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Conte promette assistenzialismo, ma per il Sud è una trappola

di Vittorio Ferla

 

Da alcuni giorni non è più possibile diffondere i sondaggi elettorali, ma le ultime rilevazioni disponibili ci hanno lasciato con una novità inaspettata fino a poco tempo fa: la ripresa del M5s che, in alcune aree del Sud, sembra destinato a diventare – o a ritornare ad essere – il primo partito. Dopo aver provocato al caduta del governo Draghi, il M5s era accreditato di un risicato 10%, con una riduzione di due terzi di elettori rispetto alle legislative del 2018. La prospettiva sembrava quella della caduta libera. Questa era stata anche la valutazione di Enrico Letta che ha sganciato il Pd da quel campo largo con i grillini che la maggioranza di sinistra del partito considerava strategica.

Nel frattempo è passata parecchia acqua sotto i ponti. Forse gli elettori cominciano a dimenticare chi sono i responsabili della caduta del governo Draghi. Anche le vacanze estive potrebbero aver contribuito a fare tabula rasa. Inoltre, molti elettori del Sud potrebbero riconoscere nel M5s il soggetto che più si è speso per ottenere una serie di misure capaci di fare arrivare soldi freschi nelle tasche dei beneficiari. Il reddito di cittadinanza, il cashback fiscale e il superbonus 110% hanno avuto questa caratteristica: rispondere in maniera immediata e comprensibile alla domanda di assistenza e di reddito. Non si può dimenticare, poi, che la stagione di Conte a Palazzo Chigi, legata proprio alla fase cruenta dei lockdown, ha visto il governo giallorosso impegnato a spendere la bellezza di 588 miliardi. Buona parte dei quali erano certamente necessari per garantire ristori alle aziende costrette alle chiusure. Un’altra parte abbondante, viceversa, è diventata una grande festa dello spreco di risorse pubbliche nel nome dell’assistenzialismo.

Oggi Giuseppe Conte sceglie di cavalcare l’onda lunga di questa legislatura populista, rispolverando l’idea del movimento di lotta che basa tutto su una distorta promessa di spesa pubblica alla quale tutti potranno attingere. Ritorna così a sventolare la bandiera del reddito di cittadinanza contro tutti coloro che – nella politica e nell’accademia – ne hanno evidenziato i limiti: un messaggio che rinsalda l’ampio numero di beneficiari meridionali (e di aspiranti tali) che proprio su quella misura hanno costruito le loro certezze. Allo stesso modo, Il M5s è un sostenitore indefesso dello scostamento di bilancio per la copertura delle spese energetiche degli italiani. Una misura che rappresenta un tabù per tutti coloro che vorrebbero emancipare l’economia italiana dalle catene del debito pubblico accumulato per decenni: l’x-factor che brucia sistematicamente la nostra crescita. Una misura che funziona come carta d’identità e come cartina di tornasole del populismo ricorrente che pensavamo di avere sconfitto. Ma che si ripresenta a queste elezioni con il suo tradizionale bagaglio di approssimazione e di irresponsabilità.

Oggi Conte gongola all’idea di conquistare perfino un gruzzolo di collegi uninominali al Sud. Ma le ricette assistenziali che ancora vende al suo elettorato possono ancora essere la strada maestra per il rilancio del Mezzogiorno? L’oggettiva devastazione dell’economia e della società meridionali deriva da una serie di fattori: un quadro istituzionale basato su retribuzioni e imposte troppo alte rispetto al contesto economico, un flusso eccessivo e malgestito di denaro pubblico che ha compresso lo sviluppo di un mercato efficiente e capace di creare ricchezza vera, una economia assistita caratterizzata da un eccesso di dipendenti statali, una rigidità dei contratti e della legislazione nazionali che non tiene conto delle specificità locali e, così, perdono la funzione di tutela dei lavoratori per diventare un ostacolo sulla via di una maggiore occupazione. Insomma, una vera e propria trappola da cui il Sud non riesce a uscire. E le facili promesse di assistenza di tutte le forze politiche, ma soprattutto del M5s, rischiano solo di procrastinare questa situazione. Il problema è che anni e anni di erogazioni statali non hanno aiutato il Mezzogiorno, viceversa ne hanno drogato i comportamenti economici. Il costo più oneroso del reddito di cittadinanza non è di carattere economico, ma sociale e culturale. E in fondo questa è solo l’ultima di una lunga serie di misure politiche che hanno guardato al Sud come a un semplice serbatoio elettorale: un vasto spazio nel quale distribuire favori (spesso di modesta entità) invece di stimolare le capacità di intraprendere che sono la condizione fondamentale per un vero sviluppo. Oggi il Sud ha bisogno di abbandonare questo approccio, perché una nuova cultura della responsabilità può affermarsi soltanto se le nuove generazioni saranno chiamate a confrontarsi con il mercato, con tutti i suoi rischi ma anche con tutte le sue opportunità.

Cruciale sarà il ruolo delle amministrazioni pubbliche e dei ceti dirigenti locali. Le cronache sono piene di storie che raccontano l’incapacità di molte amministrazioni meridionali di usare sapientemente i fondi europei o quelli del Pnrr ai fini dello sviluppo. Spesso, inoltre, sono proprio le istituzioni pubbliche a coltivare quei rapporti clientelari che finiscono con l’impoverire l’economia del Sud. I due studiosi anglosassoni Daron Acemoglu e James A. Robinson distinguono in proposito tra istituzioni economiche ‘inclusive’ ed ‘estrattive’. Le prime “incoraggiano la partecipazione della maggioranza delle persone ad attività economiche che sfruttino nel modo migliore i propri talenti e le loro abilità, permettendo agli individui di fare le scelte che desiderano”. Per essere inclusive, esse “devono garantire il rispetto della proprietà privata, un sistema giuridico imparziale e una quantità di servizi che offra a tutti uguali opportunità di accesso al sistema di scambi e contrattazioni; deve inoltre essere assicurata la possibilità di aprire nuove attività, e, per le persone, di scegliere liberamente un’occupazione”. Viceversa, le istituzioni economiche ‘estrattive’ – è il caso del nostro meridione – “vengono usate da determinati gruppi sociali per appropriarsi del reddito e della ricchezza prodotto da altri”. In questi contesti, la debolezza delle forze produttive si accompagna alla ipertrofia delle burocrazie pubbliche alle quali vengono delegate le funzioni redistributive.

Ecco, il sud non ha bisogno delle promesse populiste di nuovo assistenzialismo, ma di sviluppare impresa, sviluppo e inclusione.

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