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Riformismo e Risorgimento

Alberto Bianchi sabato 31 Maggio 2025
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di Alberto Bianchi

 

Mi scuseranno i compagni, gli amici ed i soci di Libertà Eguale se, per il presente commento, prendo le mosse da un dato autobiografico. Iniziai ad interessarmi di politica nel lontano 1974, a quindici anni, iscrivendomi alla Federazione italiana giovanile comunista (FIGC) del PCI. Ricordo di avere vissuto quell’atto di volontà politica con la percezione che non si trattasse soltanto di un’adesione ad un’organizzazione di partito, ma di un’adesione consapevole alla storia d’Italia, sia pure, ovviamente, ad una particolare interpretazione del passato del nostro paese, pre e post l’unità politica e statuale nazionale conseguita con il Risorgimento. Naturalmente, poi, molti punti di letture storiografiche del passato nazionale che avvertivo più marcatamente ideologiche sono state oggetto di severa rivisitazione critica, man mano che la storiografia affinava i suoi strumenti ed ipotesi di ricerca ed acquisiva nuove conoscenze. La storia è, mentre la storiografia, nella sua essenza, è sempre ricerca e revisione, rimessa in gioco ed approfondimento di acquisizioni precedenti. Diversamente non sarebbe storiografia, ma cronaca.

Sono certo che fu così per molti giovani che aderirono anche agli altri partiti nazionali italiani: dal Psi alla Dc, dal Pri al Psdi al Pli, ecc. E questo per una ragione molto semplice: era forte e diffusa la consapevolezza del valore della storia quale dimensione fondamentale nella formazione culturale e politica dei singoli capi politici e dei gruppi dirigenti di partito che attorno ai leaders si raccoglievano e venivano selezionati, dopo un lungo tirocinio di battaglie politiche nel paese e nelle istituzioni. Questo trasmettevano quei partiti ed i loro capi al corpo degli iscritti ed agli elettori.

Già, il senso della storia. Ed è da qui che parte la mia riflessione sul nostro presente, sulla “Storia al tempo dell’oggi” (copyright Francesco Benigno, edizioni Il Mulino), sul legame tra l’adesso ed il prima di noi che oggi – ahimè – rischiamo di non avere o non curare più, compromettendo così la spinta a proiettarci credibilmente e coraggiosamente verso il futuro. Qualcuno potrebbe pensare che questa sia una tematica distante ed estranea alla realtà odierna economica e sociale, politica e culturale del nostro paese; e lontana ancor più da quella visione riformista – e riformista di matrice socialista, socialdemocratica e socialista liberale – alla quale tanti di noi hanno aderito e sentono ancora viva. Non è affatto così.

Tutt’altro. Il rapporto tra riformismo e storia ha una sua urgente specificità che va affrontata, riproposta e ribadita oggi più che mai, di fronte alla tendenza di correnti come la cancel culture ed il pensiero woke che dimostrano di avere un impatto negativo devastante e straniante nella relazione con la storia e il passato di ogni paese, partito, ordinamento politico, sistema culturale e di pedagogia nazionale. Cancel culture e pensiero woke, difatti, non mirano a curare la memoria collettiva di una nazione e ad approfondire la ricerca sugli eventi storici: puntano soltanto a cancellarli. E per quanto riguarda l’Italia, questo fenomeno da qualche tempo si concentra in una sorta di svalutazione o cancellazione della memoria nazionale sul nostro passato risorgimentale, su suoi caratteri e fattori fondanti.

Eppure, il rapporto tra riformismo e Risorgimento – ed in particolar modo tra socialismo riformista ed epopea risorgimentale – in Italia è stato sempre ed è un tema centrale nella storia politica del paese. Il Risorgimento, con il suo processo di unificazione nazionale, ha rappresentato un momento di grande trasformazione, in cui le idee riformiste hanno giocato un ruolo fondamentale.

Durante il XIX secolo, il riformismo si è manifestato attraverso diverse correnti politiche e sociali che cercarono di modernizzare le istituzioni italiane, promuovendo libertà civili, sviluppo economico e una maggiore partecipazione politica, incarnando una visione riformista e cercando di unificare l’Italia attraverso un processo graduale e diplomatico, piuttosto che rivoluzionario. Dopo l’Unità d’Italia, il riformismo ha continuato a evolversi, affrontando le sfide della costruzione di uno Stato moderno e democratico. Non mancarono, certo, anche limiti ed errori molto gravi da parte delle forze riformiste e progressiste ampiamente intese, che contribuirono alla caduta del regime liberale e all’avvento del fascismo. Così come complesse, travagliate, contrastanti e contrastate, ma pur sempre complessivamente positive, sono state la presenza e l’azione dei riformisti nel secondo dopoguerra, sia appartenenti al campo della sinistra che a quello del centro cattolico-democratico.

Oggi, il legame tra riformismo e Risorgimento è ancora oggetto di riflessione, soprattutto nel contesto delle riforme istituzionali e sociali necessarie all’Italia per affrontare le sfide del presente, sul piano della politica interna e, soprattutto, della politica estera. Ed in primo luogo, di questo legame devono essere forte e consapevole espressione i riformisti del Pd, organizzati in una vera e proprio corrente, a mio parere. Di fonte ai cambiamenti derivanti dal “grande tumulto” che sta scuotendo il mondo e che impongono all’Italia, quella al governo e quella all’opposizione, di rilanciare un suo ruolo in Europa al fianco di Francia, Germania, Polonia e Regno Unito, come non ritornare a considerare che la genesi del Risorgimento italiano fu fenomeno storico niente affatto tutto interno alla nostra penisola, ma un processo mosso ed agente sempre in una cornice culturale e diplomatico-politica europea e continentale?Quella cornice che oggi – per ragioni diverse ma convergenti – Meloni ambiguamente indebolisce e la Schlein non persegue coerentemente.

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