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Amanda Gorman, l’audacia della speranza che si rinnova

Amanda Gorman '20, the first Youth Poet Laureate of the United States, is pictured in Harvard Yard at Harvard University. Stephanie Mitchell/Harvard Staff Photographer

di Alberto Colombelli

In un giorno da libri di storia, Amanda Gorman ha consegnato una poesia che ha più che incontrato il momento. I giovani come lei sono la prova che ‘c’è sempre luce, se solo siamo abbastanza coraggiosi da vederla; se solo siamo abbastanza coraggiosi da esserlo’.” (Barack Obama, 20 gennaio 2021)

Amanda Gorman, è l’audacia della speranza che si rinnova. Nata a Los Angeles, in California, nel 1998, e cresciuta dalla madre single, l’insegnante di inglese Joan Wicks insieme ai suoi due fratelli e sorelle, ha una sorella gemella di nome Gabrielle, a sua volta attivista. Da bambina le è stato diagnosticato un disturbo dell’elaborazione uditiva (sindrome di King-Kopetzky), ed è ipersensibile al suono. Ha anche problemi di articolazione del discorso che le rendono difficile pronunciare determinate parole e suoni, come la lettera “r”.

Ha lottato nella vita, ma soprattutto ha creduto. Nei suoi talenti, in una società migliore, nella sua capacità di potervi contribuire. A 16 anni è diventata delegata giovanile alle Nazioni Unite e nel 2017 è stata la prima vincitrice del titolo di National Youth Poet Laureate, che premia il migliore giovane talento nel campo della poesia degli Stati Uniti. La poesia di Amanda Gorman tratta in particolare i temi dell’oppressione, il femminismo, il razzismo, l’emarginazione e la diaspora africana.

Con coraggio li affronta, partendo dalle discriminazioni che ha visto e subito, pensando che si può lottare contro quella che da tempo rivendico essere la più grave tra tutte le diseguaglianze, quella di destino, che in base alla tua nascita determina le tue opportunità e il tuo futuro. Ne è consapevole al punto che in giovanissima età ha fondato un’organizzazione no profit chiamata One Pen One Page per fornire programmi di scrittura creativa e la possibilità di pubblicare i propri lavori a giovani svantaggiati.

Come tutti abbiamo visto il 20 gennaio scorso è stata scelta per leggere una sua poesia, intitolata The Hill We Climb, in occasione della cerimonia di insediamento del nuovo Presidente americano Joe Biden. È diventata così la più giovane poetessa a recitare una sua poesia ad una cerimonia di insediamento. In passato Maya Angelou aveva declamato i propri versi in occasione dell’insediamento di Bill Clinton, mentre Robert Frost aveva partecipato alla cerimonia di investitura di John Fitzgerald Kennedy.

Eppure, l’alba è nostra, prima ancora che possiamo accorgercene. In qualche modo, ce l’abbiamo fatta. In qualche modo, abbiamo resistito e siamo stati testimoni di come questa Nazione non sia spezzata, ma, semplicemente, incompiuta. Noi, gli eredi di un Paese e di un’epoca in cui una magra ragazza afroamericana, discendente dagli schiavi e cresciuta da una madre single, può sognare di diventare Presidente, per sorprendersi poi a recitare all’insediamento di un altro”. (Amanda Gorman, Washington, D.C., 20 gennaio 2021)

Insieme a quanto storicamente ha significato l’insediamento della Vice Presidente Kamala Harris, per chi ha fiducia nel futuro e alimenta la propria esistenza con la speranza e non con le proprie paure, la presenza su quel palco di Amanda Gorman ha rappresentato una luce preziosa. Quella di cui come non mai oggi abbiamo assolutamente bisogno, in una stagione che a diverse latitudini, nostra compresa, appare buia indipendentemente dall’emergenza sanitaria in sé.

Perché oltre al dramma assoluto che la pandemia di per sé già rappresenta, sempre più in queste ore vedo con preoccupazione in particolare come anche attorno a noi c’è chi decisamente la cavalca per perseguire propri obiettivi da tempo coltivati alimentando nell’emergenza una cultura di cinica delegittimazione dell’avversario, fondata su quell’astio represso che – indipendentemente da tutto – non può far parte delle buone pratiche della politica e che certamente mai conduce a buoni risultati nell’interesse generale.

È quella cultura che vede i propri protagonisti regolarmente troppo impegnati a guardarsi ostinatamente attorno piuttosto che a guardare avanti. È quella cultura della soluzione unica che non vede possibilità di mediazione verso alternative diverse rispetto alla sola che risponde a propri pur legittimi specifici interessi. È quella cultura che trova il proprio principale alibi nel dire continuamente che considerando ipotesi diverse la gente – il popolo – non capirebbe, quando spesso è già stato costretto a capire ben altro, considerate magari le origini con cui certi attuali compagni di viaggio hanno costruito il proprio consenso attraverso la sistematica negazione di tutti i valori su cui il nostro Paese è stato fondato.

Tutto peraltro come sempre rappresentato in modo troppo drammatico e grave, come se i tempi già non lo fossero, privo del respiro e coraggio necessario per confrontarsi con rispetto con gli altri, sprovvisto della visione richiesta per costruire un futuro che vada oltre la stretta contingenza o al massimo la prossima scadenza elettorale. È quella cultura che dovrebbe costruire ponti e invece ci pone di fronte nuovi muri. È quella cultura che ci soffoca e che, pur presenti anche gli altri evidenti e noti rischi del momento, non possiamo permettere che con facilità e senza resistenza prevalga.

Non perdete la speranza se qualche volta incontrate un ostacolo. Non perdete la speranza di fronte a chi vi dice sempre no. E soprattutto non diventate cinici. Non buttate il vostro tempo aspettando”. (Barack Obama)

In questo clima poche le occasioni finora offerteci per riaccendere la nostra speranza, capaci di rigenerare quell’ispirazione necessaria per ricostruire, insieme, una visione all’altezza della missione collettiva che il nostro tempo ci richiede. La presenza di Amanda Gorman quel giorno su quel palco, il messaggio che ha saputo tramettere a ciascuno di noi e soprattutto a quelle giovani generazioni che quanto mai oggi hanno bisogno di trovare positivi riferimenti, è la luce che ci serviva e che aspettavamo.

E così alziamo il nostro sguardo non per cercare quel che ci divide, ma per catturare quel che abbiamo davanti. Colmiamo il divario, perché sappiamo che, per poter mettere il nostro futuro al primo posto, dobbiamo prima mettere da parte le nostre differenze. Abbandoniamo le braccia ai fianchi così da poterci sfiorare l’uno con l’altro. Non cerchiamo di ferire il prossimo, ma cerchiamo un’armonia che sia per tutti. Lasciamo che il mondo, se non altri, ci dica che è vero”.
(Amanda Gorman, Washington, D.C., 20 gennaio 2021)

Così lasciamo che questa nuova preziosa luce ci illumini e consideriamola il nostro rinnovato punto di partenza verso più positivi e costruttivi orizzonti. Il cambiamento come sempre parte e dipende da ciascuno di noi.

Anche quando abbiamo sofferto siamo cresciuti, anche quando ci siamo feriti abbiamo sperato e quando ci siamo stancati ci abbiamo provato. Non ci faremo spingere indietro o piegare dalle intimidazioni perché sappiamo che la nostra inazione e la nostra inerzia diventeranno il futuro”. (Amanda Gorman, Washington, D.C., 20 gennaio 2021)

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