di Stefano Ceccanti
Libertà Eguale è un’associazione che ha compiuto da poco 25 anni. Ha sempre ritenuto il centrosinistra come il proprio campo, sulla base della condivisione di una cultura politica liberale e riformista.
Non è una corrente del Pd. Vi sono persone che hanno diverse appartenenze politiche o partitiche o anche solo un impegno culturale e sociale senza appartenenze. La cultura liberale e riformista porta con sé alcune sottolineature. La prima è l’enfasi sulla collaborazione tra le democrazie, sul multilateralismo democratico che ha portato alla nascita e allo sviluppo dell’Onu, delle istituzioni europee e dell’Allenza Atlantica. Bastino i nomi di De Gasperi e Spinelli e la loro eredità incompiuta sulla Comunità Europea di Difesa, che sarebbe stato il pilastro europeo dell’Alleanza. Realtà per cui essi si batterono conto le arretratezze culturali presenti in modi diversi nel mondo cattolico e nelle sinistre italiane. Il fatto che Paesi neutralisti come Svezia e Finlandia siano ora approdati a queste scelte dovrebbe indurre a batterci per difesa europea e a rimuovere i residui di pacifismi astratto, seguendo le chiare direttrici espresse, di fronte ai nuovi pericoli., dagli ultimi due Capi di Stato, Napolitano e Mattarella.
L’associazione ha tradizionalmente prestato all’aggiornamento della Seconda Parte della Costituzione, in fedeltà ai Principi, una grande attenzione e così farà anche stavolta a partire dalla presentazione del libro di Matteoli sulla Presidenza Napolitano L’ex-Presidente frequentatore degli incontri di Orvieto, era fautore deciso sia di riforme condivise (accettò la rielezione sulla base di un impegno in questo senso delle principali forze politiche) sia, nel merito, di sistemi elettorali maggioritari e di riforme costituzionali che disincentivassero le crisi sul modello tedesco. Un modello di Premierato non a elezione diretta ma a legittimazione diretta le cui basi sono state più volte esposte da Augusto Barbera, uno dei fondatori di Libertà Eguale. Purtroppo, sin qui, questa legislatura sembra aver abbandonato la prospettiva di riforme condivise con ulteriori effetti negativi: quando si arriva alla necessità di eleggere insieme i giudici costituzionali l’abitudine ad assorbire tutto nello scontro maggioranza-opposizione si perpetua e mette a rischio i lavori della Corte. Nel merito sul cosiddetto Premierato: è ragionevole, come si propone la maggioranza, bloccare tutto per far riemergere un progetto con gravissimi difetti solo a fine legislatura in modo da spostare il referendum dopo le elezioni politiche perché non si vogliono trovare altri punti di equilibrio? E, nel contempo, è ragionevole la spinta a sottrarsi dei gruppi di opposizione, come se si ignorasse da quali presupposti era sorto l’Ulivo con la sua Tesi 1 sul premierato e poi col progetto Salvi nella Bicamerale D’Alema? Come se, secondo la lettura di Napolitano, i Costituenti, nello scrivere allora la parte sul Governo, non avessero dovuto cedere a una deriva parlamentarista a causa della sfiducia reciproca della Guerra Fredda? Qualcuno, di fronte all’emergere dei populismi, propende in maniera difensiva per lo status quo e per una regressione proporzionalista: ne nascerebbero però Governi più eterogenei e deboli dell’attuale, fondati solo in negativo, che accelererebbero il loro successo, non lo bloccherebbero affatto. Su questi temi abbiamo lavorato a fondo con Io Cambio, Magna Carta e Riformismo e Libertà. Altra questione: l’autonomia differenziata è stata nei mesi scorsi materia dura di conflitto, ma la Corte costituzionale ha rimesso il tema in asse con la logica di un regionalismo cooperativo, richiedendo di scrivere in modo serio e puntuale la delega sui Livelli Essenziali delle Prestazioni e di adottare una procedura più rispettosa verso il Parlamento. Se nei prossimi giorni, con tutta probabilità, la Corte dichiarerà il referendum inammissibile, cosa si vuole fare? Continuare nell’incomunicabilità reciproca oppure, più saggiamente, provare a riscrivere insieme il testo secondo le indicazioni della Corte e magari rilanciare anche l’impegno per il completamento del Titolo Quinto, che richiede un Senato regionale? Infine la separazione delle carriere: il nuovo processo voluto da Giuliano Vassalli e poi la riforma condivisa dell’articolo 111 della Costituzione varata nel 1999 richiedono questo cambiamento liberale, come l’Associazione aveva sostenuto con un documento promosso da Claudio Petruccioli nel febbraio 2024 a favore del Sì nel referendum abrogativo. La maggioranza ha abbinato questa scelta con sistemi elettorali sbagliati per i Csm, col sorteggio che ne ridurrebbe la capacità rappresentativa. Anche qui: i gruppi di opposizione vogliono chiudersi a riccio oppure, più saggiamente, vogliono separare il principio giusto dalla scelta sbagliata? Non fare riforme condivise significa farle fare agli altri. Anche stavolta Orvieto pone quesiti ineludibili.
Vicepresidente di Libertà Eguale e Professore di diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza di Roma. È stato Senatore (dal 2008 al 2013) e poi Deputato (dal 2018 al 2022) del Partito Democratico. Già presidente nazionale della Fuci, si è occupato di forme di governo e libertà religiosa. Tra i suoi ultimi libri: “La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima” (2016). È il curatore del volume di John Courtney Murray, “Noi crediamo in queste verità. Riflessioni sul ‘principio americano'” , Morcelliana 2021.