LibertàEguale

L’eredità di Angelo Vassallo e il rilancio del Cilento

di Amedeo Lepore

 

Questa estate, a differenza degli anni scorsi, si è discusso del Cilento non come perla della villeggiatura campana e meridionale, ma per il calo delle presenze turistiche e per i problemi che si presentano nella sua economia.

Si possono affrontare questi temi con due approcci completamente diversi.

O disputando, come pure è stato fatto da punti di vista contrapposti, della purezza delle acque e della adeguatezza delle strutture e dei servizi di ospitalità, in un’ottica di breve respiro, oppure guardando ai fenomeni di fondo che hanno modificato quello che fino a qualche anno fa era diventato un vero e proprio modello di sviluppo, perché in grado di unificare l’intervento “dall’alto” – e l’impiego corretto di risorse nazionali ed europee – con un progetto costruito oculatamente “dal basso” e una buona amministrazione.

Nel secondo caso, inevitabilmente, il pensiero va alla stagione innovativa di Angelo Vassallo, che, senza alcuna retorica, ha rappresentato una vera e propria svolta per le aree meridionali “dell’osso” ed è stata la base di un nuovo paradigma affermatosi in una terra aspra e difficile.

Il “sindaco pescatore”, come ricorda Gigi Di Fiore, era riuscito a combinare una visione del tutto inedita, impiegando perfino le moderne leve del marketing territoriale, con un rigore nella promozione del mare e del paesaggio improntato a una logica di rigenerazione delle risorse ambientali e di riqualificazione delle aree antropizzate, a cominciare dai nuclei urbani e dai ruderi all’interno del parco naturale.

La concezione di Vassallo era frutto, al tempo stesso, di un legame profondo con le radici del Cilento, che mai avrebbe troncato, e di una attitudine a cogliere le novità che emergevano da un contesto molto più ampio di quello locale, riuscendo ad applicarle creativamente al suo territorio. Volendo generalizzare questo esempio, si può sostenere che il suo insegnamento ha riguardato non solo una straordinaria esperienza personale di buon governo, ma la capacità di un’intera comunità di mettersi in cammino e sperimentare, molto prima di altri centri considerati nevralgici, una forma di bioeconomia circolare, che sarebbe diventata un pilastro della strategia europea (e globale) scaturita dalla transizione ecologica dopo la pandemia.

Questa idea proponeva un terreno fecondo di elaborazione e di iniziativa alla politica, ma forse era troppo avanzata per poter essere compresa quando non era ancora maturata una tale sensibilità. E forse troppo umile, pragmatico, scontroso e caparbio era il carattere di Angelo per imporsi ai sofismi e agli equilibri regressivi dei partiti, che già stavano smarrendo la loro funzione di strumento attivo di partecipazione, per rifluire, spesso, in un ruolo di mera gestione del potere. In questa fase, è apparso evidente il segno di una inversione di tendenza dell’economia cilentana, che non va sottovalutata.

Non sono solo i dati del mancato pienone di ferragosto a preoccupare. Secondo un dossier del Formez, il territorio del Cilento inserito nella Strategia nazionale delle aree interne ha subito una riduzione della popolazione del 9,6% e una diminuzione della superficie agricola utilizzata del 9,3% in un decennio. Nonostante gli interventi pubblici previsti, anche altri settori, come quello della villeggiatura, sono stati colpiti dalla congiuntura economica negativa. Il giovane intelligente ed empatico del bar di fronte al mare di una delle frazioni costiere di Pollica dice che il calo del fatturato è stato del 50% rispetto all’anno passato e che i cornetti che serve ogni mattina a colazione sono passati da 140 a 70. Percezioni dirette di una crisi.

Ma non si tratta solo del costo della vita, è lo schema di un turismo di massa sempre più caro e assai poco selettivo che, sostituendosi alla cura estrema della qualità dell’accoglienza, non ha funzionato. Sia ben chiaro, il Cilento con i suoi abitanti resta una realtà incantevole e per larga parte intatta, che vale la pena ancora di scoprire e valorizzare, ma non può diventare la Capalbio del Sud, né il Salento della Campania: è un’altra cosa.

Ho scelto di ricordare così Angelo Vassallo, perché l’amore per i suoi luoghi di origine, la sua terra, e la concretezza quotidiana erano i suoi tratti caratterizzanti. La sensazione e la speranza che si possa chiudere finalmente una pagina oscura, in cui è emersa la parte peggiore di una storia, sono vive. La figura di Angelo riscuote, a distanza di tredici anni dalla sua vile uccisione, tanta adesione e senso di riconoscenza in tutta Italia non solo perché era un politico atipico, un amministratore integro e competente, un visionario alla ricerca di futuro. Ma anche perché non è stato domo neppure dopo la morte, continuando a parlarci del Cilento e di una ricchezza che può riprendere a liberare da un’antica povertà questi territori, senza stravolgerli.

Per questa ragione, gli va restituita almeno la verità che merita, concludendo una fase troppo lunga, priva di risposte a un crimine che ha interrotto una vita, ma pure un tragitto collettivo. L’anniversario del suo omicidio cade in un momento di grave preoccupazione per le vicende civili e morali di Napoli come di tanti altri centri del nostro Sud e dell’intero Paese, preda di una temperie di violenza dissennata e tragica, che vede quali crudeli autori e innocenti vittime i giovani, da una parte e dall’altra della “barricata”.

Anche per Angelo Vassallo e il Cilento vale quanto ha scritto a questo proposito il direttore de Il Mattino, Francesco de Core: le lacrime e lo sdegno non bastano più, ora occorre fare tutto quello che è necessario e farlo presto, innanzitutto ristabilendo certezza del diritto e compiendo giustizia.

 

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