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Umbria, lezioni di democrazia dell’alternanza

Alfonso Pascale lunedì 28 Ottobre 2019
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di Alfonso Pascale

 

L’esito del voto umbro sembra aver sorpreso molti che si aspettavano da questa consultazione locale segnali politici di rilevanza nazionale.

 

Le ragioni dell’alternanza

Ci si dimentica le ragioni per cui gli umbri hanno dovuto affrontare una scadenza elettorale anticipata: uno scandalo politico-giudiziario, legato alla gestione della sanità, che ha evidenziato un sistema di potere non corrotto, ma logoro e autoreferenziale e soprattutto sfacciato, reso arrogante – come ha scritto efficacemente il politologo Alessandro Campi – dal convincimento di non avere alternative.

Quando in un paese, in una regione o in un comune prende forma in modo più o meno espresso, in tutte le pieghe della società, un grande desiderio di cambiamento, le forze politiche che governano da un lungo periodo dovrebbero avere l’umiltà di rendersi disponibili all’alternanza. E’ un modo di servire la democrazia e assicurarle quella manutenzione di cui periodicamente e stabilmente essa ha bisogno. Ed è – per chi ha lungamente governato – anche un modo di prendersi il tempo necessario per rigenerarsi.

Questo vale soprattutto per le regioni dove la sinistra governa da cinquant’anni.

 

Basta con il civismo di facciata

E questo atto di umiltà si deve compiere senza ricorrere ai sotterfugi, inventandosi un civismo di facciata e mimetizzandosi dietro ad esso. Bisognerebbe, invece, dare effettivo spazio all’autonomo sviluppo di una società civile che non coltivi la presunzione di sostituire la funzione dei partiti con quella propria.

Una società civile che deve, invece, mobilitarsi per preparare sentieri non ancora tracciati, gridare nel silenzio dell’indifferenza, predisporre con l’esempio e la riflessione critica le condizioni per un cambiamento di mentalità e di comportamenti.

E’ quanto sta facendo, per fare un esempio concreto, la rete di associazioni e comitati che si è mobilitata sabato scorso a Roma per porre in evidenza la mala amministrazione della città.

Certo, il rischio è che vinca la destra a trazione salviniana. Dispiace, ma non importa se tale esito serve a dare il tempo a un’area politica stanca e decadente di rigenerarsi, a far nascere nuove forme della politica in un dialogo costante con la società civile che autonomamente si mobilita e tiene viva la partecipazione democratica.

 

Come si sconfigge la destra sovranista

La destra sovranista si può sconfiggere non già demonizzandola, come si faceva con quella berlusconiana, ma giudicandone con rigore gli atti concreti di governo e predisponendo soluzioni di ampio respiro alle nuove e complesse domande sociali. Il tutto in una progettualità che affronti i nodi storico-strutturali-istituzionali dell’Unione Europea e del Paese.

Un centrosinistra che non affronta temi rilevanti come il calo demografico, le migrazioni (immigrazioni ed emigrazioni), l’innovazione tecnologica per fronteggiare il cambiamento climatico, lo sviluppo sostenibile e la riqualificazione delle metropoli e delle zone interne, la riduzione del debito pubblico, le riforme istituzionali a tutti i livelli, non sarà mai in grado di indicare soluzioni credibili dei problemi posti dai cittadini e dalle imprese.

 

Il populismo del M5s è antitetico al riformismo

Ma questo lavoro di elaborazione programmatica non è mai concretamente incominciato.

Non potrà avviarsi se i riformisti pensano di costruire alleanze stabili coi grillini perché il populismo è antitetico al riformismo. Con il M5S bisognerà governare quanto basta per superare alcuni scogli complicati: tenere sotto controllo i conti pubblici, tenere bassa la tassazione, non cedere la presidenza della Repubblica alla destra di Salvini.

Ma già da ora occorre prepararsi per le prossime scadenze elettorali, avviando una elaborazione programmatica e formando una leva di giovani da candidare alle elezioni.

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