemblea Nazionale di Libertà Eguale, Orvieto 18-19 gennaio 2025

 

Su due questioni che sono rilevanti per la nostra discussione vorrei presentare degli spunti di riflessione:
A. Le istituzioni. A proposito di queste bisogna essere propositivi più che semplicemente critici, come fa buona parte della opposizione.
Delle tre proposte che vengono dai partiti di governo, quella che riguarda la giustizia è quella che ha più chances di essere approvata. Ma a suo proposito andrebbero affrontati vari aspetti, innanzitutto la questione della lentezza dei processi. Il tema della separazione delle carriere solleva diversi interrogativi. Se si tratta di lottare contro i passaggi di carriera dalla magistratura requirente a quella giudicante si tratta un po’ di usare i cannoni per uccidere le mosche (cioè i pochissimi magistrati che cambiano percorso nella loro carriera – 5 all’anno negli ultimi anni). Più complessa la proposta della divisione in due del CSM e la selezione dei suoi membri grazie alla poco ragionevole estrazione a sorte dei suoi membri. Non posso soffermarmi su questo tema, ma credo che manchi una analisi seria della funzione dello stato che è quella dei procuratori, diversa da quella del giudice giudicante, e che consiste grosso modo nella difesa della società, cioè dei suoi membri.
Le altre due riforme sono oggi in stand by. Il cosiddetto premierato si è incagliato per ora sulle secche della legge elettorale, ed è sospeso al referendum confermativo che rappresenta un rischio per Meloni. Quanto all’autonomia differenziata lo sviluppo più ragionevole è la riscrittura della legge da parte del Parlamento sulla base delle osservazioni della Corte Cost. (se così deciderà la Consulta dopo la decisione della Cassazione – come è infatti accaduto con la decisione di oggi 20 gennaio). In sostanza in un mondo ideale potrebbe esserci tempo per spingere il governo a sedersi intorno ad un tavolo e cercare una soluzione condivisa, per entrambe le riforme più ambiziose, in particolare per quella proposta dal ministro Casellati. Questa dovrebbe occuparsi innanzitutto della riforma del bicameralismo, alla quale si accorperebbe la questione dell’autonomia, attraverso l’introduzione di un Senato delle regioni. Rafforzamento e razionalizzazione del Parlamento insieme a quella del primo ministro, senza uscire dalla forma parlamentare che implica la possibilità della sfiducia costruttiva, ma anche quella della censura (come nell’ordinamento costituzionale tedesco). Perché se è l’esecutivo che può mandare a casa il Parlamento quando gli aggrada, allora è l’organo controllato dal regime parlamentare che diventa controllore di quello dinanzi al quale è politicamente responsabile. Non c’è bisogno di ricordare che un regime parlamentare è quello in cui l’esecutivo (che ha ormai accresciuto di molto i suoi poteri e in cui il titolare dell’indirizzo politico si è quasi completamente attribuita l’iniziativa della legge), è responsabile politicamente di fronte al parlamento e non viceversa. Osservo che nel Regno Unito il premier può sciogliere i Comuni se c’è un accordo del partito che lo sostiene, in caso contrario è il premier che viene sfiduciato, come accadde fra gli altri a premier molto potenti come Thatcher e Blair.
A mio parere è comunque sbagliata, su questi temi, una posizione di scontro con la maggioranza che cominci con l’enunciazione di “linee rosse” di principi non negoziabili o altre amenità di questo genere. Bisogna, o piuttosto bisognerebbe (per rispetto del principio di realtà, che mi impedisce di vivere di illusioni) dire alla presidente del consiglio che bisogna provare a trovare una soluzione comune in cui tutti fanno delle concessioni perché le riforme costituzionali se non si fanno insieme o finiscono con la lotteria dei referendum art. 138 senza quorum, oppure fragilizzano la costituzione. La riforma a maggioranza (negando la rigidità della gerarchia delle norme) diventa allora la legge di una parte politica e non quella della nazione o patria, come si preferirà dire. Perché è inevitabile che la prossima maggioranza cercherà a sua volta di cambiare la riforma impostale, rendendo la costituzione essa stessa una norma instabile – quando, contradictio in adiecto, si voleva con la riforma più stabilità (del governo).
So che a molti che si collocano nell’opposizione questo tipo di proposte di cooperazione con l’altera pars sembreranno scandalose, ma si dimentica scandalosamente che la costituzione italiana tra il ‘46 e il ‘47 stata discussa, redatta e votata consensualmente dai democristiani e dai socialcomunisti e che il PCI di Togliatti ha lavorato per due anni con il partito cattolico per produrre la legge comune approvata dalla larghissima maggioranza della Costituente. Nell’esercizio del potere costituente derivato, o di revisione costituzionale è a quel modello che bisogna riferirsi e non allo spirito della legislazione ordinaria (come quando si vota per assegnare l’appellazione controllata ai vini di Dogliani).

B. Un secondo punto sul quale desidero attirare l’attenzione sono le sfide intellettuali dinanzi alle quali si trovano oggi i riformisti.
Mi limito ad enunciarle:
1) l’esaurimento della tradizione e della cultura socialdemocratica sulla quale ha acutamente attirato l’attenzione Donald Sassoon in un articolo (apparso sul Corriere della sera dell’8 dicembre scorso) – che non vuol dire affatto la fine dei suoi valori: inclusione e lotta contro la “lotteria naturale” (Rawls), ma esaurimento, che dipende in gran parte dalla vittoria delle sue battaglie: dal suffragio universale al welfare
2) analisi dei risultati elettorali che richiedono studi più approfonditi e analisi comparate delle trasformazioni del comportamento di voto dei ceti sociali – il Cattaneo fa molto, ma bisogna fare di più e non chiudersi gli occhi dinanzi al mutamento radicale del rapporto fra valori e interessi. Importante a questo proposito l’analisi di Nate Cohn (pubblicata sul NYT del 25 dicembre).
3) l’insorgere e l’affermarsi del cleavage europeismo vs. nazionalismo, che non coincide affatto con quello destra vs. sinistra (in Francia, in Germania, in Italia, ecc.)
4) lo stesso sforzo di analisi va fatto a proposito della politica estera e delle relazioni internazionali. Qui accennerò solo a un aspetto che è diventato più visibile in conseguenza del revanchismo della Russia di Putin. Questo fa apparire un fenomeno nuovo che, ancora una volta semplificando molto, può essere definito come l’emergere di un Occidente diviso in tre parti, che non sembrano condividere la necessità di stare uniti in un mondo in cui il lungo primato e l’egemonia dell’Occidente è sotto attacco. Questo sotto l’aggressione russa sembra essersi diviso in tre parti, per ordine di importanza: 1. gli USA che sembrano richiudersi su una forma di paradossale neoisolazionismo aggressivo e neo-imperiale, in certa misura antieuropeo, e vedremo che succede a proposito dei dazi, 2. l’Europa occidentale, quella delle democrazie liberali, dove il governo della società è più difficile e contestato (soprattutto in Francia ma anche in Germania), per ragioni economiche e per la crescita dei partiti estremisti, oltre che per la complessa gestione dell’immigrazione e a proposito della questione di una difesa comune europea, quasi inesistente, 3. una parte dei paesi dell’Europa centro-orientale dove le forze illiberali e tolleranti nei confronti di Putin sono più forti che nell’ovest del vecchio continente, con l’importante eccezione della Polonia e dei paesi baltici: non solo l’Ungheria e la Slovacchia come i Laender dell’Est della Germania, ma forse anche la Romania oltre all’Austria.

Su tutti questi temi (ed altri che per ignoranza ho trascurato, dall’economia all’ecologia) una associazione come Libertà eguale dovrebbe impegnarsi in una riflessione comune grazie alle competenze dei suoi membri. La teoria e l’analisi politica sono spesso indietro rispetto alla dinamica della realtà.

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