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Speranza, bisogno universale: la Chiesa e gli equilibri del mondo

Giovanni Cominelli martedì 29 Aprile 2025
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di Giovanni Cominelli

Sabato 26 aprile il funerale planetario di Papa Francesco ci ha immersi in una Piazza-mondo e in una Chiesa-mondo. In una Chiesa capace di convocare masse di popolo e potenti della Terra, cui suggerire discretamente un’agenda.

Come interpretare questo fenomeno? Staremo alla larga dal toto-papa. Ci pensa, forse, lo Spirito Santo, che “ubi vult, spirat”! Ma “spirant” anche i 252 cardinali e, in particolare, i 135 che si blinderanno nella Cappella Sistina.

A loro le scelte. Del resto, qualcuno ha già espresso le proprie aspettative. Il card. Ruini, dall’alto dei suoi 94 anni, ha scritto che si attende dal nuovo Papa che la Chiesa venga restituita ai cattolici. Roberto Formigoni “tifa” esplicitamente per Pizzaballa. Potrebbe essere controproducente…

Né devono alterare la comprensione i rumori dello spettacolo, la selva delle braccia tese nei selfie, gli infiniti e talora insulsi dibattiti televisivi…

Interessa qui comprendere, ancora una volta, la natura e il destino della Chiesa, a partire dalle tracce che essa lascia nel suo cammino nel mondo e dalla sua autocoscienza teologica.

La Chiesa cattolica potenza politica globale

Il primo dato è che la Chiesa è una potenza politica globale. La parola “politica” non deve trarre in inganno né scandalizzare. Essa copre significati diversi, a seconda che ci si collochi, sull’asse del tempo, prima o dopo il Concilio Vaticano, 11 ottobre 1962-8 dicembre 1965.

Fino ad allora, fortemente schematizzando, il Cristianesimo, nella sua versione cattolico-romana, era fortemente legato alla statualità nazionale: o per affermare un’alleanza tra Altare e Trono o per dare forza giuridica alle norme etiche della Chiesa.

Il peccato – supponiamo il divorzio o l’aborto – poteva diventare reato. Dopo il Concilio Vaticano II, il cattolicesimo ha cessato di essere sia “una religione-Stato” sia una “religione degli Stati”, in ciò differenziandosi dall’Islam, dall’Induismo, dal Buddismo (almeno quello in versione birmana) e dalle correnti integraliste dell’Ebraismo.

“Politica” significa per la Chiesa “la costruzione della Città umana”. Nella versione della teologia politica di Sant’Agostino c’erano due Città: “la Città terrena” fondata da Caino e degradata nella violenza e nella corruzione.

Con ciò Agostino descriveva la crisi dell’Impero romano. L’altra era “la Città di Dio”, fondata dagli Angeli e dai Giusti. L’invito sotteso era quello ad abbandonare la Città terrena al suo destino. Il contesto nel quale egli scrive il “De Civitate Dei”, tra il 413 e il 426, è quello del “Sacco di Roma” del 22 agosto 410 ad opera dei Visigoti di Alarico.

Sui contemporanei fece l’effetto psicologico e culturale che su di noi farebbe oggi una guerra nucleare. Ma l’effetto paradossale di quella teologia politica fu che la Chiesa “si mise in proprio” come entità politico-statale, si appoggiò agli Stati e all’Impero per secoli. È ciò che gli storici chiamano l’era costantiniana.

Per la Chiesa post-conciliare, invece, la costruzione della Città umana non accade più attraverso lo Stato nazionale, ma dall’interno della società civile, fondata sull’umanità dell’umano.

Il problema della Chiesa non è la formazione del “cittadino dello Stato-nazione”, ma dell’uomo come tale. Il cittadino seguirà o dovrebbe. L’universalismo e il globalismo ne sono la prima conseguenza.

La Chiesa “rerum humanarum peritissima”

Paolo VI nell’Enciclica “Populorum Progressio” – 26 marzo 1967 – descrisse la Chiesa come “rerum humanarum peritissima”, espertissima in cose che riguardano gli esseri umani. Questa nuova Chiesa è capace di accompagnare il tormentato e sempre reversibile processo storico di umanizzazione dell’homo sapiens.

Così, mentre la globalizzazione ha indebolito gli Stati nazionali e ha ridotto l’ONU ad un assemblaggio di Stati e Imperi in competizione, la Chiesa vi si trova a proprio agio. Perché ha assunto il tema della persona, della specie “homo sapiens” e del suo ambiente fisico come nucleo del suo messaggio di liberazione.

Chiuso il breve equivoco della teologia della liberazione, resta l’essenza del messaggio: l’uomo come libertà che accade e cresce, in primo luogo, nella Città terrena. L’uomo dei Cristiani è un uomo libero.

È persino libero di respingere il Dio che bussa alla sua porta. In ciò consiste la sua dignità, il suo valore, il suo essere fine, non mezzo. Se questa antropologia della libertà nasca dalla teologia del “Dio come Logos” (come suggeriva Ratzinger, in polemica con la teologia islamica del Dio come Volontà pura e arbitrio) o se, invece, come insinuava maliziosamente Feuerbach, sia l’antropologia che sottoproduce la teologia… se questa antropologia della libertà/dignità umana sia la traduzione del messaggio originario del Vangelo o sia il prodotto della ribellione rinascimentale e illuministica contro la Chiesa, in ogni caso questo è il κήρυγμα della la Chiesa sotto ogni latitudine.

Non solo là dove i Cristiani sono perseguitati e bruciati nelle loro chiese. La libertà religiosa è il fondamento di ogni altra libertà per tutti, cristiani o no.

Homo sapiens, homo religiosus

Basta questo umanesimo radicale e planetario a spiegare la potenza politica della Chiesa cattolica? No. L’umanesimo plenario della Chiesa individua nell’”homo religiosus” la dimensione essenziale dell’”homo sapiens”.

La fede è la risposta alla domanda sul senso del vivere e del morire, all’essere ciascuno di noi stretti nella tenaglia della spinta biologica a vivere e del nostro “essere-per-la morte”.

Alla base del senso religioso stanno il biblico “timore e tremore”, la consapevolezza della propria finitudine e la domanda di riparo dal Caos della storia. Ora, la fede cristiana afferma che Dio ha messo i piedi nel fango della Storia nella forma di Cristo e che Cristo è risorto.

Incarnazione e resurrezione: questi i due pilastri. Hanno per il credente un significato esistenziale profondo: che la sua finitudine verrà alla fine redenta, che la storia collettiva e la vita individuale hanno un senso, che c’è speranza, sempre.

Le risposte del Cristianesimo convincono solo una minoranza dell’umanità, non da oggi. Quanti si abbracciano, ormai, a quei due pilastri per resistere ai venti della storia? Si sta affermando una nuova antropologia a-religiosa, prodotto di un formidabile intreccio di fattori economici, sociali, tecnico-scientifici, che approda alle teo-filosofie del post-umanesimo e del trans-umanesimo dell’Homo Deus.

L’unica escatologia che le ispira è “l’escatologia dell’imminente”, di cui ha parlato Papa Benedetto XVI a Regensburg il 12 settembre 2006. Eppure il riverbero di speranza di questa minoranza cristiana su tutti gli uomini resta potente. Perché il bisogno di speranza è, oggi, il bisogno più universale, più spirituale e più politico che c’è.

Pubblicato su www.santalessandro.org il 29 aprile 2025

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