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L’11 settembre 2001 e l’illusione della fine della politica

Danilo Di Matteo lunedì 11 Settembre 2023
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di Danilo Di Matteo

 

Inter pacem et bellum nihil est medium (tra la pace e la guerra non vi è altro; come dire: o la pace o la guerra, nessuna situazione intermedia è possibile), così scriveva Cicerone nell’VIII filippica. Il Novecento, invece, oltre che da due conflitti caldi globali, è caratterizzato da lunghi periodi di “non pace” e di “non guerra”. Una sorta di terra di nessuno su scala regionale o mondiale; tante “guerre fredde”, nelle quali si sfiorava l’esplosione del conflitto aperto, oltre alla guerra fredda e all’equilibrio del terrore per antonomasia, dalla fine degli anni Quaranta al 1989, sempre sull’orlo della catastrofe.

Quel genio di Carl Schmitt lo notava già nel 1938, in riferimento alle rappresaglie del 1931-1932 in Manciuria fra Cina e Giappone, rispetto alle quali gli osservatori internazionali e i giuristi si dividevano: per alcuni non era più pace, per altri non era ancora guerra. E nessuno concepiva la terza eventualità, quel medium tra le due condizioni.

E allo stesso autore non sfuggiva come in una situazione dominata dalla pace (apparente) e dalla presenza della “Società delle nazioni”, chi si poneva al di fuori di quell’ordine era visto come il male estremo. Così dopo la seconda guerra mondiale. Nei lunghi secoli precedenti, l’idea di nemico si era relativizzata. Le guerre iniziavano, chi le dichiarava poteva avere i suoi motivi, anche rispettabili, e poi si concludevano. Erano conflitti interstatali, ad esempio per questioni di confini. Dagli anni Trenta non è più così. Chi dichiara guerra, chi compie il primo passo – rileva Schmitt – è per ciò stesso colpevole; è per ciò stesso il male. Vi è un’assolutizzazione dell’idea di nemico. Il nemico non più come l’avversario di una contesa interstatale temporanea, pur con spargimento di sangue, bensì come nemico mortale dell’intera umanità. Non che in precedenza mancassero giustificazioni morali o religiose per i conflitti armati, tutt’altro: l’Europa moderna, per tanti versi, nasce proprio dalle lunghe guerre di religione. Nel Novecento, tuttavia, per dirla con il linguaggio attuale, lo scontro diventa tra alcuni “Stati canaglia” e il resto dell’umanità. Come dire: il torto e la ragione, il male e il bene, schiavitù e libertà. Il mondo libero, non a caso, si definiva.

Caduto il Muro, nell’ ’89, vi era chi credeva di scorgere la fine della storia. Dov’è il nemico? Scomparso. La fine, in realtà, della politica, concepita da Schmitt proprio in base allo schema amico-nemico. Liquidato il nemico, viene meno la politica, alcuni sostenevano.

Ecco, la tragedia delle Torri gemelle di New York dell’11 settembre 2001 rappresenta una plumbea smentita di tale previsione. La politica non è morta. In seguito, poi, con l’Isis, il terrore globale si farà addirittura, a sua volta, Stato. Per non dire dell’invasione dell’Ucraina e, è ancora cronaca, del gruppo dei Paesi del Brics o dei colpi di Stato in Niger e in Gabon. Leggere tutto ciò con le sole lenti degli “Stati canaglia” sarebbe riduttivo. Certo, la complessità non può farci smarrire l’esigenza di discernere. Ma, come comprese con acume Gianni De Michelis, dopo l’11 settembre la politica, ammesso che sia per un attimo scomparsa, è tornata.

   

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