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Renzi cambia verso al news management

E da un punto di vista della comunicazione cosa ci lascia il primo anno di governo di Matteo Renzi? Una conferma e una novità.

La conferma è quella relativa al ruolo centrale del cosiddetto news management, la capacità degli attori politici di interagire con il potere del sistema mediatico (negli ultimi anni soprattutto, se non esclusivamente, la tv) di imporre l’agenda al dibattito pubblico.

La novità è che forse, anche indipendentemente dai comportamenti di Matteo Renzi e dei suoi collaboratori,il sistema mediatico italiano, la tv soprattutto, sta modificando il proprio ruolo e la propria influenza nel processo di costruzione delle opinioni. Questo sta avvenendo per fattori politici contingenti ma anche probabilmente per quelle modificazioni indotte dalla diffusione delle conversazioni sui social network: cioè più in generale dalla diffusione della rete internet.

Per quanto riguarda il news management non so bene quanto sia frutto di una consapevolezza (per semplificare l’esperienza di Filippo Sensi e degli altri collaboratori) e quanto sia dovuto allo animal spirit del leader politico (il premier Matteo Renzi) ma in questo anno appare evidente che il rapporto tra il Governo e il sistema dell’informazione si è rovesciato. Qui una delle differenze da approfondire con la fase berlusconiana dei rapporti politica tv. L’agenda oggi mi pare dettata dalla politica sia un po’ più consapevolmente sia più efficacemente. È la presenza del premier a creare audience in un contesto di calo generalizzato. E questo gli dà grande forza, addirittura lo espone alla critica che boicottando alcuni talk show ne determina l’insuccesso. E per alcuni questa è una versione subdola dell’editto bulgaro berlusconiano. Gli esponenti del governo e della maggioranzanon si rivolgono più alla tv per negoziare da una posizione di debolezza quello che appare il maggior potere dei media: la costruzione della “visibilità”. Si coordinano e accettano di essere coordinati dallo staff del premier.

E qui emerge una delle questioni più chiacchierate: quella della regolazione o auto regolazione delle presenze in tv interpretata come lotta politica se non censura. Ora, da un lato ci sono molti programmi televisivi che inseguono – per ragione che (a me) paiono dominate soprattutto se non esclusivamente dal politainment cioè fare audience – soprattutto coloro che creano spettacolo cioè tensione, discussione, contrasto. La resistibile ascesa di Salvini ne è testimonianza: non vi è altra giustificazione alle 73 presenze in tv in 60 giorni! Però questa è (lotta) politica non solo intrattenimento. Dall’altro è ovvio che gli attori politici consapevoli della propria forza e degli obiettivi da perseguire reagiscano e cerchino di contrastare questo trend. Ebbene, in questo anno Matteo Renzi e i suoi collaboratori hanno vinto (per ora) la partita, hanno rovesciato i rapporti di forza media-politica. E hanno confermato che la capacità di gestire le relazioni con il sistema mediatico, il news management, è uno degli skill essenziali della nuova professionalità politica richiesta dal nostro tempo.

A questo però ha contribuito anche quell’autonomo processo di ridimensionamento del ruolo dei dibattiti politici televisiviconseguenza dell’esagerata importanza acquisita negli anni precedenti e strettamente legata alle peculiarità della crisi italiana. L’audience delle chiacchiere politiche in tv cala in modo generalizzato. Bisognerà comprendere se è un effetto della diffusione dell’uso della rete come fonte alternativa di informazioni o se è un fenomeno di disaffezione parallelo all’aumento delle astensioni. È certo che times they are changin.

Tutto bene allora per il premier e leader del PD? No. La battaglia vinta (o quasi e per il momento) sul versante del news management non abolisce la necessità di far vivere esperienze cognitive alle persone non pensando che tutto si possa esaurire nella relazione con il sistema dei media. Il messaggio tele trasmesso o web diffuso viene comunque metabolizzato dall’esperienza. E quell’esperienza conta. E allora a me pare che il secondo anno del premier/leader del PD debba essere dedicato un po’ di più alla diffusione nelle città e nelle occasioni di vita degli italiani dell’esperienza del cosiddetto “renzismo”. Ci sono troppe attese che tutto accada a Roma e da qui si propaghi al resto del paese.Alle attenzioni verso il news management bisogna associarne altre che permettano che dalle città – a cominciare ad esempio da Milano che ospita l’Expo 2015 – vengano contributi forti alla realizzazione del programma del governo. Insomma il partito, seppur leggero e aperto, non può non essere considerato parte essenziale del cambiamento della cultura politica.