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Verso la pace o verso la guerra? Incertezza e rischio nelle elezioni americane

Giovanni Cominelli martedì 5 Novembre 2024
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di Giovanni Cominelli

Scrivendo a cavallo delle elezioni più importanti per l’America, per l’Europa e per il mondo, senza sapere a quale stazione di posta si fermerà il cavallo, non si può evitare un senso di vertigine.

D’improvviso, le linee di faglia della storia del mondo si intrecciano sotto i piedi di ciascun individuo. E tanto peggio per lui se le vede.

Qui si manifesta tutta la sproporzione tra la Storia del mondo e le biografie di ciascuno. Queste ultime coltivano la coscienza o l’illusione di muoversi secondo fini chiari e mezzi razionali, con idee chiare e distinte.

Ma la Storia del mondo è meno cartesiana: gli eventi della Storia accadono, gettati dal Caso come un paio di dadi.

Ad un elettorato diviso in due come una mela e preoccupato di tutto fuorché del destino del “mondo là fuori”, il Caso – cioè poche migliaia di voti – sta affidando il futuro del mondo, verso un nuovo Ordine o verso il Disordine, verso la pace o verso la guerra?

Tutto il nostro finalismo provvidenzialistico, conscio e inconscio, si ribella al cinico saltellare dei dadi sul tappeto verde.

Così tutti noi respiriamo un’aria collettiva di incertezza e rischio. Tuttavia “incertezza” e “rischio” sono l’orizzonte di esercizio della libertà e della scelta e perciò sono categorie della morale.

Tengono aperto lo spazio della responsabilità individuale, mentre si cammina su territori di faglia. Ed è da questa sostanza morale – da questo ὑποκείμενον – che occorre incessantemente ripartire per l’analisi e il giudizio sulla storia presente.

E per decidere da che parte stare e quale atteggiamento intellettuale e morale adottare. Qui se ne descrive tre.

Apocalittici e sovversivi verso un nuovo ordine globale

Di fronte al tramonto di un ordine globale, l’atteggiamento più istintivo è quello “apocalittico”.

Si tratta di una tendenza socio-culturale profonda, che, per un verso, riflette la fine di un ordine mondiale e, per l’altro, la accelera, quasi profezia che si autoavvera.

Essa è la faccia in ombra di un’ideologia e di una cultura che dall’Umanesimo e Rinascimento in avanti ha guidato il processo di costruzione della coscienza dell’Occidente: l’ideologia del progresso.

In realtà il provvidenzialismo cristiano non prevede il “progresso”, “il miglioramento” della condizione umana, l’evoluzione irreversibile dalla condizione animale dell’homo sapiens a quella angelica.

È solo una possibilità che, secondo Pico della Mirandola, Dio ha inscritto nella specie umana. È stata la laicizzazione dell’Illuminismo a trasformare lo sguardo provvidenziale di Dio sul mondo in un’assicurazione sull’indefettibile progresso della Storia, in cammino verso “la pace perpetua”.

La delusione per i ripetuti fallimenti dell’escatologia laica del progresso – perché Dio si è permesso di permettere Auschwitz? – ha generato un senso della fine: il mondo futuro sarà peggiore di quello di oggi e di quello di ieri.

Il ritiro dal mondo: conta il benessere individuale

“Un cumulo di macerie che si innalza fino al cielo”, aveva già scritto W. Benjamin proprio negli anni ’30, nella Tesi IX di Filosofia della storia. Siamo travolti da un Diluvio universale, non si vede nessuna Arca.
Dalla delusione apocalittica derivano conseguenze di segno opposto.

La prima: il ritiro sociale, culturale, personale, psicologico dal mondo. Conta il benessere individuale. Non c’è peccato, non c’è salvezza, non c’è redenzione. Non c’è il prossimo. Non ci sono nascite. È una deriva narcisistica. O, eventualmente l’abbandono buddistico alla “danza dell’Essere”.

La seconda: il sovversivismo. È necessario dare il colpo finale all’ordine attuale del mondo e costruirne un altro. Il sistema è rotto, l’ordinaria manutenzione liberal-democratica non basta più.

È il progetto di un gruppo di intellettuali americani, che ruotano attorno a Trump, e di gruppi wokisti e/o political-correttisti. Il millenarismo sovversivo è l’atmosfera delle epoche di transizione.

È tanto di destra quanto di sinistra, sicché si può definire più comprensivamente “populista”. Ecco perché, come risulta da qualche sondaggio, la metà dell’elettorato leghista e una quota notevole di quello del M5S voterebbe Trump.

I realisti e pacifisti di fronte alle incertezze della storia

Sono fortunati. Non soffrono di patemi morali e non si lasciano intimidire dalle incertezze della storia.

Avendo deciso con N. Machiavelli che sia “più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa” e che, dunque, non bisogna perdere tempo a inseguire fantasie di “repubbliche e principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero”, i realisti invitano ad adeguare aspettative, desideri e politiche ai reali rapporti di forza che reggono il mondo.

La Storia è stata fatta da imperi che si levano e poi tramontano. Occorre prenderne atto. Nessun buonismo, perché, sempre per dar retta al grande fiorentino, “uno uomo, che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene ruini infra tanti che non sono buoni”.

Nonostante le apparenze, è una scuola profondamente “pacifista” e, sempre nonostante le apparenze, è il nucleo nascosto del pacifismo di destra e di sinistra di questi nostri anni: se uno è più forte e più cattivo di te, non ha senso fare resistenza.

Se abbandoni questa pretesa, la pace universale è assicurata. La Storia è affare dei forti. E se invece di essere uno solo, sono di più, sono loro che trattano tra loro. E i piccoli? Il loro destino è di sottomettersi.
È una legge di natura e perciò anche della storia. Basta con il bipolarismo di Yalta, basta con il monopolarismo del “dopo ‘89”, serve il bilateralismo transazionale, da Paese a Paese, come tra commercianti. Il mondo resta fattualmente multipolare, ma il rapporto tra i poli di potenza è necessariamente bilaterale. È il modello-Pace di Westfalia 1648. È il modello Trump? Parrebbe.

I liberali: l’individuo come soggetto di scelte morali

Con questo aggettivo sostantivato si intende qui quella cultura che pone al centro la libertà dell’individuo-persona, quale soggetto di scelte morali, di responsabilità, di diritti e di doveri.

A partire da questo nucleo, ispirato principalmente dal Cristianesimo, costruito e raffinato lungo i secoli, i liberali hanno costruito le istituzioni civili e politiche che lo preservassero: il mercato e la democrazia. Questo binomio si sta scindendo. La ragione è che i liberali sono diventati più deboli.

Perché, paradossalmente e incoerentemente con il loro messaggio, hanno dimenticato l’individuo-persona.

Come in molti hanno fatto notare in questi anni, si sono illusi che l’economia di mercato avrebbe automaticamente fatto crescere le libertà umane, le possibilità e capacità di scelta, le opportunità di sviluppo.

I liberali hanno lasciato rinsecchire le proprie radici, mentre le potenti forze dell’economia e della finanza costruivano una diversa tavola di valori.

L’homo oeconomicus divora le altre dimensioni

Che cos’è l’individuo-persona: le passioni, le ambizioni, la lotta, i vizi capitali e le virtù teologali, le inquietudini, la finitudine, le tradizioni, il bisogno religioso.

L’antropologia liberale è diventata piatta per porsi al livello dell’homo oeconomicus, ma ha perso tutte le altre dimensioni.

Sì, l’homo oeconomicus assomiglia molto all’”ultimo uomo” di F. Fukuyama: un’astrazione, inseguendo la quale i Democratici americani hanno perso il contatto con una gran parte della società americana.

Esattamente quanto è accaduto a parte della sinistra europea e a quasi tutta quella italiana, a direzione Schlein. Sarà difficile resistere alle potenze che aggrediscono dall’esterno e corrodono dall’interno i sistemi democratici senza ricollocarsi sul terreno di una visione integrale dell’individuo-persona.

 

Pubblicato il 5 novembre 2024 su www.santalessandro.org

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