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L’eredità di Ruffilli: il cittadino come arbitro

Stefano Ceccanti lunedì 16 Aprile 2018
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di Stefano Ceccanti

 
In un saggio del 1987 Ruffilli descriveva la situazione italiana come un’anomalia negativa. Da quel testo provengono alcune delle idee poi riprese nella legge del 1993

 
Gli anni Ottanta furono quelli della rimozione di un grande tabù, quello della proporzionale, rimasta intangibile dopo il fallimento della legge a premio di maggioranza del 1953, e dell’idea che il sistema dovesse aiutare il cittadino a scegliere direttamente il Governo perché le intese post-elettorali erano diventate molto più incerte e confuse a livello locale e sul piano nazionale avevano spesso determinato uno scarto incomprensibile “tra consenso, potere e responsabilità”. Prima della caduta del Muro a livello nazionale il Pci era ancora escluso dal Governo, le coalizioni erano in effetti prevedibili prima del voto, ma in quella di pentapartito non si erano affermate convenzioni chiare sulla guida del Governo, come risultò chiaro dal fallimento del “patto della staffetta” tra Dc e Psi per l’alternanza interna alla guida del Governo. Non era quindi chiara la conseguenza del voto dell’elettore sulla guida del Governo. A livello locale, invece, dove i problemi di politica estera non pesavano, era del tutto imprevedibile per l’elettore anche quale sarebbe stata la coalizione vera e propria. Entrambe queste situazioni erano sempre più criticate dall’opinione pubblica.

Non furono ancora anni di riforme approvate, ma tuttavia, a partire dalla Commissione Bozzi, furono anni di preparazione culturale che lasciarono segni tra coloro che si formarono in quegli anni e che consentirono poi le innovazioni, per contraddittorie degli anni ’90.

Brillarono in particolare in quella fucina due personalità provenienti dall’area cattolico democratica, eletti in Senato nel 1983 su proposta di de Mita e che già negli anni precedenti avevano animato la Lega Democratica, ovvero Pietro Scoppola e Roberto Ruffilli. Scoppola si limitò alla sola legislatura 1983-1987, mentre Ruffilli fu ricandidato e rieletto anche nel 1987, ma fu poi ucciso un anno dopo dalle Brigate Rosse. Era stata peraltro la Lega Democratica, che aveva sostenuta la politica morotea della solidarietà nazionale, ad aver realizzato già nel 1979 un convegno su “la terza fase e le istituzioni” in cui aveva sostenuto che i Governi di solidarietà se non fossero stati affiancati da riforme tese a incentivare il bipolarismo avrebbero mancato il proprio obiettivo. La solidarietà nazionale andava vista come momento provvisorio per avvicinare le forze politiche che, successivamente, anche grazie alle nuove regole, avrebbero dovuto alternarsi senza provocare lacerazioni.

I due testi che hanno lasciato più traccia sono quelli pubblicati al Mulino insieme all’Arel di Nino Andreatta. Il primo, del 1987, curato da Ruffilli, “Materiali per la riforma elettorale” che raccoglie testi degli anni ’80 a partire dalla Commissione Bozzi e il secondo, del 1988 “Il cittadino come arbitro”, curato insieme a Piero Alberto Capotosti.

Il primo volume si conclude, dopo l’offerta di una documentazione ricca e plurale, con un saggio di Ruffilli che descrive la situazione italiana come un’anomalia negativa, ribaltando tanta retorica spesso presente nei due partiti allora maggiori, dove si tentava di praticare una confusa “terza via all’italiana al di fuori delle competizioni fra coalizioni alternative e di una stabile consociazione”. L’Italia aveva bisogno di correttivi elettorali per perseguire la prima logica e bisognava realisticamente cominciare a sperimentarli dalla situazione più problematica, quella degli enti locali con l’elezione diretta del sindaco con modalità connesse alla “formazione della maggioranza”. Difficile non vedere qui quanto quelle idee siano state poi riprese con la legge del 1993.

Il secondo volume, dal celebre titolo sul cittadino che avrebbe dovuto essere arbitro della scelta dei Governi, riprende i vari testi di politica delle istituzioni della Dc praticamente per tutti gli anni ‘80 e si occupa anche del rafforzamento della figura del Presidente del Consiglio all’interno del Governo, della riforma del bicameralismo ed anche della creazione di un ministero delle riforme istituzionali per dare maggiore impulso al processo, visto come decisivo per rilegittimare le forze politiche in crisi.

Pagine da rileggere attentamente perché, al di là delle differenze di periodo e delle singole ricette, i principi a cui ispirarsi appaiono ancora pienamente attuali e, in fondo, la transizione sembra compiuta solo per il piano locale, quello che per Ruffilli doveva solo anticipare il percorso. Sul piano nazionale i recenti passi indietro dopo il referendum costituzionale anche in materia di legislazione elettorali non possono e non debbono essere ritenuti irreversibili. Il cittadino come arbitro dei Governi deve restare il messaggio chiave di una forza riformatrice.

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