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Dpcm: l’abuso non è solo colpa della pandemia

di Stefano Ceccanti

Anticipo anzitutto la tesi che vorrei sostenere.

La riflessione più significativa che si può fare su questa legislatura segnata ormai da più di un anno dalla pandemia è che non ci sono fenomeni che si creano dal nulla, ma che si rafforzano (prevedibilmente) alcune dinamiche preesistenti. Per cui se si vuole migliorare il lavoro parlamentare non basta pensare a come migliorare la nostra gestione di questa emergenza, ma a non pensarla come una mera parentesi.
Superata la parentesi non basterà tornare a prima perché quello che c’era prima non era soddisfacente e, per questa ragione, va colta in modo alto, sia pure senza illusioni palingenetiche, la sfida della riscrittura dei Regolamenti, che è imposta dalla riduzione dei parlamentari.

1. Partiamo dai Dpcm e dalla loro parlamentarizzazione

Questo lo dico anche a proposito del fenomeno transitorio dei Dpcm, transitorio anche se ingombrante, che è stato giusto in un primo tempo parlamentarizzare in sede di conversione del decreto 19/2020 nel maggio scorso, è stata una delle azioni più importanti che abbiamo imposto, che è stato importante ricondurre alla ragionevole durata non superiore ai trenta giorni e che ora si può ragionevolmente asciugare, spostando la gran parte dei contenuti sui decreti. Era questo il problema segnalato nei suoi vari aspetti soprattutto dal Comitato per la Legislazione: non l’illegittimità, ma l’inopportunità delle sue dimensioni. Però esso non va sopravvalutato sul lungo periodo perché appunto transitorio.

2. Le anomalie dei decreti: rafforzate, ma non create dal niente

È abbastanza ovvio che in emergenza sia aumentato il numero già enorme dei decreti legge (91 rispetto ai 74 del primo triennio della legislatura precedente). Da tenere presenti due fatti: il primo è che aumenta lo scarto tra decreti e leggi di conversione, soprattutto a causa del fenomeno dei decreti matrioska (a 91 decreti fanno riscontro 59 leggi di conversione; mentre a 74 decreti facevano riscontro 61 leggi di conversione nel decreto precedente). Il nesso causale tra pandemia e ulteriore aumento del fenomeno è evidente da questo: nel primo biennio rispetto al primo della legislatura scorsa le leggi di conversione erano scese dal 39 al 34% della produzione normativa primaria nel suo insieme; il confronto tra i due trienni dà invece una crescita dal 30 al 35%.

Il cuore della legislazione è costruito sulla conversione dei decreti, come si capisce in particolare dall’elaborazione più raffinata sul complesso del numero di parole dei testi approvati: le leggi di conversione rappresentano il 67% del totale delle parole e un altro 31% proviene comunque da altre leggi di iniziativa governativa (bilancio e ratifiche).

Questo non vuol dire, ovviamente, che l’iniziativa parlamentare sia ridotta al solo 2% delle parole dei testi di origine parlamentare perché l’emendabilità resta significativa. Le parole delle leggi di conversione salgono in modo rilevante: alle 575.203 originarie si sale di altre 390.438, anche se buona parte di esse derivano dai decreti non convertiti ed assorbiti.

Il punto è però che l’emendabilità si è in sostanza ormai ridotta alla Commissione di merito della prima Camera a cui è assegnata (o alle Commissioni se l’assegnazione è congiunta): solo 4 delle 59 leggi di conversione hanno avuto 3 passaggi parlamentari, nessuno dopo l’inizio della pandemia. Il monocameralismo di fatto regna sovrano, anche per la questione dei decreti matrioska che impone di attendere per assorbire decreti successivi e di velocizzarsi per non far decadere le disposizioni di quelli precedenti. E questo al netto dell’abbinamento con le questioni di fiducia: 30 i casi in cui ne è stata messa almeno uno e 17 in entrambe le Camere.

3. La battaglia chiave: una ragionevole corsia preferenziale per il Governo e un ragionevole disarmo sulla decretazione d’urgenza

Per queste ragioni è evidente che la battaglia chiave sulla riforma regolamentare consiste nella scrittura di una ragionevole corsia preferenziale per i provvedimenti del Governo, alternativa fisiologica all’uso dei decreti e a tutti loro corollari (maxi-emendamenti, fiducia, testi matrioska, monocameralismi di fatto). A Regolamento invariato o modificato solo per motivi ragionieristici pur importanti (l’aggiornamento dei numeri) saremmo ancora costretti a ridurre il danno agendo sugli effetti, ma sarebbe ormai il caso di aggredire con equilibrio le cause.

4. Postilla finale: il decreto in corso di promulgazione

Il nuovo decreto legge Covid approvato ieri dal Consiglio dei Ministri opera un apprezzabile passo in avanti nella logica di riportare ordine nel sistema normativo che regola l’emergenza; in particolare è da apprezzare la scelta di trasportare in legge parte importante delle misure.
Le prime bozze del nuovo decreto Covid che sono circolate sembrerebbero tuttavia consentire deroghe alle regole dell’emergenza stabilite nel decreto stesso sulla base di una generica deliberazione del Consiglio dei ministri. In questo modo, ove non si operasse attraverso un decreto o comunque una norma primaria, ci troveremmo dinanzi ad una possibile riduzione delle garanzie dei diritti assicurate dalla riserva di legge e dal passaggio parlamentare.

Attendiamo comunque il testo finale. In ogni caso se ne dovrebbe parlare seriamente in sede di conversione perché sarebbe una regressione non accettabile. Va bene che la politica abbia elementi di flessibilità, ma il ruolo del Parlamento non potrebbe essere negato.

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